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Le vite degli altri
All'epoca dei fatti, quando le Germanie erano due e un muro lungo 46 km attraversava le strade e il cuore dei tedeschi, il regista Florian Henckel von Donnersmarck era poco più che un bambino. Per questa ragione ha riempito il suo film dei dettagli che colpirono il fanciullo che era allora. L'incoscienza e la paura diffuse nella sua preziosa opera prima sono quelle di un'infanzia dotata di un eccellente spirito di osservazione.
La riflessione e l'interesse per il comportamento della popolazione, degli artisti e degli intellettuali nei confronti del regime comunista appartengono invece a uno sguardo adulto e documentato sulla materia. Ricordi personali e documenti raccolti rievocano sullo schermo gli ultimi Anni di un sistema che finirà per implodere e abbattere il Muro. [...]

(via mymovies.it)


Davvero un ottimo film, anche se è un peccato l'eccesso di pervasività di una morale sfacciatamente da banale filmone buonista, dove il traditore finisce sempre male, se non schiacciato da un camion.
 
di davide del 14/03/2007 in Cinema,  2220 link
Nuovomondo
[...] Esaltato dalla critica dopo il primo successo, presto dimenticato e bollato come meteora, con questo film Crialese convince – definitivamente, si spera – tutti. Il suo “Nuovomondo” è , come “Lamerica” di GiAnni Amelio (1994), un’idea, forse un’illusione, nella testa di chi lascia il proprio ‘vecchio mondo’: un’aspettativa enorme, perché non rappresenta un posto, ma il futuro.
Il futuro preso in esame è quello degli emigranti italiani di inizio Novecento, tutti quanti poveri, con una valigia piena di ricordi e il vestito buono addosso, per mostrare il loro ottimismo e gettare via la disperazione di un passato senza prospettive. L’America – quella vera – è la luce in fondo a un tunnel lungo quanto la loro vita intera, e basta soltanto intravederla per rimanere abbagliati e perdere il senso della realtà. Giustamente, perché si tratta una realtà che non hanno modo di commisurare alla loro esperienza, alle loro conoscenze e, quindi, nemmeno alle loro aspettative. Al centro di questa pellicola non c’è il nuovo mondo, né la storia degli emigranti: è raccontato il loro viaggio o, più precisamente, la loro idea di viaggio: il nuovomondo, la nuovavita, la nuovaluce.
[...]
[Visto ieri con Alessandra, Alessia, Chiara, Fabri, Lilia, Simona, ...]
 
di davide del 06/09/2010 in Blogging,  124753 link
DSLR
Il 2010 è l'anno in cui la Reflex Digitale diventa fenomeno consumer di massa. Ecco perchè sempre più spesso amici e conoscenti proprio quest'anno mi fanno sempre la stessa domanda: "quale reflex digitale cosigli per iniziare?". Quasi tutti provengono dall'esperienza con fotocamere digitali compatte, e pochi da fotocamere "super-zoom".
Di seguito elenco alcune reflex digitali (DSLR) sotto i 1000 Euro con ottica a corredo. Hanno tutte autofocus efficace, scatto immediato, mirino ottico con visione attraverso l'obiettivo, sensore di grandi dimensioni (formato "APS-C", poco meno delle dimensioni della pellicola formato "35mm" tradizionale) con nitidezza e sensibilità molto superiori alle fotocamere compatte, dotate di sensore di dimensioni inferiori. Lo schermo posteriore serve quasi esclusivamente a rivedere le immagini già scattate, non a inquadrarle. Forniscono tutte ottimi file codificati direttamente in formato standard JPEG, ma possono scattare anche in un formato proprietario di alta qualità (detto RAW), che rappresente l'equivalente digitale del negativo dei tempi della pellicola: è possibile "sviluppare" manualmente i file RAW mediante appositi software su PC in modo da ottenere risultati personalizzati, sempre in formato JPEG (lo standard per la visualizzazione su PC e la stampa fotografica).

Di Canon:
Canon EOS 550D:
oppure (da ottobre), la sorella maggiore con mirino migliore, AF e scatto più veloce, e più facile da usare in manuale:
Canon EOS 60D:
Di Nikon:
Nikon D3100 (appena uscita):
oppure, la sorella maggiore con mirino e schermo LCD migliori, AF e scatto più veloce, e più facile da usare in manuale:
Nikon D90 (sarà sostituita dalla D7000 da ottobre):

Alternativa Olympus:
Olympus E620:
che offre qualità analoghe alle più blasonate Nikon e Canon, in un corpo macchina più compatto e leggero (grazie al sensore formato "4 terzi", lievemente più piccolo di quello in formato "APS-C" delle altre DSLR sopra elencate).

Qualità: Pixel e Obbiettivi
Più o meno tutte hanno fra i 12 e 17 MegaPixel, ma non fa tanta differenza a questi livelli perchè da 10Mpix in su (di una Reflex) si è già superata la qualità di pellicola+scansione (i MPix di una compatta, essendo il sensore di dimensioni ridottissime, non sono confrontabili con quelli di una Reflex di grandi dimensioni come queste). Più differenza la fanno gli obiettivi, e quelli standard di dimensioni ridotte a corredo con le reflex citate sono ovviamente modelli base, ma sufficienti per iniziare a fare le cose seriamente. 
L'obiettivo standard per le reflex digitali in formato APS-C come queste è in genere uno zoom 18-55mm (da grandangolare a piccolo tele, equivalente su pellicola al classico zoom 28-80mm) con luminosità limitata (f/3.5-5.6). A volte vengono proposti un abbinamento con uno zoom più spinto verso il tele (es. 18-135mm), oppure abbinamento con coppia di ottiche 18-55 e un teleobiettivo vero e proprio (es. 55-200m f/4.5-5,6): l'accoppiata di 2 zoom ha qualità e prestazioni superiori al singolo zoom più spinto, ma ha l'inconveniente di richiedere il cambio obiettivi.
L'obiettivo che utilizzo per il 90% degli scatti ha una focale di 17-55mm analoga a quelli degli zoom compatti di serie con le reflex di cui sopra, ma ha una luminosità doppia o tripla (f/2.8), ed è per questo che è così pesante e di grandi dimensioni.
Altra prestazione delle ottiche utile sul campo è il sistema di riduzione vibrazioni (Canon la battezza "IS", Nikon "VR", Sony incorpora la funzione nel corpo macchina).

Conclusioni
Tutto sommato, per quanto è disponibile oggi 6 settembre 2010 nei negozi (o online), la macchina più aggiornata per cominciare a fare le cose seriamente e con il miglior rapporto prezzo/prestazioni è la Canon EOS 550D con un ottica "IS". Oppure la Nikon D90 con un ottica "VR" (qualche megapixel in meno, ma ergonomia e precisione superiori).

Il mercato
Altro marchio emergente (azienda che spinge sia con innovazioni che con strategie di marketing aggressive) è la Sony, che ha rilevato un paio d'Anni fa il business delle macchine fotografiche di Minolta.  Le Panasonic, Samsung e Olympus hanno solo prodotti entry level, anche ottimi (Oly e Panasonic), e/o dal marketing molto aggressivo (Samsung), mentre Pentax è in grossa crisi di identità (e di mercato), dopo l'acquisizione del settore "photo" da parte di Hoya/Tokina. Il resto del mercato è fatto da una miriade di prodotti compatti di fascia bassa, o da soluzioni esoteriche per fotoamatori super-tecnofili, dal rapporto prezzo prestazioni decisamente dubbio, e di fatto raramente utilizzate davvero dai professionisti nel campo del reportage, advertising o fashon.

Negozi fisici
I negozi fisici, rispetto a quelli online, garantiscono un livello di servizio (consulenza e assistenza) altrimenti impossibile da ottenere, al costo di davvero solo pochi euro in più.
Un negozio in centro a Bologna dove sono molto forniti e hanno un supporto specialistico dedicato alle reflex digitali è l'Immagine di Via Manzoni 6: http://www.limmaginefotocine.it/ ma ne esistono anche altri più storici o meno.

Le FAQ:
1) sono macchine "professionali" quelle consigliate?
     Sono macchine posizionate nel segmento "consumer", ma che possono offrire risultati del tutto analoghi a quelli delle macchine "professionali", soprattutto sfruttando utilizzando al meglio le ottiche e scattando nel formato RAW. Ecco perchè sono tutte DSLR di successo, molto diffuse.
2) cosa ha in più una DSLR del segmento "professionale" rispetto ad una DSLR "consumer"?
     - qualche pixel in più, ma non è detto in quanto 12/14 sono sufficienti per molte applicazioni professionali.
     - un sensore ancora più ampio dell'APS-C, ad esempio il pieno formato della pellicola "35mm", per maggiore sensibilità e migliore resa generale, ma non è detto perchè i fotografi di sport e naturalistici preferiscono i sensori APS-C che meglio sfruttano le ottiche esistenti per inquadrare soggetti lontani.
     - un mirino più preciso, più ampio e più luminoso, per inquadrature più facili anche al buio.
     - un autofocus più veloce e con più punti sensibili dell'inquadratura.
     - uno scatto a raffica ancora più veloce, ma i 3 fotogrammi al secondo delle macchine consigliate non sono pochi.
     - una carrozzeria in lega di metallo e non in plastica, magari con guarnizioni stagne a prova di pioggia. Di contro è più ingombrante e più pesante.
     - possibilità di usare doppie batterie e doppie schede di memoria per aumentare a dismisura l'autonomia in campo, ma già la durata delle batterie e delle schede oggi disponibili sulle macchine consigliate è sufficiente per moltissimi usi.
3) Molte Reflex recenti (e tutte quelle consigliate esclusa la Olympus) possono registrare spezzoni video in HD. E' una funzione utile?
     E' una funzione molto utile, ma che non sostituisce una telecamera dedicata (compatta o professionale) per registrare falcilmente molti video di alta qualità. Comunque realizzare video è molto diverso dallo scattare foto, sia in sede di ripresa, che in sede di post- produzione. E' un gadget simpatico, e permette la realizzazione di filmati di alta qualità video e ottica, grazie al parco ottiche diponibili per le reflex e all'effetto sfocata molto cinematografico possibile solo con sensori di grandi dimensioni come gli APS-C.

 
Locandina de La Sconosciuta di Giuseppe Tornatore E' un film violento, a volte ingenuo, ma venato di suspence questo "La sconosciuta" di Giuseppe Tornatore, con tratti del cinema di genere, e con un crescendo molto intenso. E' la storia di Irena, giovane donna ucraina che fa la donna delle pulizie. In un bel palazzo dove vivono molte famiglie di orafi, Irena riesce a diventare amica della tata di casa Venacher e poi a sostituirla. Tutto per stare vicino a Tea, una bella bambina che ha i suoi stessi riccioli castani, ma il suo passato di abusi e prostituzione continua a tormentarla, e torna a fare capolino...
"Il dna del film deriva da un fatto di cronaca, letto tanti Anni fa su un giornale e che ho ritagliato, come fanno tanti registi. Era la storia di una donna che in complicità con il marito partoriva figli da vendere. Poi la storia è andata in un'altra direzione. Ho scelto il registro del mistero perché non avevo intenzione di fare un film di denuncia, se si vuole denunciare qualcosa si fa un esposto in polizia".
[Da un intervista a G. Tornatore]

Bravissima la bella e sconosciuta ucraina Xsenia Rappoport, e al meglio, per un film interamente italiano, anche il cast, che comprende Pierfrancesco Favino e Claudia Gerini nel ruolo del padre e della madre di Tea, Piera Degli Esposti in quello della prima tata di casa Venacher, Alessandro Haber viscido portiere del palazzo e Michele Placido nei terribili pAnni di "Muffa", il protettore violento e vendicativo di Irena. [Visto solo]
 
Olivetti - macchina per scrivere elettrica - design: Ettore Sottsass, 1964All'inizio degli Anni sessanta l'industria italiana era alla massima espressione per tecnologia e design, solo che non lo sapeva ancora: troppo vicini erano i ricordi di una terribile guerra, di un regime totalitario e limitativo, e della conseguente miseria materiale e morale che aveva afflitto la penisola nei decenni precedenti. Forse l'Italia non sarebbe stata mai più così vicina ad americani/giapponesi/tedeschi per tecnologie di base e design.
Per quanto riguarda le tecnologie, basta ricordare l'innovativo "super" calcolatore Elea 9003 del 1959, mentre, sempre dalla storia dell'azienda di Adriano Olivetti, per il design basti ricordare una piccola storia fatta per apparecchi di scrittura:

D-Copia 55, sistema digitale multifunzione -2002

D-Copia 55


Explor@, e-cash - 2002

Explor@ 34

Copy Lab 200, sistema multifunzione a base copy , flat bed - design: Michele De Lucchi, 2001

Copy Lab 200

Gioconda, calcolatrice da tavolo - design: Michele De Lucchi, 2001

Gioconda


Nomad Jet, stampante mobile a getto d'inchiostro - 2001

Normad Jet

Jet Lab 600@, sistema multifunzione a colori a base fax - 2000

Jet Lab 600@


Art Jet 10, stampante a getto d'inchiostro - design: Michele De Lucchi, 1999. Vince il premio di design Compasso d'oro

Art Jet 10


Divisumma 18, calcolatrice elettronica da tavolo - design: Mario Bellini, 1973

Divisumma 18


Logos 68, calcolatrice elettronica da tavolo - design: Mario Bellini, 1973

Logos 68


Logos 68, calcolatrice elettronica da tavolo - design: Mario Bellini, 1973

Logos 68


Valentine, macchina per scrivere portatile - design: Ettore Sottsass, 1969. Esposta nella collezione permanente di design al Museum of Modern Art di New York

Valentine

Valentine, macchina per scrivere portatile - design: Ettore Sottsass, 1969. Esposta nella collezione permanente di design al Museum of Modern Art di New York

Valentine

Programma 101, calcolatore elettronico da tavolo su progetto di Piergiorgio Perotto - design: Mario Bellini, 1965

Programma 101

Praxis 48, macchina per scrivere elettrica - design: Ettore Sottsass, 1964

Praxis 48

Teckne 3, macchina per scrivere elettrica - design: Ettore Sottsass, 1964

Teckne 3

Elea 9003, calcolatore elettronico, sviluppato nel Laboratorio di Ricerca di Borgolombardo guidato da Mario Tchou - design: Ettore Sottsass, 1959.
Particolare della consolle

Elea 9003


Elea 9003, calcolatore elettronico, sviluppato nel Laboratorio di Ricerca di Borgolombardo guidato da Mario Tchou - design: Ettore Sottsass, 1959

Elea 9003


Divisumma 24, calcolatrice meccanica da tavolo - design: Marcello Nizzoli, 1956

Divisumma 24


Divisumma 24, calcolatrice meccanica da tavolo - design: Marcello Nizzoli, 1956.
Vista laterale del meccanismo interno

Divisumma 24


Lettera 22, macchina per scrivere - design: Marcello Nizzoli, 1950. Esposta nella collezione permanente di design al Museum of Modern Art di New York

Lettera 22


Lettera 22, macchina per scrivere - design: Marcello Nizzoli, 1950. Esposta nella collezione permanente di design al Museum of Modern Art di New York.
Bozzetto del progetto

Lettera 22

Summa 15, calcolatrice da tavolo meccanica, design: Marcello Nizzoli, 1949

Summa 15

Summa 15, calcolatrice da tavolo meccanica, design: Marcello Nizzoli, 1949.
Dettaglio della tastiera

Summa 15

Divisumma 14, prima macchina calcolatrice meccanica al mondo ad eseguire le quattro operazioni - design: Marcello Nizzoli, 1948

Divisumma 14

Lexikon 80, macchina per scrivere - design: Marcello Nizzoli, 1948. Esposta nella collezione permanente di design al Museum of Modern Art di New York.

