Non sapendo più che strada percorrere per attirare l'attenzione di consumatori sempre meno propensi a spendere sul prodotto discografico, le major dell'industria musicale sembrano aver recentemente scoperto la frontiera del pseudo impegno sociale.
Esaminiamo due casi:
Simone Cristicchi e i
Tinariwen. Su Cristicchi, sicuramente innescata da una encomiabile vera esperienza personale, in vista del
Festival di Sanremo, viene magistralmente costruita la leggenda del suo impegno con i malati di mente, in modo da far diventare automaticamente impegnato il suo pop, e attirare così l'attenzione su di un "nuovo" argomento: la canzone d'autore impegnato.
I Tinariwen invece suonano canti tradizionali
Tuareg su base blues elettrico alla
Led Zeppelin, un po' come nello splendido
"Talking Timbuktu" di
Ali Farka Touré e
Ry Cooder del 1991. Niente di nuovo? Macchè, questa volta è la leggenda della presunta passata appartenenza di alcuni membri della band alla falange rivoluzionaria Tuareg, forse armata dallo stesso Geddafi per combattere i vicini del Mali, a calamitare l'attenzione su di una minoranza etnica che ha i suoi diritti da rivendicare.
Ancora una volta un problema sociale o politico come strumento di promozione commerciale! E la
comunicazione integrata confezionata ad arte per il Cristicchi e per i Tinariwen ricalca perfettamente questo concept: un corridoio da manicomio è lo sfondo della nuova pagina web del Cristicchi, mentre i Tinariwen imbracciano le loro chitarre come fossero mitra nella home del loro sito, a mo di sfida contro coloro che, anche solo con lo sguardo, osano insinuarsi nel loro deserto.
Forza così, e alla prossima campagna "sociale".