Lexikon 80, macchina per scrivere - design: Marcello Nizzoli, 1948. Esposta nella collezione permanente di design al Museum of Modern Art di New York.
Vista laterale del meccanismo interno

Lexikon 80, macchina per scrivere - design: Marcello Nizzoli, 1948. Esposta nella collezione permanente di design al Museum of Modern Art di New York.
Bozzetto del progetto

Lexikon 80


MP1, prima macchina per scrivere portatile prodotta dalla Olivetti tra il 1932 e il 1935, disegnata da Aldo Magnielli

MP1

MP1, prima macchina per scrivere portatile prodotta dalla Olivetti tra il 1932 e il 1935, disegnata da Aldo Magnielli

MP1

MP1, prima macchina per scrivere portatile prodotta dalla Olivetti tra il 1932 e il 1935, disegnata da Aldo Magnielli

MP1

M1, prima macchina per scrivere prodotta dalla Olivetti nel 1911, disegnata da Camillo Olivetti

M1


M1, prima macchina per scrivere prodotta dalla Olivetti nel 1911, disegnata da Camillo Olivetti

M1


M1, prima macchina per scrivere prodotta dalla Olivetti nel 1911, disegnata da Camillo Olivetti

M1

 
L'informazione mediatica è mendace: dopo 15 Anni di stato vegetativo persistente, in una condizione medica simile, l'autopsia h arivelato che il cervello di Terri Schiavo pesava poco più di 600 grammi, ovvero metà di quello che avrebbe dovuto essere, e almeno il 70% delle cellule neuronali erano irremediabilmente danneggiate. Ecco perchè dopo 5/6 Anni di coma vegetativo, nessuno si risveglia più: il danno al cervello è irreversibile, e nessuna terapia può in alcun modo reintegrare la massiva perdita di neuroni.
 

Sono quasi le tre del pomeriggio, e il baccano della tormenta si sta abbattendo sulla città. Con le sue violente raffiche di vento e pioggia, inframezzato dal vocìo della strada e dall'acre fumo dei tegami, mi ha sbattuto con forza giù dal letto dopo solo poche ore di sonno. Le ossa, il collo in particolare, mi fanno un po' male. Intorno solo tanti bicchieri di plastica rovesciati, qualche macchia sul tappeto e odore acido di liquori e di spezie, e del wok del ristorante sotto casa che sta sfriggendo carni e riso ormai da troppe ore.

 

Che serata ieri sera! Che bello vedere tanta gente in festa nel grande appartamento sperduto in questa immensa periferia che la compagnia mi ha messo a disposizione: c'erano tutti, e, quasi quasi, sono stati anche simpatici con me, anche se ci conosciamo e ci capiamo appena. Non avrei mai creduto che un po' di buon vecchio french touch che usciva dal mio lettore mp3, amplificato appena dai diffusori rigorosamente “Made in Taiwan” presi a prestito dal mio vicino, potessero creare una tale atmosfera... Merde, quanta merda rovesciata per terra. Azzz anche sul muro appena intonacato... speriamo che quel truce del padrone non s'incazzi poi se sarà difficile coprire l'odore da fetido bar di perifieria italiana che il martini e ore di sigarette hanno fatto già stagnare in questa casa. Dio che fastidio, vorrei vomitare.

Ora che ci penso, è una vita che non lo faccio. Da quando non fumo più, penso. Neanche dopo le sbronze più catastrofiche. Per questo, soprattutto per un ipocondriaco come me, non è bene star per vomitare. Proprio ora e per davvero, e per di più senza aver quasi toccato alcool ieri sera. Certo che per un ex-quasi-bulimico sto davvero mangiando troppo e male da quando sono lontano: dopo il pranzo di pesce crudo e riso al ristorante giapponese dove c'era anche la tipa mora e alta, dai lunghi capelli corvini decorati con fiori di campo porpora, che quasi quasi avrebbe potuto farmi di nuovo battere il cuore, ieri ho poi fatto aperitivo al lounge bar finto-newyorkerse in centro, ma bevendo quasi nulla... Poi, a cena, prima pollo, curry, tanto pollo e tanto curry a dire il vero, e tante altre cose e altre spezie, alla taverna locale, eppoi formaggi, ostriche e profumate delizie al ristorante francese. Infine, al termine della nottata, tutte le pizzette che avevo fatto arrivare apposta per intrattenere gli ospiti chiamati da me per l'after-dinner. Merda che nausea.

Nella patria della tecnologia di consumo non sono ancora dotato di una connessione internet domestica, incredibile. Il mio cellulare, chissà perchè, proprio qui non trasferisce dati, e tutto quello che riesco a fare è sbattermi da una parte e dall'altra della metropoli per restituire quasi ogni fine giornata la chiavetta da 16 Giga ricolma di sgargianti immagini da mal di stomaco. E il mio blog, e gli altri progetti, e non solo quelli, ne risentono... ho sempre tanto sonno, e tanto ritardo nel fare le cose. Proprio dal primo giorno, proprio da quando sono salito sull'aereo alle 14 per uscirne a mezzanotte. Peccato che qui fossero le 8 del mattino, e che la prima riunione col mio agente distava solo due ore, e che a quasi quarant'Anni le notti in bianco son pesanti...

Non sono più in occidente, ma neanche in estremo oriente forse. Sono qui, ora, ed è bellissimo. Ed è tutto molto, ma molto, strano, e molto istruttivo. Incantevole, vorrei dire, ma non so.

Peccato solo che ora non vorrei far altro che vomitare...

Taipei (Taiwan) - 07 ottobre 2007

 
Dopo l'antologica VERTIGO inaugurale, il MAMbo dedica lo spazio espositivo a una raccolta di opere egoriferitamente dedicate alla concezione dello spazio espositivo, del museo d’arte contemporanea, tramite l'arte contemporanea.
Dimenticata la ressa di inizio maggio, sabato 1 dicembre solo veri appassionati, studenti e addetti del settore si ritrovano all 17 per godere comodamente delle 4 installazioni a tema, espressamente concepite o specificamente riallestite per il MAMbo.

All’ingresso la gradita sorpresa romanticamente pop di Adam Chodzko: "M-path and Hole" è un concept di facile effetto sul mettersi, tramite l’arte, nei pAnni di un altro. Entrando nel museo il visitatore è invitato a scambiare le proprie scarpe con quelle di un ignaro abitante di un quartiere periferico cittadino che le ha appositamente lasciate all’artista.


Adam Chodzko: "M-path and Hole"


Adam Chodzko: "M-path and Hole"

Troppo sottile il concetto della “mossa del cavallo” e davvero troppo banale la realizzazione di Eva Marisaldi. “Jumps” tradisce la metamorfosi emotiva di una donna che diventa madre più che delineare percorsi di scoperta attraverso l’esposizione di ostacoli a misura di pargoletto.

Grandioso l’allestimento de “La mamma di Boccioni in ambulanza e la fusione della campana” di Diego Perrone che sfrutta la verticalità dello spazio espositivo dell’ex forno del pane.


Diego Perrone: “La mamma di Boccioni in ambulanza e la fusione della campana”

Interessante l’”Already Vanishing” di Bojan Šarcevic che sfrutta la singolare contrapposizione fra geometrie architettoniche e carne appena macellata per ibridizzare il film a 16mm con la scultura moderna. Davvero pregevole l’allestimento curato da Andrea Viliani su precise indicazioni del giovane artista.


Bojan Šarcevic: ”Already Vanishing”

Simpatiche infine le esplorazioni temporali su video di Loulou Cherinet e Kjersti Sundland dalla prima selezione per la TIME CODE inaugurata quindici giorni fa.

In sordina oggi ha inaugurato anche la biblioteca del MAMbo, che offre dalle10 alle 17.30 (domeniche e lunedì esclusi) accesso a tutti i più importanti cataloghi in possesso del museo d'arte contemporanea bolognese.
Simpatica la realizzazione (edizione Skira/MAMbo) dei quattro mini-cataloghi per le installazioni di Chodzko-Marisaldi-Perrone-Sarcevic per questa Step2, e bello anche format e realizzazione grafica. Peccato solo il prezzo: 20 Euro ognuno, ovvero 80 Euro per la serie dei 4 mini-cataloghi che a stento sostituiscono un vero e proprio catalogo di alto livello di una grande esposizione. 15 Euro erano più che sufficienti...

 
di davide del 15/03/2007 in Musica,  2313 link
Esattamente trent'Anni fa usciva un disco memorabile. Non stiamo parlando dell'elettronico Trans-Europa-Express dei Kraftwerk, o del melodico Hotel California degli Eagles, e neanche di Animals dei Pink Floyd. Non di Love you live degli Stones o del per altro noioso Before and after science di Brian Eno. Belle cose in hit parade nel 1977, eh?
No, è dello start-up della New Wave che stiamo parlando, di quel fertile periodo che ha rivoluzionato la musica rock per portala fino al nuovo millennio.
Due sono le pubblicazioni che rappresentano le spinte post-lisergiche più importanti di quell'iniziale periodo post-punk: il successo di 77 dei Talking Heads e la spinta di The Modern Dance dei Pere Ubu. I primi mio amore fin da piccolo, mentre i Pere Ubu li ho ascoltati per la prima volta in vita mia questa sera. Buon trentesimo compleanno Pere Ubu!
Difficile spiegare cosa passasse per la loro testa prima che entrassero negli studi per registrare una delle più grandi opere musicali di tutti i tempi. So però con certezza che al primo ascolto si intravedeva da un lato tutta la rabbia e l'ebbrezza del garage degli Anni '60, condito con spezie beefheartiane e con un pizzico di Red Crayola, musica free-form, avanguardia e teatro dell'assurdo. E si riusciva, di scorcio, anche a leggere tra i versi di Thomas l'apocalisse e la sua bellezza tragica. C'era un non so che di altro tra i solchi, ma nell'ineffabilità del momento estetico il tutto svaniva per far posto a un silenzio di fondo, dove riposano i nostri abissi più intimi e inaccessibili. Questa è musica che merita un ascolto attento e devoto, insomma. Musica totale, nel senso che allora come oggi, più che un semplice disco, The Modern Dance è un vero è proprio saggio sulla decadenza del nostro tempo, un poema sulla distanza spirituale che ci separa dal mondo e dall' estasi eternizzante dell'"Aperto" rilkiano. In 36 minuti e 20 secondi, i Pere Ubu riuscirono a condensare l'essenza di un'epoca pregna di nichilismo, devoluzione, irrazionalismo, meccanizzazione e paura.

E alla fine del 2006, col loro Why I hate women, i Pere Ubu hanno rinverdito la loro danza moderna. Rubo 30 secondi per pubblicarli qui, ma visitate un negozio di dischi per ascoltarli: ne vale davvero la pena : - )
 
Marcel Marceau

Se c’è qualcosa che da solo sublima e diventa etereo in una scena, senza dubbio è colpa di Marcel Marceau.

Il silenzio delle foreste, dei cortili assolati dalle torridi estate del sud d'Italia, il silenzio della notte, e anche il silenzio degli storici a noi contemporanei: Marceau è un miliziano che ordina e mette in ordine il silenzio a fine giornata, a tutto e a tutti; questo è Marcel Marceau!

E “Bip”, il personaggio per cui è diventato popolare, la sua voce. La voce del principe del silenzio.

Grazie Marcel per tutti i pomeriggi in cui mi hai regalato i sogni di bambino. Grazie anche se alcuni di quei sogni li so interpretare solo ora. Grazie per esserci stato dentro quel minuscolo cinescopio in bianco e nero che solo noi nati nei sessanta osiamo ancora ricordare.

Buonanotte Marcel, e adieu.


DISPACCIO ANSA DEL 2007-09-23 15:59 - ADDIO MARCEL MARCEAU, IL CHARLIE CHAPLIN DEL MIMO
PARIGI - Marcel Marceau, il Charlie Chaplin del mimo, morto ieri sera all'età di 84 Anni, con il suo personaggio Bip, portato in tutto il mondo, aveva sollevato l'arte del mimo al suo massimo. Nato a Strasburgo nel 1923 con il nome di Marcel Mangel nel 1939 aveva cambiato il cognome in Marceau per nascondere le sue origini ebraiche. Entrato nella resistenza nel 1944, alla fine della guerra aveva pensato di dedicarsi alla pittura e di seguire la scuola d'arti decorative di Limoges. Ma la passione del teatro alla fine aveva prevalso; Marceau aveva debuttato sotto Charles Dullin nel 'Volpone' nel teatro di Sarah Bernard.

Ma l'incontro nel 1946 con Etienne Decroux ha segnato la sua scelta definita per il mimo. Nello stesso anno ha recitato con la compagnia di Renaud-Barrault il ruolo di Arlecchino nel 'Battista', una pantomima tratta dal film di Carné Les enfants du paradis. E' dalla sua passione per Buster Keaton, i fratelli Max e soprattutto Charlie Chaplin che nasce l'anno dopo il personaggio di Bip. Bip, il Pierrot del XX secolo, era nato nel 1947; figlio delle difficoltà del dopo guerra e del nuovo mondo che si delineava con un modello come riferimento: il vagabondo di Chaplin.

Nel 1949 aveva fondato la compagnia di mimo Marcel Marceau, la prima al mondo del suo genere. Via via Marceau con una serie di lavori come Le jouer de flute, Exercises de style, Le matador, Le petit cirque, Paris qui rit, Paris qui pleure, aveva saputo imporre la sua figura, la sua silouette nervosa e minuta, il suo viso livido attraversato da tutti i sentimenti, dall'allegria alla tristezza più cupa.

Diventato famoso anche oltre oceano, Marceau aveva partecipato negli Stati Uniti anche a numerosi film quali First class, Shanks, Barbarella (di Roger Vadim), Silent movie, ovvero L'ultima follia (di Mel Brooks). La compagnia di Marceau ha lavorato negli Anni nei principali teatri parigini e mondiali; dal 1969 al 1971 l'artista ha animato la scuola internazionale di mimo e poi nel 1978 ha dato vita alla scuola internazionale di mimodramma di Parigi.

Eletto all'Academie des beaux-artes nel 1991, due Anni dopo ha organizzato la nuova compagnia del mimodramma di Marcel Marceau che ha animato la scena dell'espace Cardin dal 1993 al 1997. Il grande mimo ha anche scritto numerosi libri tra i quali la storia di Bip, il terzo occhio e diversi lavori per bambini. La cerimonia funebre del Charlie Chaplin del mimo, morto attorniato da tutta la famiglia, si terrà al cimitero monumentale di Parigi di Pere Lachese. Per il momento i figli hanno annunciato di non voler rendere note le circostanze e il luogo della morte di Marcel Marceau.

 
E' folgorante l'ultimo disco dei Throbbing Gristle, rivoluzionaria band del post-punk inglese di trenta Anni fa, riunita di recente per produrre questo capolavoro. “Part Two - The Endless Not”, disco uscito dopo lunga gestazione soltanto nel 2007, rappresenta la massima celebrazione dell'era post industriale contemporanea. The Endless Not non è un disco, ma rappresenta una stupefacente performance di arte contemporanea. E' il sottofondo di tutte le nostre vite. Delle gioie e delle angosce.

Non una band, ma una entità fuori dal tempo, organismo vivo, parassita mentale che è tornato a nutrirsi nuovamente dei nostri neuroni, del nostro inconscio, della nostra immaginazione più sommersa e indicibile, "Throbbing Gristle - Part Two" è una stellare prova di rinnovata, definitiva superiorità.

Mauro Roma su ondarock
 
di davide del 14/12/2006 in Cinema,  1761 link
[Articolo riportato da http://blog.myspace.com/davidephoto]

The latest movies seen at our movie-forum were 2 comedies: "The big Lebowsky" by the Coens and "Ecce bombo" by the cult Italian author NAnni Moretti.



The problem is that everyone has a little Big Lebowski in them. ...but I've fortunately found a quiz by another blogger who is designed to reveal your inner Lebowski... click here

According to the "Which Big Lebowski character are you?" quiz:


Why don't you check it out? Or we cut off your Johnson!

 
Rockstar di Luigi Milani (sx) e Kurt Cobain (dx) Leggere “Rockstar†di Luigi Milani è un piacevole rientro alle atmosfere del grunge dei primi Anni '90, quell'ibridazione rock che finalmente spedì nel dimenticatoio i suononi yuppistici di troppo pop Anni '80.
L'inizio degli Anni '90 musicalmente è stato dominato da loschi capelloni che indossavano jeans sdruciti e camicie di flanella a quadrettoni. Erano gli Anni del grunge, dei riff di chitarre distorte ad accompagnare voci roche ed esistenzialiste.
Il romanzo ruota attorno alla precoce scomparsa di Phil Summers, leader dei Chaos Manor, nei sobborghi londinesi.
Dopo Anni di successi interstellari, la rapida caduta, dovuta alla morte della sua tanto amata Marie, anch'essa leader di un gruppo rock.
Ma sarà davvero morto? In fondo del suo corpo sono state trovate solo un mucchio di ossa incenerite. A questa domanda cerca di dare risposta Kathy Lexmark, ex vee-jay in cerca di identità.
[da booksblog]

Se è fin troppo facile identificare Phil Summers nel mediaticamente iper-compianto Kurt Cobain, il tenebroso Frank Colan, il fotografo di tutta la musica Rock, ricorda l'Anton Corbijn che ha fotografato e ripreso tutti, ma proprio tutti, i tratti somatici della musica pop, almeno dagli Anni ottanta in poi. Un uomo indurito dall'aver continuamente dovuto affrontare il vertiginoso bilico fra l'essere e l'apparire. In difficoltà con la propria vita ancor prima di dover affrontare la prova definitiva, quella della malattia.


PHOTO ANTON CORBIJN

U2 - PHOTO ANTON CORBIJN

Depeche Mode - PHOTO ANTON CORBIJN
Depeche Mode - PHOTO ANTON CORBIJN

Davvero notevole la prosa nei momenti a forte impatto emozionale, nei quali vi è perfetta simbiosi fra personaggio, ambiente circostante, accadimento e descrizione dell'autore. Altre volte il lessico, forse inframezzato da alcuni tecnicismi di troppo, tradisce il background dell'autore, ma non toglie scorrevolezza ad una narrazione che fin dal principio trascina il lettore alla scoperta di una verità su di una realtà di vita che è invece influenzata da sogni e dal paranormale.

Per chi, come il sottoscritto, ha seguito molto da vicino, o addirittura dal di dentro, i meccanismi dello show-business, “Rockstar†ripropone la semplice verità che esiste dietro ogni impresa commerciale, ovvero che l'espressività, l'emozione, l'arte... lasciano il posto all'intrattenimento, a qualsiasi costo. Musica, teatro, arte contemporanea che sia.

Chi è Luigi Milani
Luigi MilaniLuigi Milani è nato a Roma, città dove vive e lavora, nel 1963. Scrive di musica e tecnologia da oltre un decennio. Ha collaborato con le riviste M Macintosh Magazine e Virtual, occupandosi, tra l’altro, di recensioni letterarie e di interviste a personaggi del mondo dell’arte e dello spettacolo. Negli stessi Anni ha curato per Agorà Telematica e MIX on Line la gestione di diverse aree tematiche. Attualmente scrive per Applicando, rivista leader della comunità Apple, e collabora con alcuni siti Web a carattere musicale. Sul finire degli Anni Novanta ha realizzato i testi dei siti Web di alcuni noti personaggi del mondo dello spettacolo. In veste di sceneggiatore e consulente tecnico ha collaborato con una piccola società di produzione cinematografica di Roma. È autore di un blog molto frequentato, False Percezioni.
Compare con tre racconti nell’antologia “XIIâ€, il primo volume di racconti scritti da dodici autori italiani indipendenti incontratisi nella Rete, pubblicato con il sistema print on demand dell’editore statunitense Lulu.
[da Livia Bidoli su La Repubblica/Roma]

Link al libro su Lulu: http://www.lulu.com/content/600141
Blog di Luigi Milani: http://falsepercezioni.blogspot.com/

 

La prima personale in un museo italiano di Christopher Williams (Los Angeles, 1956) celebra anche la chiusura della vecchia sede della Galleria d’Arte Moderna di Bologna (1975-2007). Concepita come l’ultima mostra da tenere in questo spazio espositivo, l’intervento di Williams costituisce un progetto che collega il layout della mostra con la sua cornice rappresentata dall’architettura della stessa costruzione e dai suoi tre decenni di mostre: questa è la prima (ed ultima) volta in 15 Anni che il visitatore ha accesso al museo dal suo ingresso originario, così riscopre gli itinerari e la disposizione delle masse (e della luce) come erano al tempo in cui il museo fu aperto (1° maggio 1975). E questa, secondo me, è decisamente la parte migliore della visita.

La Galleria d'Arte Moderna di Bologna
Christopher Williams, Kiev 88, 4.6 Ibs. (2.1 Kg) Manufacturer: Zavod Arsenal Factory, Kiev, Ukraine. Date of production: 1983-87
Douglas M. Parker Studio, Glendale, California. March 28, 2003 (NR. 1, 2, 3)

Il lavoro artistico di Williams si posizione in un punto di incontro ideale fra l’Arte Concettuale degli Anni ’60 e ’70, preoccupata di decostruire criticamente gli strumenti e il contesto dell’azione artistica, e il recupero di strategie neo-concettuali tipico delle recenti generazioni di artisti che hanno cominciato ad emergere all’inizio degli Anni ’90. Questa è la definizione accademica del suo lavoro, ma costituisce anche l’imperdonabile limite di questa mostra piuttosto piatta: appesa fra concetti decontestualizzati e estetismi architetturali, ogni singolo suo elemento è solo un altro noioso passo verso l’intero assieme, ovvero una camminata integralmente noiosa fra gli altrimenti mozzafiato corridoi progettati originariamente dal grande architetto Leone Pancaldi.

La Galleria d'Arte Moderna di Bologna
Davide Gazzotti - I corridoi della Galleria D'Arte Moderna di Bologna - Gennaio 2007

[Visitata alla GAM di Bologna con Alessia, Angela, Eva and Francesca on January 25th 2007]
 
di davide del 23/01/2007 in Cinema,  1990 link
Lavorare con lentezza: nessun premio e nessun successo per il primo grande film italiano di Guido Chiesa. Leggi su Wikipedia.
Da CentralDoCinema:
Affresco generazionale in miniatura, “Lavorare con lentezza - Radioalice 100.6 MHz''” è la rappresentazione del cambiamento, o meglio il tentativo di rappresentare ciò che si voleva cambiare negli Anni ’70: la politica, le regole sociali, il lavoro come sacrificio, la mentalità di una generazione. Ma è anche il film dell’autoaffermazione, dell’idea marxista dell’ozio esistenziale, della volontà di riappropriarsi del tempo.
Leggi anche su gli Spietati.
 
di davide del 29/11/2006 in Progetti,  1778 link
[Articolo riportato da http://blog.myspace.com/davidephoto]

I've not been posting for quite a long, but what the hell am I doing lately? Where am I going?

Well.... it's just because of good news: my new project, "NO EXIT", which is being developed these days with Nadia and Lea (two young curators working in Roma) who are plAnning another exposition of mine...

That's whay I am working so hard all nights to write down the concept, the descriptions and all the paperworks needed to get money from the sponsors, etc etc etc

More news to come soon. Hopefully good news ; - )

 
Taipei (TW)
Le città post moderne, lontane Anni luce dalla zone di Apollinaire o dalla banlieu di Baudelaire, assomigliano sempre più a grandi, infiniti ammassi urbani, dove periferia, grosse arterie e centro urbano si aggrovigliano senza soluzione di continuità fino a diventare indistinguibili. Proprio come in film quali True Stories, Blade Runner o anche Arancia Meccanica.

Davide Gazzotti, NO EXIT, DARC - Roma (2006)
In questi giorni è uscito un mio nuovo reportage: "Taipei City, Kowloon and Hong Kong". Una selezione si trova cliccando qui.

 


PHOTO DAVIDE GAZZOTTI 2007


PHOTO DAVIDE GAZZOTTI 2007


PHOTO DAVIDE GAZZOTTI 2007


PHOTO DAVIDE GAZZOTTI 2007

 
 
di davide del 21/03/2007 in Fotografia / Arte,  2530 link
Agoraphobia #1 - NO EXIT PROJECT - PHOTO DAVIDE GAZZOTTISulla punta della lingua, o tip of the tongue, come dicono oltremanica, è un nuovo progetto che inizia pubblicando il saggio della curatrice newyorkese Charlotte Cotton "The New Color: The Return of Black-and-White", notato grazie agli articoli su photo muse-ings.
Su questo promettente nuovo sito dedicato alla fotografia contemporanea, il saggio della Cotton, autrice anche dell'eccellente libretto "The Photograph as Contemporary Art" recita:
..But it is definitely more hit-and-miss for a photographer working in black-and-white to anticipate whether or not the full meaning and contemporary relevance of their imagery will be understood in light of color art photography’s dominance. At the beginning of this millennium, I found it difficult to keep my confidence that photography’s monochrome history continued to exert a strong influence on the way we see...

A career-oriented art photographer (and maybe this is the first generation of artists who can consider it a “career”) sticks very close to the now well-traveled path of contemporary color photography’s aesthetic homage and partial remembrance of, for example, gorgeous Kodachrome, or the beam of an enlarger. In a career-oriented era, perhaps this strategy is wiser than trying to beat a path through the resistance to presenting imagery in other ways and forms that actually respond to the potential of digitization. Of course I feel bemused at why a nascent art photographer would be so openly conservative as to adhere to apparent conventions, and at my most pessimistic, I wonder if there’s too much “trying-to-be-like” Eggleston, Shore, et al., and too little “creative-departure-from” the stellar standards that they have set...
Che sia corretta o meno nelle sue previsioni, o giustificabile nei suoi entusiasmi, questa è tutta un'altra questione. Di certo si tratta di una lettura provocatoria, e penso che molti fotografi tradizionalisticamente analogici e figurativi, compreso il digitalissimo sottoscritto, forse non approveranno alcune delle sue scelte di bianco e nero contemporaneo. E, malgrado personalmente ami anch'io visionare o produrre quello che si potrebbe definire fotografia a colori contemporanea, sono abbastanza consapevole del fatto che esistano ulteriori direzioni da esplorare col bianco e nero...
Sarà inoltre interessante vedere se questo nuovo revival del bianco e nero prenderà davvero mai piede. Francamente ci sono anche alcuni fotografi dell'era pre-colori degli Anni '70 che realizzavano progetti meno narrativi e più grafici, più simili alla serie The New Scent di Jason Evans. Se mai il Bianco e nero prendesse di nuovo piede, rivitalizzarà anche il mercato delle pellicole, della camera oscura tradizionale, etc. etc. oppure la sua resurrezione rimarrà, come credo, totalmente digitale?
Infine mi chiedo come possa evolvere l'arte visuale che amo di più dalla propria intrinseca ancestrale derivatività nell'era della manipolazione teconolgica, ma questa e tutta un'altra storia, che spero di poter coprire con un apposito articolo appena possibile...
 
Colpiscono in modo sottile alcuni interessanti lavori della fotografa russa Ira Vinokurova.
Nata a Kaliningrad poco più di trent'Anni fa, ha saputo meritare la rappresentanza da parte di numerose gallerie occidentali grazie alla delicata rappresentazione dell'instabilità nel quotidiano.
Vive e lavora a Colonia, e le sue stampe lambda di oscuri ritratti e tremanti ambientazioni domestiche sono i lavori dal maggiore riscontro commericale.









Altri lavori si trovano qui e qui.
 
E' successo. Ed è successo sul mio sito. Incredibile, ma assolutamente vero: almeno stando a quanto mi riporatano i sistemi si registrazione statistica degli accessi su tutto l'archivio accumulato on-line, negli ultimi mesi la galleria sulla utopica Città Buzziana della "Scarzuola" ha costantemente superato in popolarità la galleria del Millenium Calendar.


DAVIDE GAZZOTTI - Millennium Calendar n°4 (1999)


DAVIDE GAZZOTTI - La Scarzuola - Cover (2003)

Chi l'avrebbe mai detto? L'architettura, la più fisica delle arti visuali, che supera l'eros di più bassa e popolare fattura!

In realtà la realizzazione del milanese Tommaso Buzzi rappresenta una delle mete del turismo culturale fai-da-te più ricercate e snob del momento: acquistato nel 1956 il convento francescano della Scarzuola, nei verdi meandri dell’Umbria, l’architetto Tommaso Buzzi lo trasformò in vent’Anni di lavoro nella Città Buzziana: una “autobiografia in pietra” composta di edifici compiuti o frammentari, evocati o appena accennati, inventati o ricordati, il cui filo conduttore, a detta dello stesso progettista, sembra essere che nella vita “tutto è teatro”. [Tratto dal n° 155 di FMR 12/2002]

 
Roberto Bozzetti - DJ Pappa Rodriguez - in 'Paris, Dabar'
Bologna, Via del Pratello: una quarantina di persone si sfidano in una gara mitica che nel suo percorso attraversa quattro bar. Ogni tappa, un bicchiere. Ogni bicchiere, un tot di punti. Vincerà chi, in quattro ore, riuscirà a totalizzare più punti o, molto più realisticamente, a rimanere in piedi.

Il film si snoda come una specie di documentario tra le personalità dei concorrenti. Ma se guardiamo più a fondo il film è effettivamente un documentario, infatti molte delle persone coinvolte nel progetto sono artisti, poeti, dj e tant'altro, e nel film non fanno che interpretare sé stessi.
Di tutti i personaggi che partecipano alla gara, il film deve ovviamente fare una cernita, ed è per questo che i caratteri "pienamente" sviluppati, sono meno di una decina. Naturalmente la trama è soltanto un pretesto: qui l'unica cosa che conta sono le vite "diverse", le speranze, i dubbi di tutti loro.
La città rappresentata in questo film ricorda quella Bologna viva degli Anni settanta, con i suoi raduni, i centri sociali, gli Skiantos, così come l'ho sempre immaginata. In più c'è da aggiungere quell'atmosfera alla Ligabue di "Radio Freccia" (tra l'altro nel film c'è Radio K che trasmette in diretta la gara).
Ma se torniamo ai personaggi, possiamo osservare come alcuni siano perfettamente descritti, altri un pò meno. Una menzione speciale la meritano il Pappa (Roberto Bozzetti, che nella vita fa il dj) che, se vincesse vorrebbe solo per un attimo riabbracciare la madre; Osvaldo (Osvaldo Caracciolo, nella vita è un attivista politico nonché marinaio) che è una sorta di Guccini all'ennesima potenza e dulcis in fundo il Trippo (Guido Cristini, co-sceneggiatore del film) personaggio mitico che sembra continuamente "fatto", ma che è assolutamente straordinario. In confronto a questi tre (forse potremmo aggiungervi il Zani e Mario, che nella vita sono artista e poeta, e nel film sono eccezionali!), gli altri personaggi passano un pò in secondo piano. Essendo alcuni personaggi molto riusciti, altri meno, il film alterna momenti alti e momenti bassi. Nel complesso però si sente una sincerità di fondo che non può far altro che piacere (un vero film indipendente!).
Alla fine, più che il premio in palio, l'importante è il farsi capire, poter spiegare quello che si sente dentro di modo che esca fuori ciò che è veramente importante: la "normale" poesia di tutti i giorni.

Renato Massaccesi su filmp.com

Al 47esimo minuto di film, apparivo per errore anch'io subito dietro un trombettista in strada: macchina fotografica al collo, ovviamente... solo un pelo più magro, col ciuffetto, e qualche sogno in più. : - )
 

La prima cosa che colpisce del lavoro del fotografo Ceco Jan Saudek è che le persone nelle sue fotografie di nudi sono gente comune, persone della porta accanto, e non supertop da copertina. La seconda che molte delle sue immagini sono divertenti: ricordo ancora il pomeriggio della fine deglia Anni 90 in cui, in una libreria in centro, con un amica e un'avventore causale, girammo assieme le pagine di uno dei suoi primi libri sbellicandoci dalle risate.

Le sue immagini esplorano più i sogni che la realtà, sebben fortemente caratterizzate dalla sanguigna personalità sempre espressa dalla persona ritratta, e dall'uso della colorazione manuale dell'immagine che produce per se un effetto onirico e non realistico, anche se, ad onor del vero, la scelta di Jan fu dettata dalla accidentale difficoltà di reperire pellicole e sviluppi a colori. Le sue immagini sono contemporaneamente un pugno nello stomaco ed un gioioso inno alla vita, sprizzano forza da tutti i pori, a volte in modo divertente, a volte pateitco, o altre volte un pelo volgare... proprio come la vita vera.

Da un paio di Anni Jan Saudek si è dotato di un grandioso sito internet con quasi 400 sue immagini online, ed anche alcune della sua modella/musa/moglie Sarah. Obbligatoria la vista, senza fretta, e la riflessione: sulla vita in genere e sul modo tutto particolare di Jan e Sarah di comunicarla.

 
Sàra incinta


2 Big 4 U
1981


Rainbow


Espada
1996


Parabellum


Sonho alusivo
1976


Untitled
1987


Luisa
1987


Phorographer as Jesus
1991



TV Lovers
1991



A conquista do Paraíso
1995


Shy Congratulators
1996



Pieta
1997


Vendedor de carne branca
1997





Rapariga checa cantando
1990


Ida
1990



Untitled
2003


La tecnica di Jan Saudek

Jan Saudek è uno di questi, egli è considerato uno dei principali artisti cecoslovacchi contemporanei, è un grande fotografo, un eccellente pittore e fine calligrafo. Nato nel '35 è sopravvissuto alla deportazione nazista mangiando erba e dentifricio. Durante gli Anni del regime Saudek, che ancora non era conosciuto come artista, lavorava in fabbrica (e lo ha fatto per 32 Anni) ma durante il tempo libero coltivava la sua passione per l'arte e la fotografia nell'umida cantina di casa sua.

In questo modo la sua personalità artistica diventa sempre più forte e sempre più definita. Le sue immagini parlano di maternità, di esibizionismo, di feticismo ma anche di parodia del corpo umano, con uno stile assolutamente unico e inimitabile.

Le modelle sono, in genere, sue amiche o conoscenti, come la sua bella compagna e altrettanto valida artista Sára Saudková, che fotografa spesso insieme alla sua amica Olga. Nelle foto di Saudek appare un unico uomo: egli stesso. Dice che non lo fa per narcisismo ma per semplificarsi la vita perchè gli uomini quando devono posare nudi sono sempre impacciati e imbarazzati così fotografa se stesso e risolve il problema.

Non sempre è soddisfatto delle proprie opere ma ammette che se vedesse le sue foto fatte da qualcun altro morirebbe di invidia. Dichiara in un intervista rilasciata in occasione della pubblicazione di un suo libro: "Se una fotografia non racconta una storia non è una fotografia. Forse è la storia di tutti i nostri pensieri, quelli che diventano pubblici e sfidano i luoghi comuni e quelli che per pudore restano confinati".

Le sue foto, in origine erano in bianco e nero o virate seppia, poi decise di sottoporre alcuni amici ad un test: mostrò loro tre versioni di una stessa foto, una in bianco e nero, una virata seppia ed una colorata a mano, tutti scelsero quest'ultima, così prese la decisione di colorare manualmente i suoi scatti in bianco e nero con colori trasparenti ad acqua dando vita a capolavori di straordinaria bellezza.

Le riprese, durante i suoi primi Anni di carriera artistica, venivano effettuate in una cantina, usando come sfondo un muro scrostato dall'umidità che era perfetto per sfumature e tonalità di grigio che restituiva alle foto. Ora può permettersi diversi appartamenti anche lussuosi ma in tutti ha riprodotto quello stesso muro che ha usato tante volte in gioventù.

[di Annamaria da sestazona.it]
 
Finalmente il Word Wide Web si sta davvero affermando, sia come qualità dei servizi disponibili, che come disponibilità delle necessarie tecnologie sottostanti (onestamente non saprei dire quale aspetto sia conseguenza dell'altro, ovvero se viene prima l'uovo o la gallina ; - )).
Così i guru d'oltre oceano hanno inventato un nuovo ed evocativo nome, un nome da promettente versione aggiornata, per etichettare qualsiasi servizio che banalmente sia utile, facile, bello, conveniente, ricco, stimolante, ... insomma che non sia come i troppi pessimi prodotti/servizi web realizzati nei pionieristici Anni del boom speculativo della New Economy.

Una spiegazione più evocativa la si può trovare nel bellissimo video "The Machine is Us/ing Us":

Oppure altro nella miriade di materiali rimbalzati ancora una volta prima nella blogsfera, e solo poi sulle news dei canali mediatici ufficiali (esempio: Ti spiego il web2.0 di webfruits).

In fondo, quindi, Web2.0 non è un prodotto/servizio reale, ma una semplice buzzword : mentre fino allo scorso anno la parola chiave del marketing tecnologico era "lean" (magro), in onore del lean thinking derivato dal caso di successo della Toyota, ora, in onore del Web, tutto quanto è diventato "2.0": "Image2.0", "Design2.0", "Vision2.0", "ProjectManagement2.0", "BusinessIntelligence2.0"... insomma: evviva il buon vecchio marketing, che è riuscito a ridare fiducia e credibilità allo stesso mondo dell'ICT che era drammaticamente imploso poco più di un lustro fa, semplicemente sostituendo una parola (lean) che ricorda la crisi economica ed un modo tutto nipponico di uscirne, con un'etichetta (2.0) che invece è tutta una promessa.
 
Un articolo del New York Times fa notare che "dall'anno scorso i militari hanno applicato un nuovo regolamento che prevede di ottenere l'autorizzazione dai soldati feriti prima che le fotografie di guerra possano essere pubblicate". Bisogna ammettere che un modo piuttosto ingegnoso per evitare che il pubblico possa vedere le conseguenze della disastrosa guerra in Iraq di George W. Bush ...
...(che, non dimentichiamolo, è anche la guerra di quei Senatori che a suo tempo diedero a Bush l'autorizzazione per essa, e di quelli che hanno appena allungato a Bush altri soldi senza condizione). Così adesso siamo nell'assurda situazione in cui la gente non può far nulla per la guerra (perchè qualsiasi cosa che non sia lasciar fare al Presidente tutto quello che vuole "non sarebbe di supporto alle truppe"), e i cittadini non possono neppure vedere cosa sta succedendo (perchè anche fare fotografie "non sarebbe di supporto alle truppe").
(via Conscientious)
Il tradimento dei democratici che hanno staccato un nuovo assegno in bianco alla guerra di George W. Bush è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. E Cindy Sheehan, la madre di Casey - ucciso a 24 Anni a Bagdad nel 2004 - diventata il simbolo del 'no' alla guerra, ha mollato: esausta, delusa e arrabbiata ha annunciato la sua intenzione di lasciare il movimento per la pace. E, in una lettera pubblicata da un sito liberal proprio nel Memorial Day, afferma: "Ho cercato per tutti questi Anni di dare un senso al sacrificio di mio figlio ma ora sono giunta alla più devastante delle conclusioni: Casey è veramente morto per niente". "Casey è morto per un paese al quale interessa di più sapere chi sarà il vincitore del nuovo reality, piuttosto che quante persone perderanno la vita in Iraq nei prossimi mesi, mentre democratici e repubblicani giocano alla politica con le vite umane".
(via Repubblica.it)
 
A quasi quarant'Anni dai "Manicomi" di GiAnni Bernego Gardin e Carla Cerati, non innova ma continua ad emozionare il reportage sociale di Francesco Cocco, anche lui della scuderia Contrasto, in mostra da ieri fino al 30 marzo alla Sala Santa Rita di Roma.
GiAnni Berengo Gardin stesso, nell'introduzione della ristampa del suo storico lavoro, sostiene che: "Spesso non è necessario mostrare foto agghiaccianti per raggiungere un obiettivo. A volte può essere più efficace una fotografia più, come dire, coinvolgente dal punto di vista umano. Che stabilisca un rapporto emotivo e di solidarietà tra il soggetto fotografato e chi guarda la fotografia. Un atteggiamento, uno sguardo un'espressione. Altrettanto importante è non inflazionare i mezzi di comunicazione con fotografie di violenza poiché, come è già stato detto e scritto, la gente non reagisce più e si verifica una sorta di assuefazione" (leggi l'intervista su informatissimifotografia.it).
E le immagini di Cocco sono ottima prova di quanto sono vere queste parole.


PHOTO FRANCESCO COCCO/CONTRASTO
Da Repubblica.it di oggi:

ROMA - Istantanee scattate nelle celle e nei corridoi delle carceri italiane. Un viaggio insolito, per ritrarre quello che comunemente rimane nascosto: l'esistenza quotidiana dei detenuti. Uomini e donne che si sono fatti ritrarre dal fotografo Francesco Cocco e che parlano, attraverso questi scatti.
Le immagini, raccolte nella mostra "Prisons" promossa dal Comune di Roma in collaborazione con "Contrasto", sono visibili a Roma alla sala Santa Rita fino alla fine di marzo.
[...]
Sono immagini scarne, a tratti dolorose e impietose, che non cercano abbellimenti. Le fotografie, in bianco e nero, sono state realizzate tra il 2001 e il 2005 nelle carceri di Milano, Modena, Palermo, Bologna, Trani, Roma, Messina, Prato, Torino, Cagliari, Alghero, Pisa e sono state raccolte nell'omonimo volume "Prisons" pubblicato in Italia da Logos nel 2006, con testi di Adriano Sofri e Renata Ferri.
Scatti che testimoniano un mondo a parte, di cui conosciamo l'esistenza ma che non vediamo, e di cui raramente ci occupiamo.
E' uno specchio duro e oscuro, ma vale la pena di affrontarlo. Anche perché in queste immagini c'è, come nella migliore fotografia, tanto racconto. "Alla fine del libro – scrive Renata Ferri – vorremmo saperne di più, vorremmo conoscere ogni storia dietro ogni volto, vorremmo sognare un lieto fine per ognuno di loro". Come nelle favole.

dal n°63 di Golem l'Indispensabile
 
Quello che gli uomini non dicono / Selon Charlie (2006)"Un boomerang segna la sua traiettoria in cielo e, a seconda di come viene lanciato, torna indietro oppure no." Ai protagonisti di Selon Charlie (2006), film corale dell'attrice e regista Nicole Garcia, quello che non torna è il bilancio della propria vita: tutti devono affrontare i propri fallimenti, anche quelli che per Anni si speravano rimossi. Fallimenti personali, sentimentali, famigliari, emotivi, sociali, sportivi e professionali: tanti i temi abbozzati, come oggi va di moda fare, troppi per analizzare in profondità personaggi in situazioni di passione, non-amore, carriera, politica, malavita, consolazione, spiritualità e religione, omosessualità...
Solo alla fine tutto torna: c'è un bambino che ha il coraggio di svelare la verità rendendo evidente quello che gli adulti facevano finta di non vedere, e, nell'ultima sequenza, riesce a far ritornare il boomergang.

Locandina QUello che gli uomini non dicono

Criticato come pretenzioso e troppo esplicitamente metaforico (la scoperta dell'uomo preistorico Dirk, che pone domande sulla solitudine dell'uomo, la parabola del boomerang che infine torna indietro, etc.), in definitiva noioso, a me questo film invece è davvero piaciuto molto.
Se ci dimentichiamo di nuovo delle solite superficiali traduzioni della distribuzione italiana, col terribile titolo utilizzato (leggi anche di The Eternal Sunshine of The Spotless Mind), e con l'ancor più disarmante pay-off "il film che tutte le donne dovrebbero vedere", in realtà le piccole storie di questi piccoli personaggi di provincia non sono tristi, anzi ci vorrebbero indicare come semplici, ma intense, sono le vere gioie della vita. Il presonaggio più stupefacente? Severine, la bella giovane amante del sindaco, che ha la sfrontatezza di dire sempre le cose come stanno e di soggiogare con dolcezza e femminilità il suo superficiale uomo.
In conclusione, magari ci fosse in Italia un'industria del cinema della qualità di quella francese, che, anche quando sforna film che non saranno capolavori assoluti, riesce a colpire al cuore con intensità e sensibilità. Il cinema di casa nostra, invece, si deve accontentare di sovraesporre gli adolescenziali Muccino, Brizzi e Scamarcio, o, alla meglio, il solito ripetitivo buon Ozpetek.
Ci vorrebbe più poesia anche nel nostro cinema, più Crialese per tutti, insomma.
 
di davide del 10/02/2007 in Cinema,  1841 link
Superato il dogmatismo integralista degli Anni 90, il cinema tipicamente danese del nuovo bellissimo “Dopo il matrimonio” di Susanne Bier, alla fine mi ha fatto letteralmente piangere. Non poco, anzi, a dirotto. Per almeno 20 minuti.


Beh, era almeno da settembre, dal primo ascolto di “0” di Damien Rice, che non piangevo tanto ; - )
 
La Gapminder di Hans Rosling ha sviluppato un innovativo software per visualizzare dati statistici con video animazioni: è in grado di rappresentare dati multidimensionali mediante accattivanti rappresentazioni animate che vanno oltre le tradizionali tecnologie di OLAP e reporting attualmente diffuse sul mercato. Hans in questo intervento alla TED Conference dimostra una bravura narrativa degna dell'Adriano De Zan dei tempi d'oro come ci fa notare Luca De Biase:

Il prof. svedese ha portato i suoi concept in giro per il mondo con comunicazione tanto efficace che è del 18 marzo la notizia che Google compra Gapminder.

Da venturebeat leggo:
Google buys Gapminder, a graphical display company
By Matt Marshall 03.19.07 7:58 AM

Google has acquired Swedish non-profit company Gapminder that produces visually attractive graphics to display facts, figures, and statistics in presentations.
See the site's new home page for an example of what it does, which includes moving graphics and other effects. Hans Rosling, a scientist who led the company, gives an entertaining presentation of the company's offerings at TED. He explains how important public data from UN, government institutions and universities has been hidden in the basement of databases, but that it not been available on the Web in a search format, and that is what Gapminder, as a non-profit had been trying to pursue. The TED audience was clearly moved, and we can only assume some Googlers in the audience likely recommended the purchase. Notably, only software and the Web site were sold to Google, and Rosling apparently didn't get a dime.
Swivel, you'll recall is another San Francisco start-up that lets users play with statistics, and encourages the use of graphics. The company launched last year, after working on its technology for a year. Depending on what Google does with this, Swivel may be forced to focus on its paid version, for sale to companies that want to keep their data private.

Da hebig invece leggo:
Hans Rosling selling Gapminder to Google
posted on 19. March 2007 at 08:47 PM

Venture Beat has the story: Google buys Gapminder.
This is cool. Gapminder was founded by the very smart and entertaining Hans Rosling who has delivered outstanding presentations at several high-level conferences including TED and WEF. Loic also invited Rosling to speak at the LeWeb3 conference in Paris where I was so fortunate to see him present live. At the recent TED07 he even swallowed a sword on stage; I guess that impressed the Google founders who were also present at the conference. Note that Rosling didn't cash in with this transaction as Gapminder (the software) is developed by a non-profit foundation. More details on the story here.

Io non so se essere contento o meno della notizia della cessione. Di certo sono contento per il fatto che forse fra pochi mesi/Anni avremo un servizio "gratuito" e facilitato di analisi visuale dei dati multidimensionali.
Ma se, dopo quella dei GIS, anche la nicchia della Business Intelligence, forse una delle poche ancora galoppanti nell'asfittico panorama dell'IT, venisse banalizzata ed in parte fagocitata da Google? E' ormai storia che con il servizio "maps" prima, ed "earth" poi, realizzati a suon di analoghe annessioni, Google ha messo a disposizione di tutti gli utenti e gli sviluppatori web un'insieme di servizi cartografici molto limitato che ha puntato sulla gradevolezza dell'interazione utente e su ruffiane foto aeree per sfondare in un mondo molto più attento all'apparenza che alla reale qualità dei servizi. Infatti, pur riconoscendo l'innovatività della semplice ed usabile interfaccia utente realizzata per GoogleMaps, e l'efficienza della consolidata architettura a server distribuiti tipica delle soluzioni made in Google, la qualità e accuratezza delle cartografie servite non arriva alla sufficienza per molti utilizzi che vanno al di là del trovare la pizzeria da asporto più vicina a casa. Malgrado ciò, grazie all'innovativo marketing di Google, GoogleMaps e GoogleEarth sono il nuovo punto di riferimento nell'area delle applicazioni GIS. Succederà così anche per le tecnologie acquisite da Gapminder?

La mia morale sulla Google-mania pervasiva è:
- Pro: vulgarizzare servizi vuol dire diffondere democraticamente conoscenza in modo gratuito, o quasi.
- Contro: banalizzare tecnologie a volte causa l'impoverirne l'accuratezza informativa.
- Devastante: fornire tutto ciò nominalmente "gratis" (in realtà secondo un modello di business alternativo) significa rivoltare il mercato come un calzino.

Infatti, offrendo "gratis", pur con qualità inferiori, servizi che altrimenti hanno una complicazione ed un costo non banali, succederà che: da una parte gli operatori del settore (come la Swivel citata da Matt Marshall, ma anche molti altri specializzati in soluzioni di alto profilo anche se più glocal) dovranno fornire un valore aggiunto ancora maggiore per differenziarsi da un prodotto di base molto accattivante disponibile gratis, dall'altra i prezzi scenderanno e i margini (esigui) si ridurranno ulteriormente, e, infine, qualche altro operatore dell'IT chiuderà i battenti. La legge del libero mercato, si dirà. E, col liberismo, la democratica diffusione della conoscenza per tuttri coincide paradossalmente proprio con il declino della pluralità tecnologica e l'affermazione dei giganti dell'industria informatica? Fra Google e Microsoft, IBM e Oracle, Sun e SAP... proprio non saprei quale fra i "monopolisti" mi sta più antipatico... Ah, dimenticavo Apple, il monopolista dei lettori mp3 ; - )
Sarà un bene? Chissà... intanto sembra proprio che l'informatica sia sulla stessa strada che fu dell'automotive un secolo fa: dai tempi pionieristici in cui qualsiasi mente lucida (o qualsiasi officina famigliare) poteva contribuire al progresso producendo qualcosa di innovativo e di pregevole, ai tempi in cui sono rimasti solo 7 grandi nomi che, d'accordo con 7 sorelle, detengono il monopolio globale del know-how e soprattutto delle risorse per sostenere la ricerca e sviluppo ai soli propri fini. Ai restanti solo piccole cose, e alle microimprese solo servizi di manutenzione programmata... in franchising, ovviamente.
Per fortuna che oggi, grazie alla relativa economicità del mondo digitale rispetto a quello dell'industria pesante, abbiamo l'opzione offerta dalle tecnologie Open. Basterà?
 
Vertigo
Il secolo di arte off-media dal Futurismo al web
6 Maggio - 4 novembre 2007
a cura di Germano Celant con Gianfranco Maraniello
MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna - Via Don Minzoni 14
Opening 5 maggio 2007


Sabato prossimo inaugura con questa esposizione che promette forse troppo l'attesissimo MAMbo (Museo di Arte Moderna), successore dopo 32 Anni di servizio della GAM (Galleria di Arte Moderna) di Bologna, destinata invece a chiudere i battenti in quanto tale, mentre l'edificio di Leone Pancaldi sarà riciclato non so come dalla proprietà (l'Ente fiera di Bologna, ancora presieduto da Luca Cordero di Montezemolo).
Alle 19, solo su invito purtroppo, l'inaugurazione. Poi cena di gala per i VIP, oppure festa danzereccia per gli altri.
La prossima settimana vi faccio sapere cosa è successo davvero. Il resto lo potete leggere dai comunicati stampa o sui media tradizionali ; - ).

 
Leggo su "A Photo a Day" che assieme all'ex-presidente Bill Clinton e all'ambientalista E.O. Wilson, il fotogiornalista James Nachtwey è uno dei vincitori del Premio TED (Technology, Entertainment, Design) 2007.

Nel suo discorso, parla degli ultimi 25 Anni di guerre coperte come reporter, e sottolinea due filoni paralleli nei suoi lavori. Il primo che la violenza, la carestia, la malattie, tutti i "fronti" delle guerre contemporanee sono esattamente dove la gente vive. E il secondo che, quando una fotografia attira l'attenzione del mondo, può davvero guidare all'azione per il cambiamento. Mettendosi in mezzo al conflitto, la ruffiana intuizione di Nachtwey è quella di raccontare la verità, di documentare le lotte dell'umanità, e così facendo svegliare gli animi e spingerli all'azione.

L'utopia di questo premio risiede nel fatto che TED garantisce ad ogni vincitore 100,000 dollari e il supporto di multinazionali, che così si fanno pubblicità e scaricano utili in eccesso, per aiutarli in progetti che si propongono di cambiare il mondo, in un modo o nell'altro.

Il desiderio di Nachtwey è "lavorare sulle storie che il mondo deve conoscere, e influenzarle provando la potenza del fotogiornalismo nell'era digitale".

Di seguito ecco il suo a tratti terrificante discorso (in inglese) accompagnato dalle note e sensazionali immagini di invincibile sofferenza... vale la pena seguire questi 20 minuti di presentazione malgrado le non sue ottimali doti oratorie.


 
E' gelida ma sempre bellissima la Venezia del mio giorno ai Giardini della 52a. Biennale d'Arte Contemporanea. E' Venezia: un fenomeno, non una città, se non in un senso tutto surreale e Calviniano del termine.

Pensa con i sensi - Senti con la mente. L'arte al presente” è il pay-off dell'edizione 2007 della più importante mostra di mostre d'arte contemporanea d'Europa, o, in inglese, “Think with senses – Feel with mind” senza il “the” di troppo, come mi ha fatto notare un amico filologo.


Se anche all'Arsenale spesso scarseggiano importanti novità e forti emozioni, le selezioni dei tradizionali padiglioni nazionali dei Giardini rappresentano un vero e proprio inno alla importanza della catena produttiva più che ai contenuti: lo sforzo creativo di light designer, installatori, curatori e esperti di comunicazione supera troppo spesso la qualità o l'innovatività delle opere, che troppe volte risultano deja-vue, o addirittura appaiano come derivative delle produzioni Anni 80 o 90 in modo alquanto imbarazzante.


Molte le “cose belle” viste, ma mi hanno emozionato davvero pochi padiglioni. Non voglio citare la pregevole e osannata da critica e pubblico “Abbi cura di te” della francese Sophie Calle, perchè uno sopra tutti ha presentanto il mio personale modo di vedere con le immagini: la cinematografica video installazione “Le donne che non conosciamo” del regista catalano José Luis Guerin, all'interno della reinterpretazione del “Paradiso Spezzato” di Ezra Pound voluta dalla curatoria spagnola.




Interessante anche la mercificazione dell'opera d'arte ben rappresentata dalla curatoria - manco a dirlo - americana che ha scelto le opere del già visto Felix Gonzales-Torres: gli avventori, invitati a portarsi a casa uno o più poster, diventano propagini viventi dell'installazione, e, sparsi per tutta Venezia, riconoscibili per i rotoli cartacei sotto braccio, incarnano la realizzazione del consumismo alla “take away”, che, infine, trova pace nel cestino delle pattumiere o dei nostri ingordi stomaci.



Troppo didascalica e davvero fuori tema l'opera fotografica presentata nel padiglione del Venezuela. Troppo rifinito invece il sottile concept della poetica del complesso di inferiorità nel “The Homo Species” del koreano Hyungkoo Lee.


Su quest'ennesima VERTIGO installativa non mi dilungo oltre, ma mi auguro solo che ogni tanto più ampia parte dei budget milionari che servono a produrre eventi del genere siano dedicati alla scoperta di nuovi e più inesplorati territori della comunicazione emotiva.


L'intero diario fotografico si trova qui.

Update 24/11/2007: interessante il commento ai "Giardini della Biennale" di Nadia, che si trova qui.

Update 28/11/2007: Paola mi segnala l'interessante video-installazione "I wil die" di Yang Zhenzhong:
 
di davide del 25/04/2007 in Blogging,  4704 link
164 BPMNon sto parlando del cuore emotivo, che, dopo il brutto "infarto" di un paio di Anni fa, si è già perfettamente ripreso, anche di dimensioni minori di un tempo.
Parlo proprio del mio cuore biologico: ora batte più lentamente, con calma serafica, e potente. Posso correre per ore, posso respirare a pieni polmoni, posso riprendere a vivere a 60 o a 160 battiti per minuto ed anche oltre. Quando serve. Solo se ne vale la pena.
Come disse Lester in American Beauty, dopo essere riuscito a cambiare la sua vita, ma pochi attimi prima di morire ammazzato dalla cieca furia del suo vicino di casa: "Sto da dio - lunga pausa - sto da dio".


PHOTO DAVIDE GAZZOTTI
I had always heard that your entire life flashes before your eyes the second before you die. Only that one second, isn't a second at all, it seems to stretch out forever like an ocean of time. For me it was lying on my back at boy scout camp, watching falling stars. And the maple trees that line our street. Or my grandmother's hands, and how her skin seemed like paper. And the first time I saw my cousin Tony's brand new Firebird. And Janey. And my last thought was of Carolyn. I guess I could be pretty pissed off about what happened to me, but it's hard to be angry when there's so much beauty in the world. Sometimes, I feel like I'm seeing it all at once, and I can't take it. My heart swells up like a balloon that's about to burst. But then I remember to relax, and stop trying to hold onto it. And then, it flows through me like rain and I feel nothing but gratitude for every single moment of my stupid little life. You have no idea what I'm talking about, I'm sure. But don't worry. You will someday.

(Lester Burnham, American Beauty.)
 
di davide del 04/02/2007 in Fotografia / Arte,  4123 link

Esattamente 8 Anni fa scrivevo una pagina del mio personale diario proprio su ArteFiera, e la "pubblicavo" su un proto-blog realizzato tramite una mailing-list di amici, artisti e creativi che ruotavano attorno ad un sito open e ai "suoi" progetti...

Pavimentazione vuota a tratti di gente ad ArteFiera 2007
DAVIDE GAZZOTTI - Pavimentazione affollata a tratti ad ArteFiera 2007

...e, non inaspettatamente, molte delle considerazioni fatte allora si possono traslare in quello che è successo in questi Anni all'arte, alle fiera, ad ArteFiera, ed al sottoscritto ; - )
Differenze da allora? Beh, innanzitutto la scomparsa definitiva delle gallerie innovative che noleggiavano gli spazi espositivi nel sovrariscaldato piano superiore perchè più economici, poi la drastica riduzione di arte moderna (fino alla pop inclusa), per dare spazio a più realizzazioni contemporanee. Non che con questo la qualità delle emozioni provabili barcollando per un tale mercatino ne guadagni, anzi... non è che forse sto invecchiando io?

Uno dei momenti più elevati e creativi l'ho vissuto durante la illuminata performance estemporanea di Lilia e Paolo, che ha attirato l'attenzione di svariati visitatori ed ha segnato un notevole aumento di presenze allo stand utilizzato come scenario:

Paolo Dondini - Una di queste opere ritrate ad ArteFiera 2007 è un falso. Quale?
Paolo e Lilia - Una di queste opere ritratte ad ArteFiera 2007 è un falso. Quale?

Infine, per memoria storica, riporto lo scritto a cui mi riferivo in principio, recuperato in qualche dimenticato meandro del mio archivio elettronico.
See you later, d.

----- Original Message -----
From: Gazzotti Davide
Sent: Monday, February 01, 1999 3:08 PM
Subject: [aciderror] Diario a caldo di un profano nella tana dei mercanti dell'arte

ArteFiera99: potrei enumerare i nuovi spazi espositivi, oppure decantare statistiche di visitatori e numero d'opere esposte in costante crescita, ma questo compito è svolto egregiamente dagli organi d'informazione ufficiale.
Invece quello che voglio raccontare è l'improbo tormento di voler provare il brivido di una sensazione nella tana dei mercanti dell'arte.
Unica notevole novità è lo spazio per le installazioni artistiche di grandi dimensioni, in cui, fra i vari Argan e i neoclassici dozzinali, fa bella mostra di sè lo stand promozionale di una premiata fonderia bolognese.
La sempre presente mostra fotografica è quest'anno sponsorizzata da una nota casa di lingerie: la galleria sensoriale, che ospita immagini di Parisotto Vay, mi ha regalato il primo sospirato brivido. Sarà stato merito dell'impressionante impianto luci o della mistica musica di sottofondo, ma le già ben note curve, dinamiche e al tempo stesso statuarie, immortalate da Parisotto evocano la componente più classica e onirica dell'universo femminile restituendo ugualmente sipido dinamismo e modernità che sempre urgono nella vita dell'uomo contemporaneo. Ma se non siete riusciti a visitarla entro il lunedì sera di chiusura dei battenti, potete comunque ammirare molto di questo materiale fra i "-50%" della prossima fiera del libro.
Il padiglione dei galleristi più classici, soffocandomi con un clima antitetico a quello stagionale, fuga qualsiasi altro tentativo di involontario irrigidimento cutaneo. Un affollamento senza precedenti, nella mia breve carriera di profano di arte ad una fiera, in cui risalta più la pasta di cui è fatta la gente presente che la poeticità e talvolta modernità delle molte opere spesso mal assortite ad ammassate negli spazi espositivi. Rari, in questa zona, gli studenti e i veri amanti dell'arte; diffusi, invece, i collezionisti fighetti ed i mercanti in genere. Potrei ricordare che questo non è più l'anno boom di Galliani, ma quello di Valentini (con cui i due terzi dei galleristi millantano esclusiva collaborazione). Oppure potrei notare l'imponente apparato propagandistico dedicato al presunto ritrovamento di alcune vecchie matrici di cinque litografie di un anziano artista lusitano. Oppure, ancora, potrei elencare la quantità di "classici" invenduti (De Chirico, Sassu, Mirò...) che molti galleristi non hanno avuto neppure l'accortezza di montare in posizione diversa da quella che occupavano nell'edizione dell'anno passato.
A questo punto le vampate di aria viziata e le bombe sensoriali a cui i miei occhi curiosi sottopongono le già stanche meningi mi costringono ad un disordinato barcollare da uno stand all'altro alla ricerca disperata di quel tanto sospirato brivido che, in fondo, è il sale della vita.
Salgo le lunghe scale mobili nella speranza che il padiglione dei moderni, degli innovatori, mi riservi qualche sorpresa. Non resto deluso, malgrado l'apparente eccessiva ricerca di impatto visivo a tutti i costi, spesso a scapito della poesia, che pervade le produzioni artistiche più recenti.
L'unica frustrazione qui mi è riservata dallo stand che espone foto e statuette di pessimo gusto, ma con sfondo sessuale, che, grazie a ciò, riceve un immeritato climax di visitatori, evidentemente molti più profani
di me. Ammiro i purtroppo scadenti Wharol di un gallerista fiammingo, fuggo nauseato dai diffusi scempi altrui del Donzelli, rivedo volentieri le belle fotografie istoriate di un autore arabo il cui nome, ovviamente, mi sfugge, rimango incantato di fronte ai poetici volti e alle mani rappresentate da una giovane artista padana, e trattengo un conato davanti all'esteticamente irrilevante quadro che documenta il parto di un ermafrodita...
Prima di uscire mi tolgo una curiosità: domando il prezzo di un dolcissimo angelo di Omar Galliani, in realtà già marchiato con il bollino di "venduto", in modo da evitare la potenziale insistenza del venditore. Più di 8 delle mie mensilità nette! Meno male, tanto la vera arte è bello fruirla e non possederla. Quando la compri a così caro prezzo la stai violentando, la stai rinchiudendo in una prigione, dietro sbarre che ne tarpano le ali: non può più volare in alto nel cielo, non può più regalare a nessun altro che a te il brivido che egoisticamente stavi cercando.
Di ritorno verso l'automobile mi chiedo cosa voleva comunicare quell'artista che ha incollato una serie mainboard di vecchi PC ad una tavola e poi ci ha colato un po' di plastica nera sopra... Lascio perdere, giro la chiave e pago il parcheggio quasi soddisfatto della mia domenica pomeriggio, ma con un unico groppo in gola: peccato che i mercanti dell'arte mi abbiano costretto all'esborso di 20mila di ingresso e 6milae5 di parcheggio, prezzo invero in linea con altre esposizioni commerciali. Per una fiera così mercantile, per farmi visitare il mercato delle pulci dei grandi artisti, potevano però essere più generosi, soprattutto immergendomi nei pAnni dello studente universitario interessato all'arte e alle nuove tendenze, ma, evidentemente, questa fiera non è a lui dedicata.
Davide
mailto:davide@davidegazzotti.com
acid your life: http://www.acidlife.com/
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[Visitata 1 settimana fa alla Fiera di Bologna con Lilia e Paolino]

 
Ando Gilardi
Ando Gilardi è il pioniere degli studi italiani sulla fotografia e il fondatore della Fototeca storica nazionale. Ha lavorato a lungo come giornalista e fotoreporter. È stato per alcuni Anni direttore tecnico di “Popular Photography Italiana” e tra i fondatori e condirettori di “Photo 13”. È autore di numerosi saggi e articoli. Per la Bruno Mondadori ha pubblicato: Storia sociale della fotografia (2000), Storia della fotografia pornografica (2002), Wanted! Storia, tecnica ed estetica della fotografia criminale, segnaletica e giudiziaria (2003) e Meglio ladro che fotografo. Tutto quello che dovreste sapere sulla fotografia ma preferirete non aver mai saputo (2007).

"MEGLIO LADRO CHE FOTOGRAFO - Tutto quello che dovreste sapere sulla fotografia ma preferirete non aver mai saputo"
In questo agile libretto, un grande protagonista del panorama della fotografia italiana concentra la sua straordinaria esperienza maturata in più di mezzo secolo vissuto tra le immagini. La sua attività di fotografo nel campo del sociale, lo sviluppo di un’impostazione anarchica della teoria fotografica, l’indagine dei cambiamenti della società attraverso un’osservazione partecipata: sono soltanto alcuni degli ingredienti che compongono la vita avventurosa di Ando Gilardi e che, qui, si trasformano in riflessioni indispensabili per tutti i giovani che aspirano a diventare fotografi.
La fotografia è un’arte difficile, spesso praticata in modo amatoriale come distrazione dai pensieri quotidiani. E proprio a chi fotografa per diletto può risultare preziosa l’esperienza di Gilardi che, pur nella consapevolezza di trovarsi di fronte a un mezzo in continua evoluzione, conosce a fondo i meccanismi e i segreti di uno dei modi più meravigliosi che abbiamo per soddisfare il nostro “bisogno visivo”.

(via brunomondadori.com)

 
Il mio blog me lo sono prescritto alla fine di gennaio del 2007: ho installato sul mio sito vecchio di sette Anni (e si vede) dblog, una piattaforma open, e riversato una dozzina di articoli scritti su myspace per gioco, e quindi ho cominciato a registrare irregolarmente, col tono un po' saputello del professorino mancato, parte di quello che mi capitava sotto gli occhi o dentro le meningi al solo scopo di autocelebrazione personale, senza nessuna velleità che la mia vena artistica o comunicativa fosse degna di qualsiasi attenzione o di pubblico. D'altra parte esistono blog di professionisti della comunicazione che invece meritano davvero visite e successo, per qualità e/o originalità dei contenuti.
Quasi subito trovo l'inziativa di sid05, che a sua volta riprendeva una analogo post virale dalla blogsfera anglofona, delle facce di 2000 blogger italiani. Subito mi iscrivo, entro in "lista" ma pubblico il post virale in questione solo con almeno una 20ina di giorni di ritardo, ma retrodatato.
Ieri leggo (non so più dove) che una piattaforma di nanoblogging (fenomeno di cui si parla in tutte le salse), tumblnr, è ancora altamente insatura. Quindi accendo l'account davidephoto.tumblnr.com e posto solamente 1 foto appena postata sul mio blog e i link al mio sito ed al mio blog. Succede che:
  • Raddoppiano i visitatori unici sul blog (da 70 a 150 visitatori al giorno)
  • Triplicano le pagine lette sul blog (da 120 a 450 al giorno)
  • Si moltiplicano a dismisura anche i link uscenti
  • Secondo Technorati ed altri tool di ranking la posizione in classifica del mio blog, per quello che vale, aumenta radicalmente ed immeritatamente in un paio di giorni soltanto
Progressioni del genere non le avevo ottenute neanche quelle 3 o 4 volte che sono stato linkato da importanti blog di professionisti della comunicazione. La mia interpretazione:
  • Il solo essere presenti nelle social network globali, quando ai loro inizi sono poco popolate anche se inspiegabilemnte molto popolari perchè ne parlano tutti (come la semplice e poco abitata internet di 12 Anni fa quando mi affacciai al web), anche se senza contenuti causa curiosità, e quindi traffico.
  • L'autocitarsi, i meme virali come "2000 bloggers" e molti altri, e i meccanismi sociali di commenti e controcommenti, esaltati dai tool di ranking come Technorati non determinano il successo (ovvero l'utilità sociale) di una pubblicazione. Tantomeno ne qualificano la qualità, che, per altro, è assolutamente soggettiva.
  • Il traffico ora iniettato sul mio blog dall'effetto contemporaneo "tumblnr + esposizione di un meme" è traffico "finto", ovvero fatto per lo più di blogger non interessati ai contenuti (di qualità discutibilissima) del mio blog. Calerà presto per tornare ai volumi precedenti.
  • Vantaggi per me? Nessuno.
Ho tralasciato qualche considerazione? Immagino di sì...
Buona festa della liberazione.
 
Cristina DonàIl mio cardiofrequenzimetroPochi giorni fa è uscito l'ultimo bel disco di Cristina Donà, ma riascolto tuttora spesso i suoi primi folgoranti lavori ("Tregua" e "Nido") realizzati nel contesto creativo dei primi Anni 90, in quel subbuglio del rock italiano che stava producendo la Mescal Records.
E domani è il suo quarantesimo compleanno: auguri Cristina : - )
Proprio ieri, come cantava Cristina in "Triathlon", ho registrato il mio battito minimo... mi devo preoccupare?

"Cristina Donà è la più grande cantautrice italiana e lo è suo malgrado. Perché, come accade a certi grandi artisti, se all'origine dell'espressione creativa non ci fosse un'esigenza profonda di verità su se stessi e sulla vita che si vive, la loro natura li avrebbe condotti ad altre occupazioni, forse più semplici e tranquillizzanti. E, invece, scrivere canzoni e cantare per Cristina Donà ha a che fare con un desiderio insopprimibile di vederci chiaro e di capire come debba essere vissuta questa vita che sembra scapparci da tutte le parti." - (Stas' Gawronski, critico letterario, dal sito di RaiLibro)
So che un braccio dopo l’altro
porterò a destinazione
questo corpo calpestato
dalle tue rigide mancanze.
Ho attraversato giorni da diluvio universale,
ora so scivolare sull’acqua...è una questione orizzontale.
Scivolerò sui tuoi rimpianti
mai pianti con me.
Scivolerò, ma il tuo amore dov’ era?
Tengo al minimo il battito,
controllo che il respiro non ceda.
Tengo al minimo il battito,
controllo che il respiro mi segua.
La ruota davanti m’implora di non insistere con la pressione.
Il cuore sul manubrio
sembra pronto a decollare.
Hai trasformato pianure in salite devastanti,
ora tornerò a sognare coi miei occhi scintillanti.
Aumento la distanza, il vantaggio su di te
e non aspetto che qualcun altro provveda.
Tengo al minimo il battito,
controllo che il respiro non ceda.
Tengo al minimo il battito,
controllo che il respiro mi segua.
I piedi toccano terra, comincerà la resurrezione.
E’ l’ultima parte di fuga, vedo la polvere che si solleva.
Fuori da un passato confuso con dentro l’alibi di una visione,
continuerò la corsa, ma non sono più preda.
Tengo al minimo il battito,
controllo che il respiro non ceda.
Tengo al minimo il battito,
controllo che il respiro mi segua

Cristina Donà - "Triathlon" da "Dove sei tu" - 2003

Il sole a settembre mi lascia vestire ancora leggera, il fiume riposa negli argini aperti di questa distesa.
Tu mi dicevi che la verità e la bellezza non fanno rumore: basta solo lasciarle salire, basta solo lasciarle entrare.
E' tempo di imparare a guardare. E' tempo di ripulire il pensiero. E' tempo di dominare il fuoco. E' tempo di ascoltare davvero.
L'amore a settembre mi ha fatto sentire ancora leggera. Il giorno sprofonda nei solchi bruciati di questa distesa.
Tu lo sapevi che nessuna gioia nasce senza un dolore? Basta solo farlo guarire, basta lasciarlo entrare.
E' tempo di imparare a guardare. E' tempo di ripulire il pensiero. E' tempo di dominare il fuoco. E' tempo di ascoltare davvero. E' tempo di imparare a cadere. E' tempo di rinunciare al veleno. E' tempo di dominare il fuoco. E' tempo di ascoltare davvero.
L'amore a settembre mi ha fatto sentire ancora leggera.

Cristina Donà - "Settembre" da "La quinta stagione" - 2007
 
Money from PicturesPochi Anni fa non esistevano o quasi agenzie fotografiche Royality Free. Ora dicono siano la maggior parte del mercato della fotografia "stock", ovvero da archivi dove trovare generiche immagini per editoriali, piccole borchure, siti web, etc., anche se, onor del vero, cifre certe è difficile elaborarne.

Tutto è nato anche perchè il prezzo delle immagini d'archivio, già reperibili on-line sui siti di tradizionali agenzie ad alta qualità, era davvero troppo elevato, quindi riservato ad impegnativi progetti di immagine coordinata e fuori dalla portata di micro imprese, progetti più piccoli (sono la maggioranza) o studenti di (web) publishing. I siti di Microstock photography sono la risposta a questi bisgoni: si affidano principalmente a fotoamatori che inviano e catalogano le loro immagini sul sito, ed offrono fotografie ad alta risoluzione addirittura a partire da 1 dollaro, normalmente dai 2 ai 10 dollari, e in più sono Royality Free, ovvero senza ulteriori Royalties da pagare a prescindere dal numero o dalla tipologia di utilizzi, commerciali e non, da parte dell'acquirente. Sono la risposta massificata alla richiesta generalizzata di enormi quantità di immagini sempre "nuove" con cui bombardare le masse.

L'avere come fonte di contenuti hobbysti desiderosi di sprecare tempo per incassi nel 99,9% dei casi marginali, e la meccanicità dei criteri di accetazione delle immagini, fa si che l'enorme mole di materiale catalogato su di un sito Microstock necessiti di una più accurata selezione da parte del committente per trovare l'immagine comunicativamente giusta e con qualità (non solo tecnica) giusta per il progetto in corso. L'enorme quantità di hobbysti, con a disposizione una fotocamera digitale ed una copia di Photoshop, desiderosi di esposizione, riconoscimento morale e condividisione dei risultati, ha fatto sì che le Microstock agencies strutturassero il proprio sito più come un social network che come il sito di un'agenzia fotografica on-line. Questa è stata la mossa vincente dei pochi nomi che ormai sono accapparrati il mercato.

La struttura di prezzo rivoluzionaria, inoltre, è riuscita a stravolgere questa nicchia di mercato nel giro di un paio d'Anni: queste Microstock agencies stanno causando seria preoccupazione alle agenzie di stock photography tradizionali, e stanno già influenzando le loro strategie di mercato, dice questo articolo sul New York Times.

Dal punto di vista del diritto, Royality Free nulla c'entra con il Copyright o il Copyleft, o la sempre più diffusa licenza Creative Commons: il diritto di ripoduzione originario resta di proprietà teorica all'autore, e solo in alcuni casi può essere trasferito in esclusiva alla agenzia on-line, ma viene concesso in modo illimitato a chiunque acquisti a queste ridicole cifre le immagini.

Per provare personalmente questi servizi, anch'io mesi fa misi in vendita, sotto pesudonimo, qualche dozzina di scatti realizzati per caso, o qualche scarto da progetti di cui possiedo tutti i diritti, oppure ancora immagini che non avevano qualità sufficiente per essere accettate nei siti delle agenzie "macrostock". Da parte mia confermo i risultati economici insoddisfacenti, d'altra parte ad 1 o 2$ per immagine, per di più disperse in banche dati con uno o più milioni di foto tutte ugualmente mediocri, è difficile emergere e fare i grandi numeri necessari a giustificare il tempo impiegato per l'upload e la catalogazione delle immagini sul portale di stock photo. Chi ci è riuscito sono in pochi, i pochi pionieri un paio di Anni fai di questo nuovo mercato fotografico, che avevano il tempo di inviare e catalogare centinaia immagini un pelo sopra la media in banche date da poche decine o centinaia di miliaia di foto, e che ora, per via dei meccanismi di misurazione di popolarità tipici delle social network si trovano un'esposizione molto maggiore del tipico nuovo arrivato.

La novità che ho scoperto oggi verificando il log delle vendite dell'ultima settimana è che anche i grandi nomi del marketing e dell'immagine coordinata hanno qaulcuno al loro interno che, magari per piccoli progetti o per comunicazione interna, evita i costosi siti ad alta qualità d'immagine di Alamy, Corbis e Getty, e si occupa di scaricare praticamente gratis dai vari Shutterstock o Fotolia, al solo maggior costo del maggior tempo necessario al tipicamente sottopagato addetto incaricato della selezione per trovare le immagini giuste e di ottima qualità. Nomi dal log delle mie vendite di questa settimana? Ecco: JWT, R&R Partners,......!!!!

Bene, questa è la conferma della morte ufficiale della Stock Photography come business.

Più in generale, dopo l'affermazione dell'Open Source nella produzione del software e del Peer2Peer nella distribuzione audiovisiva, è la morte nel mondo digitale del modello di business basato sul prodotto (o sul detenere esclusiva un brevetto o un'opera creativa). Stiamo irreversibilmente diventando una società di servizi, alcuni condivisi, altri a pagamento, e il modello di business produttivo tradizionale rimarrà unicamente per i prodotti tangibili, di cui è reso necessario (o di cui è reso necesario) il possesso. La conoscenza, unico vero asset nel nuovo mondo digitale, essendo anch'essa condivisa, non da diritto a nessuna remunerazione. Speriam solo che restino in piedi abbastanza business tradizionali per permettera a noi servitori nella società dei servizi di pagar tutte le bollette a fine mese ; - )

 
Ricopio da bernyblog una notizia che contiene un appello importante:
Epicuro/MillelireÈ questa la richiesta di risarcimento simbolico a RCS per lo sfruttamento dell’idea Millelire, appena avanzata in una lettera aperta da GiAnni Laterza a cui è possibile aderire. Lo scopo è quello di destinare una minima parte di ciò che il gruppo editoriale introita dai suoi Corti di Carta, in fase di lancio, a un fondo per la pubblicazione di testi di qualità. Risarcimento simbolico ma più che dovuto, visto che ora RCS riprende e si appropria (o almeno ci prova) di quella “ardita sperimentazione di un gruppo di pazzi scatenati e visionari guidati da Marcello Baraghini.”
Dal 1989 i Millelire di Stampa Alternativa sono divenuti una mitica collana ormai cult, con oltre mille titoli che “ancora trasudano attualità e vivacità e sono oggi oggetto di grande attenzione nel mercato del collezionismo.” Una trentina dei quali sono liberamente disponibili in formato elettronico su Libera Cultura. Senza dimenticare, prosegue Laterza, che “tante persone, senza distinzione di censo, hanno nutrito le proprie librerie di cultura preziosa. I libri Millelire sono diventati per Anni il mezzo identificativo di intere generazioni.” E oggi, appena 18 Anni dopo la loro nascita, quelli del Corriere scoprono l’acqua calda e li propongono come fosse un’idea loro — forti del fatto che sono grossi e prepotenti. Un risarcimento simbolico è proprio il minimo che gli si possa chiedere.

Dello stesso argomento scrivono anche Marcello su Riaprire il fuoco e Antonella Beccaria sul suo blog.

 
PHOTO SARAH SAUDEKOrmai ha quasi quarant'Anni la bella Sarah Saudek (o, come si dice, Sarah Saudkova). Nata nel 1967 in Repubblica Ceca, si è laureata all'Università di Economia di Praga. Ha prima condotto un programma TV e ne ha fatto da autrice, per poi diventare partner, modella e manager di Jan Saudek.

Jan e Sarah

Jan Saudek (classe 1935) è indubbiamente il primo grande fotografo moderno della Repubblica Ceca, ed è famoso per i suoi crudi nudi che focalizzano, con tecnica ruvida, un erotismo grottesco e intrigante, sia nella forma che nel contenuto. Wikipedia ci suggerisce di non confonderlo con il quasi omonimo Josef Sudek (1896-1976), che, francamente, non sapevo neanche chi fosse. Sarah invece oggi è descritta su www.saudek.com che Jan e Sarah condividono, come "il braccio destro" del fotografo Jan Saudek. Col lavoro di assistente, Jan Saudek la ha introdotta alla fotografia: "Il maestro Jan mi ha insegnato l'artigianato della fotografia, perchè non c'è scuola migliore...".
Sarah Saudek ha cominciato a realizzare le prime fotografie tutte sue nello studio di Jan nei tardi Anni 90 (i primi lavori pubblicati sono datati 1998), ed ha successivamente dimostrato una certa abilità a sviluppare uno stile proprio, pur nell'esplorazione di territori simili a quelli del proprio mentore. C'è femminilità e una qualche tenerezza nel suo lavoro. Dopo un paio d'Anni che fotografava, Jan affermò addirittura che le immagini di Sarah erano superiori alle sue. Potenza dell'amore? Può darsi. Di certo la raffinata ruvidità della visione e della tecnica del Maestro, qui addolcita, lascia posto ad una imperfezione tecnica meno piacevole.

The Kiss
Forse il più forte dei suoi lavori giovanili è 'The Kiss', 1999, che dimostra un deciso approccio grafico al soggetto, riprendendolo dal basso: una vista d'effetto di un semplice atto. Altra immagine significativa è 'The Tenderness' (2000), un'altra coppia, questa volta nudi, in ginocchio, ma ripresi dall'alto.

The Kiss - PHOTO SARAH SAUDEK
The Kiss, 1999 - PHOTO SARAH SAUDEK

The Tenderness - PHOTO SARAH SAUDEK
The Tenderness, 2000 - PHOTO SARAH SAUDEK

L'intimità
Ci sono immagini di Sarah che potebbero offendere qualcuno per via della presenza del nudo o anche di atti sessuali espliciti, ma di certo non si tratta di nulla di pornografico o di bassamente stimolante, anzi, piuttosto, l'immaginario di Sarah Saudeck tende a rappresentare il lato più divertente e commovente della sensualità. C'è una profonda intimità in molto del suo lavoro, un senso di essere parte di una famiglia che si ama, come in 'Holy Virgin', 2003, in cui Sarah impersona la Madonna, 'The 1st Step' e 'Vis & Vis'. In molte di queste immagini viene celebrata la vita.

Holy Virgin, 2003 - PHOTO SARAH SAUDEK
Holy Virgin, 2003 - PHOTO SARAH SAUDEK

Vis a vis, 2003 - PHOTO SARAH SAUDEK
Vis a vis, 2003 - PHOTO SARAH SAUDEK

Il centro del mondo
Il celebre quadro di Gustave Courbet 'L'Origine del Mondo', (che si trova al Musee d'Orsay di Parigi) all'epoca della realizzazione (1866) turbava gli osservatori semplicemente mostrando un torso di donna a gambe aperte. 'The Middle of the World' della Saudek, 2001, riprende da un punto di vista simile il pancione di una donna incinta, ma gioca sull'idea del mondo mostrando la pancia sotto forma di enorme globo. Difficilmente ci sarà qualcuno che si turba per queste cose oggigiorno, piuttosto c'è da farsi una simpatica risata.

The Middle of the World - PHOTO SARAH SAUDEK
The Middle of the World, 2001 - PHOTO SARAH SAUDEK

The Priest
Finita la scorpacciata maternalista decisamente autobiografica, le immagini della Saudek sono tornate a percorrere il terreno dell'irriverente denuncia della componente carnale dell'uomo. E non potreva mancare un'immagine sicuramente controversa come quella del prete omosessuale.

The Priest, 2005 - PHOTO SARAH SAUDEK
The Priest, 2005 - PHOTO SARAH SAUDEK

Per finire
La fotografia di Sarah risulta decisamente influenzata da quella di Jan Saudek, peccato manchi di quella forza espressiva e quella ricercata ruvidità tecnica che hanno reso famoso l'immaginario erotico del suo grande mentore. Manca quella sofferenza che trasuda da ogni poro della pelle del grande Jan Saudek.
Malgrado l'indubbia bravura, nella storia della fotografia la bella Sarah è stata per ora forse più importante come musa e come editor di Jan, che come fotografa; malgrado ciò è davvero piacevole una sosta ragionata almeno al sito internet.
 
Ashes and Snow by Gregory ColbertAshes and Snow, ceneri e neve, sono i poetici componenti del più maestoso progetto artistico che la fotografia contemporanea ricordi.
Gregory Colbert, nato in Canada 47 Anni fa, ma davvero cittadino del mondo, è autore di un progetto che indaga la sensibilità poetica degli animali nel loro habitat naturale nell'interazione con gli esseri umani. Non più visti unicamente come appartenenti al genere umano, gli uomini di Colbert sono animali in armonia con la natura e col mondo animale.
Ashes and Snow è un grandioso progetto in progress, realizzato nel corso di più di un decennio grazie anche al generoso contributo di una multinazione svizzera che utilizza il lavoro di Colbert come strumento di marketing alternativo. Nel museo itinerante, appositamente allestito per essere trasferibile in diversi angoli del mondo (Nomadic Museum), vengono esposte grandiose realizzazioni fotografiche stampate in enorme formato, tre filmati girati in 35mm, alcune installazioni ed infine un romanzo. Con intima pazienza e forte dedizione alla natura espressiva e artistica degli animali, Gregory Colbert è riuscito a carpire, ed a trasmettere, una straordinaria ed inesplorata interazione fra gli esseri viventi.




In una delle rarissime sue apparizioni pubbliche, Gregory Colbert ha presentato alla TED conference 2006 un sensazione filmato tratto proprio da Ashes and Snow. Nella presentazione, Colbert annuncia anche la sua nuova utopica iniziativa Animal Copyright Foundation, che si prefigge di raccogliere royalties dalle compagnie che sfruttano le immagini della natura nelle loro campagne pubblicitarie... immagino però che sarà dura costringere il mondo del business a pagare, seppur poco, quando ciò non è previsto per legge.
Questo filmato è assolutamente da non perdere.

(Registrato nel Febbraio 2006 a Monterey, California. Duration: 18:42)


Il mio unico rammarico, ivece, è proprio essermi perso, ormai alcuni Anni or sono, la tappa veneziana di Ashes and Snow allestita in un Arsenale trasformato per l'occasione in un Nomadic Museum molto speciale.
 
di davide del 14/05/2007 in Media e Nuovi Media,  4370 link
Campagna ENI 30%Durerà almeno due Anni, costerà all'ENI venti (dico io, venti!) milioni di euro, forse non servirà a molto in pratica, ma lo spot è davvero bello.
Eni (prima corporation italiana per capitalizzazione n.d.r.) ha dato il via a una campagna sociale di formazione e informazione sull’efficienza energetica destinata a svilupparsi per i prossimi 2 – 3 Anni. Con la creatività di TBWA/Italia e con un budget di 20 milioni di euro, la campagna “30PERCENTO” mira a comunicare
...che:
  • modificando il proprio stile di vita, senza stravolgerlo, si possono risparmiare circa 1.600 euro all’anno per famiglia
  • Eni ha assunto un senso di responsabilità sociale nei confronti della comunità
  • Eni è impegnata nella ricerca di fonti energetiche in linea con il trattato di Kyoto.

Il payoff dell'iniziativa è “Consumare meglio, guadagnarci tutti”.
Iniziativa importante. Speriamo solo la conclusione della campagna non sia un aumento delle tariffe, come avvenuto per la fiorentina Publiacqua!

(via spotanatomy)

UPDATE 27 maggio 2007: La splendida musica originale dello spot "ENI 30 PERCENTO" è del grande Ludovico Einaudi. Da non perdere il suo ultimo disco "Divenire" (Decca, 2006).
 
di davide del 10/01/2010 in Fotografia / Arte,  123652 link
L’autodafè di Jean-Baptiste

Salvo pentimenti dell’ultimo minuto, il rogo sarà appiccato domani, lunedì 11 gennaio 2009, in una qualche piazza di Chalon-sur-Saone, in Borgogna. Il fotografo francese Jean-Baptiste Avril-Bodenheimer ha infatti annunciato che brucerà volontariamente e clamorosamente tutti i negativi originali (17 rullini da 36 immagini ciascuno) prodotti nel corso di un suo laborioso progetto di documentazione sulle architetture moderniste di Tel-Aviv. Si tratta, è chiaro, di un gesto di protesta estrema: contro il mercato della fotografia. Lavoro di un anno intero, concluso con una mostra offerta gratuitamente dallo stesso autore a un museo israeliano, poi caduta nel vuoto: nessuna sponsorizzazione, nessun sostegno, nessun acquisto, neppure da parte delle istituzioni che prima avevano incoraggiato a parole l’operazione e poi avevano sfruttato senza ripagarla la generosità dell’autore.

Non sarà il primo fotografo tentato da un gran gesto in stile Fahrenheit 451: altri tentarono di consegnare alle fiamme, in punto di morte, la propria opera: Ernest J. Bellocq, il mite fotografo del Red Light District di New Orleans non riuscì (per nostra fortuna) a portare con sé nella tomba i teneri e divertenti ritratti delle sue affezionate prostitute; mentre il reverendo Lewis Carrol fece in tempo a far sparire le più imbarazzanti foto delle sue piccole Alici in deshabillé.

Ma Jean-Baptiste non si vergogna affatto del suo lavoro. Al contrario. Accusa il sistema di disinteressarsene. “L’arte è un lavoro che va a beneficio della società, e va pagato”. Jean-Baptiste dirà probabilmente qualcosa del genere davanti alla telecamera che filmerà il falò di domani. Per sé, terrà solo una sola serie di12 stampe del suo lavoro sacrificato sull’altare della società ingrata. Il luogo scelto per la drammatica rappresentazione non potrebbe essere più appropriato: Chalon infatti è il paese in cui fu scattata da Nicéphore Nièpce, che vi aveva la casa di famiglia, la presunta “prima fotografia del mondo”, la confusa veduta dalla sua finestra realizzata al bitume su una lastra di peltro nel 1826.

Fine di un’era? Ma i fotografi hanno sempre menato vita grama. La camera oscura è molto oscura per chi spera di camparci sopra. “Vuoi fare fotografie? Apri una drogheria”, raccomandò un giorno il nostro grande GiAnni Berengo Gardin a chi gli chiedeva consigli di carriera. Non è un ideale, ma è una realtà. Insomma al mondo ci sono sicuramente più geni incompresi che fotografi arrivati. Jean-Baptiste però ha scelto una forma simbolica di protesta che ce lo rende simpatico: è vero, nel sistema della fotografia (committenze, mostre, gallerie, aste, insomma mercato) oggi c’è una gran puzza di bruciato.

Scritto da Michele Smargiassi domenica, 10 gennaio 2010 alle 10:00 su Repubblica.it
 
PHOTO DAVIDE GAZZOTTI PHOTO DAVIDE GAZZOTTI Undo.net ha recentemente pubblicata la lucida spiegazione del perchè "Il Marketing ama i Colori", articolo in cui GiovAnni Scibilia illustra in modo chiaro, da professore e filosofo del linguaggio quale è, l'evoluzione di una comunicazione commerciale che sfrutta impietosamente la natura psicografica del colore per ammaliare i futuri acquirenti.
Estraggo la testa e la coda del brillante articolo:
Il marketing ama i colori. In primo luogo per la loro intrinseca natura cosmetica, nota sin dagli antichi Egizi, che ne fa degli strumenti chiave nel fondamentale make-up delle merci. Il colore è il belletto di prodotti e marchi, come e più del packaging o dello stesso logo, non avendo altre funzioni primarie apparenti oltre l’ornare, rendendoli così più piacevoli e accattivanti. Un ombretto, un rossetto, un fondotinta. Se è possibile pensare a un supermercato senza marche (discount), non riusciamo a immaginare un ‘super’ di prodotti incolore, sbiancati.
PHOTO DAVIDE GAZZOTTI
PHOTO DAVIDE GAZZOTTI
...le nuove frontiere del marketing dei colori, sempre più allusivo e intangibile rispetto ai prodotti, sempre più incuneato nei meandri psichici del soggetto-consumatore, fino a pornograficamente sfiorare – senza alcun pudore, senza nessuna mediazione – il suo fondo pulsionale più nascosto, la sua natura perversa e polimorfa.
PHOTO DAVIDE GAZZOTTI
PHOTO DAVIDE GAZZOTTI
 
E' stato distribuito e presentato a vari festival nel 2001 "War Photographer" di Christian Frei, che ha seguito James Nachtwey, il più famoso fotografo di guerre al mondo, per un paio di Anni.
Particolare l'utilizzo per la prima volta proprio in questo reportage di una telecamera montata sulla fotocamera di Nachtwey per simulare la stretta visione possibile al fotografo inquadrando le concitate scene di guerra. Anche questo fattore, oltre che alle qualità del lavoro del fotografo in questione, e alla pericolosità dei momenti delle riprese durante la guerriglia palestinese, ha contribuito a rendere famoso questo documentario che per altri versi appare un po' demagogico e filmograficamente perfettibile.
Ecco un frammento di 4 minuti disponibile on-line:
In questo frammento Nachtwey filosofeggia impersonando le vesti un po' messianiche di chi il fotogiornalista lo fa per salvare il mondo:
"Why photograph war? Is it possible to put an end to human behavior which has existed throughout history by means of photography? The proportions of that notion seem ridiculously out of balance yet that very idea has motivated me." - James Nachtwey

Il suo ruffiano filosofeggiare, e la fama planetaria meritatamente guadagnata da Nachtwey sul campo per la qualità fotografica del suo lavoro, e riflessa in questo documentario, gli sarebbero valse il premio TED 2007.
Proprio di Nachtwey è l'immagine scelta per accompagnare l'articolo precedente "Convenzioni e fotogiornalismo: l'amara ironia di un certo modo di documentare le crudeltà del mondo" sulla effettiva utilità sociale della fotografia di guerra e carestia.

UPDATE 26 maggio 2007:
Segnalo il sito dedicato il film "War Photographer", e l'avvenuta distribuzione su DVD con sottotitoli anche in italiano, presente ad esempio sul listino du amazon.
 
di davide del 19/03/2007 in Notizie e Stili di vita,  1928 link
A muder next door - Photo Davide GazzottiCinque Anni fa un commando delle Nuove BR, coordinato da Nadia Desdemona Lioce, commetteva un omicidio politico a sangue freddo. Un omicidio alla porta accanto. Marco Biagi, autore della bozza del testo di una contestatissima legge sul lavoro atipico che gli sarebbe stata intitolata nel 2003, malgrado la posizione politica e l'attaggiamento quantomeno discutibili, era solo un professore universitario che bazzigava le stanze del potere centrale, era un padre di famiglia, era un uomo.
Bologna, 19 Marzo 2002, ore 20:34

L'auto dei carabinieri mi si infilò nello specchietto retrovisore come un lampo nella notte. La mia vita scorre a pochi passi da lì ed ero quasi arrivato, dopo una lunga giornata di lavoro, perso in inutili pensieri. Accostai come tutti nelle strette strade del centro di Bologna, e la vidi sparire urlando proprio nella mia stessa direzione. Pochi istanti dopo avrei purtroppo capito il perchè.

Solo oggi, a dieci giorni di distanza, ho avuto la forza di girare l'angolo, e di raggiungere il suo portone di casa. Era la casa di un innocente che non conoscevo personalmente: si sa, nel caos delle nostre vite è difficile incrociarsi anche se si vive accanto o si insegna alla stessa università.

Un unico filo insanguinato unisce le lacrime delle nostre città invisibili, da New York a Gerusalemme. Un filo di odio che dobbiamo impegnarci a spezzare promuovendo cultura e tolleranza.

Quello era anche il mio angolo preferito di Bologna, il baricentro geografico ed emotivo di tutte le cose più belle della mia piccola vita. Per non piangere mi sono nascosto dietro un'inquadratura dell'ennesimo sogno violentato.

(da A Murder Next Door di Davide Gazzotti, 2002)
Da "A Murder Next Door" - PHOTO DAVIDE GAZZOTTI

Da "A Murder Next Door" - PHOTO DAVIDE GAZZOTTI

Da "A Murder Next Door" - PHOTO DAVIDE GAZZOTTI
 
di davide del 04/03/2007 in Musica,  2705 link
Lo sapevano tutti, ed ha vinto Simone Cristicchi con la sua bella riedizione pop del volo iniziale(e finale) di Tom Tom in Million Dollar Hotel di Wim Wenders ; - )
Ti regalerò una rosa
Una rosa rossa per dipingere ogni cosa
Una rosa per ogni tua lacrima da consolare
E una rosa per poterti amare
Ti regalerò una rosa
Una rosa bianca come fossi la mia sposa
Una rosa bianca che ti serva per dimenticare
Ogni piccolo dolore

Mi chiamo Antonio e sono matto
Sono nato nel ’54 e vivo qui da quando ero bambino
Credevo di parlare col demonio
Così mi hanno chiuso quarant’Anni dentro a un manicomio
Ti scrivo questa lettera perché non so parlare
Perdona la calligrafia da prima elementare
E mi stupisco se provo ancora un’emozione
Ma la colpa è della mano che non smette di tremare

Io sono come un pianoforte con un tasto rotto
L’accordo dissonante di un’orchestra di ubriachi
E giorno e notte si assomigliano
Nella poca luce che trafigge i vetri opachi
Me la faccio ancora sotto perché ho paura
Per la società dei sani siamo sempre stati spazzatura
Puzza di piscio e segatura
Questa è malattia mentale e non esiste cura

Ti regalerò una rosa
Una rosa rossa per dipingere ogni cosa
Una rosa per ogni tua lacrima da consolare
E una rosa per poterti amare
Ti regalerò una rosa
Una rosa bianca come fossi la mia sposa
Una rosa bianca che ti serva per dimenticare
Ogni piccolo dolore

I matti sono punti di domanda senza frase
Migliaia di astronavi che non tornano alla base
Sono dei pupazzi stesi ad asciugare al sole
I matti sono apostoli di un Dio che non li vuole
Mi fabbrico la neve col polistirolo
La mia patologia è che son rimasto solo
Ora prendete un telescopio… misurate le distanze
E guardate tra me e voi… chi è più pericoloso?

Dentro ai padiglioni ci amavamo di nascosto
Ritagliando un angolo che fosse solo il nostro
Ricordo i pochi istanti in cui ci sentivamo vivi
Non come le cartelle cliniche stipate negli archivi
Dei miei ricordi sarai l’ultimo a sfumare
Eri come un angelo legato ad un termosifone
Nonostante tutto io ti aspetto ancora
E se chiudo gli occhi sento la tua mano che mi sfiora

Ti regalerò una rosa
Una rosa rossa per dipingere ogni cosa
Una rosa per ogni tua lacrima da consolare
E una rosa per poterti amare
Ti regalerò una rosa
Una rosa bianca come fossi la mia sposa
Una rosa bianca che ti serva per dimenticare
Ogni piccolo dolore

Mi chiamo Antonio e sto sul tetto
Cara Margherita son vent’Anni che ti aspetto
I matti siamo noi quando nessuno ci capisce
Quando pure il tuo migliore amico ti tradisce
Ti lascio questa lettera, adesso devo andare
Perdona la calligrafia da prima elementare
E ti stupisci che io provi ancora un’emozione?
Sorprenditi di nuovo perché Antonio sa volare

Simone Cristicchi - Ti regalerò una rosa

UPDATE: Riguardo alla produzione del video di Alberto Puliafito, ecco un pezzo tratto da La Repubblica - Torino (di Federica Cravero):
TORINO - Quando Simone Cristicchi ha trionfato sul palcoscenico dell´Ariston, anche un gruppetto di torinesi ha sentito la vittoria come propria. Sono gli autori del videoclip di Ti regalerò una rosa, la lettera d´amore di un malato di mente che Cristicchi ha cantato a Sanremo. Regia di Alberto Puliafito, montaggio di Fulvio Nebbia e Michela Sessa, direttore della fotografia GiAnni Giannelli e postproduzione della Lumiq (colorist Giorgia Meacci). Una collaborazione, quella con il cantante, nata per caso proprio durante lo scorso Sanremo, quando Puliafito, che realizzava immagini per videofonini, si è imbattuto in un ragazzo che gestiva il blog di Cristicchi, allora famoso perché voleva «essere come Biagio Antonacci». Il rapporto si è consolidato e quest´estate hanno lavorato alla realizzazione del video Ombrelloni, clip autoprodotta poi acquistata dalla Sony.

Per mesi questo gruppetto di ragazzi è andato su e giù per l´Italia in quel che resta degli ospedali psichiatrici, a caccia di immagini, lettere e testimonianze di ex pazienti e infermieri. Il video della canzone fa parte di un progetto più ampio che comprende anche un libro, uno spettacolo teatrale e un documentario sulla realtà, oggi, dei manicomi in Italia, dove Cristicchi ha fatto volontariato, tra riconversione in centri diurni e locali abbandonati. E proprio dal documentario, presentato in anteprima a Sanremo e venduto insieme all´album, sono state tratte le immagini del videoclip. «Per la prima volta ho fatto il tifo per qualcuno a Sanremo - ammette il regista - Ma al di là del giudizio di parte penso che sia una canzone molto bella, con un finale triste e forte. Alla fine è venuto fuori un video impegnato ma non strappalacrime».

(6 marzo 2007)
 
Alla galleria Arte e Arte, nel pieno centro pedonale di Bologna, sono esposte da alcuni giorni le opere di quello che molti considerano un mostro sacro della fotografia.


FRANCO FONTANA - ASFALTI - BEVERLY HILLS 2005

In mostra una ventina di sgargianti fotografie del ciclo Asfalti, la produzione più recente di Franco Fontana, che inquadra la segnaletica orizzontale in modo analogo agli altri temi della sua precedente produzione, dal paesaggio all'architettura urbana al corpo: un pretesto per dare vita a immagini che vorrebbe sorprendenti, nelle quali non conta tanto la realtà del soggetto, quanto l'interpretazione, la capacità di reinventare il mondo e le sue figure attraverso l'obiettivo.


FRANCO FONTANA - ASFALTI - LONDRA 1998

Purtroppo però la quasi totalità delle opere presentate soffre per mancanza di effetto sorpresa: vuoi perchè ad alcune il formato "piccolo" (30x45 circa) non dona afffatto, vuoi perchè in effetti l'interpretazione astrattistica delle strisce colorate funziona davvero solo in poche delle immagini esposte.


FRANCO FONTANA - ASFALTI - MODENA 2005


FRANCO FONTANA - ASFALTI - VEVEY, SVIZZERA 2003

In realtà, la prima esposizone personale a Bologna del sempre sopravvalutato fotografo modenese, col suo ruffiano rincorrersi di ampie campiture cromatiche in un’articolazione formale geometrica, presenta opere in maggioranza già ben note al grande pubblico: gli asfalti migliori sono un pallido ricordo dei paesaggi urbani dell'inizio Anni ottanta che hanno reso Fontana celebre in tutto il mondo, e risalgono agli Anni 1995-2005.

Per concludere, un'occhiata ai prezzi, sbirciati da un listino manoscritto lasciato in giro per la galleria: circa 8000 Euro per le opere in grande formato (circa 120x70) e dai 5 ai 3000 per quelle più piccole (60x40, 45x30). Non è davvero troppo per degli asfalti molto deja-vue?

[Vista il 28 Gennaio alla galleria ArteeArte in Bologna con Andres, Fabri, Lilia, Marco, Melly, Paolino...]
 
Nel 1985 usciva una pellicola filmograficamente di qualità piuttosto mediocre, ma dai contenuti decisamente arguti ed ancora attuali. Era stata scritta e diretta da Luciano De Crescenzo, ed era tratta dall'omonimo romanzo del 1977 dell'autore napoletano: "Così parlò Bellavista".
La scena più bella è forse poprio quella sull'infinita diatriba di cosa "è arte" e cosa "non è arte" in ambito moderno e contemporaneo. Così, partendo dalle attese dell'italo-argentino Lucio Fontana, per arrivare alla pop-art del day-by-day di Tom Wesselmann, l'autore napoletano ci fa ridere amaramente, ma di gusto:

Ecco lo scultore (pittore?) argentino Lucio Fontana ritratto durante una dei suoi innumerevoli soggiorni italiani con un'istantanea spettacolare da nientepopodimenochè Ugo Mulas:


PHOTO UGO MULAS

 
di davide del 08/04/2007 in Notizie e Stili di vita,  2226 link
Ecco la fine di uno dei film del gruppo di comici inglese Monty Python: Brian di Nazareth (1979), un film che in effetti è teologicamente più profondo di quanto si possa pensare a prima vista:

Estratto da "Brian di Nazareth" in Wikipedia:

Paradossalmente Life of Brian è più fedele, dal punto di vista storico, a quello che realmente accadeva a quei tempi in Giudea di tutti gli altri film girati sulla vita di Cristo. Ad esempio, la presenza di decine di "presunti" messia è una realtà storica, ragion per cui non è blasfemia, ma al limite sarcasmo, mostrare una strada piena di aspiranti messia che raccontano le storie più fantasiose e mostrare che il passante poteva scegliere chi ascoltare. Anche le "Beatitudini" sono trattate in maniera razionalmente storica, infatti, come poteva una gran folla di persone ascoltare quello che Gesù diceva? Certamente, c'era qualcuno che "riportava" ai più lontani le parole di Cristo, magari non arrivava "Beati i panificatori" al posto di "Beati i pacificatori", come nella scena girata dai Monty Python, ma il problema dell'uditorio era reale. Vi è poi la scena in cui tra i seguaci di Brian avviene uno scisma e si creano il gruppo dei "zucchiani" e quello dei "sandaliani", ovviamente la divertente rappresentazione che viene fatta nel film è paradossale e parossistica, ma non era raro che la massa di allora, facilmente suggestionabile e piena di fanatismo si dividesse su questioni inutili capaci di farli distrarre dai veri problemi sociali del tempo.

Ad una lettura superficiale, il film appare come una serie di gag esilaranti e a volte sconclusionate (come ad esempio la scena in cui intervengono addirittura degli alieni a risolvere, quasi come un "Deus ex machina", una situazione altrimenti di difficile risoluzione); ma ad una lettura attenta e critica, si possono trovare numerosi spunti di riflessione sulla religione, la religiosità, la società moderna e la "società storica" di 2000 Anni fa.
 
Trovato in rete, mi ha fatto sorridere...
«Vorrei solo rendere "giustizia" a una generazione, quella di noi nati agli inizi degli Anni '80 (o qualche anno più o anno meno).
Quelli che vedono la casa acquistata allora dai nostri genitori valere oggi 20 o 30 volte tanto, e che pagheranno la propria fino ai 50 Anni.
Noi non abbiamo fatto la Guerra, né abbiamo visto lo sbarco sulla luna, non abbiamo vissuto gli Anni di piombo, né abbiamo votato il referendum per l'aborto e la nostra memoria storica comincia coi Mondiali di Italia '90. Per non aver vissuto direttamente il '68 ci dicono che non abbiamo ideali, mentre ne sappiamo di politica più di quantocredono e più di quanto sapranno mai i nostri fratelli minori e discendenti.
Babbo Natale non sempre ci portava ci che chiedevamo, per ci nonostante quelli che sono venuti dopo di noi sì che hanno avuto tutto, e nessuno glielo dice.
Siamo l'ultima generazione che ha imparato a giocare con le biglie, a saltare la corda, a giocare a lupo, a un-due-tre-stella, e allo stesso tempo i primi ad aver giocato coi videogiochi, ad essere andati ai parchi di divertimento o aver visto i cartoni animati a colori.
Abbiamo indossato pantaloni a campana, a sigaretta, a zampa di elefante e con la cucitura storta; la nostra prima tuta è stata blu con bande bianche sulle maniche e le nostre prime scarpe da ginnastica di marca le abbiamo avute dopo i 10 Anni. E il bomber? Le All star? Le superga?Le clarks?
Andavamo a scuola quando il 1 novembre era il giorno dei Santi e non Halloween, quando ancora si veniva bocciati, siamo stai gli ultimi a fare la Maturità in sessantesimi e ad iscriversi alle lauree quadriennali (quelle che valgono veramente) e a finirle in sei. Alcuni sono anche i pionieri del 3+2...
Siamo stati etichettati come Generazione X e abbiamo dovuto sorbirci Sentieri e i Visitors, Twin Peaks e Beverly Hills ti piacquero per Candy-Candy, ci siamo innamorate dei fratelli di Georgie, abbiamo riso con Spank, ballato con Heather Parisi, cantato con Cristina D'Avena e imparato la mitologia greca con Pollon. Siamo una generazione che ha visto Maradona fare campagne contro la droga. Cresciuti col mito di Van Basten e che hanno visto San Siro cambiare per Italia'90.
Siamo i primi ad essere entrati nel mondo del lavoro come Co.Co.Co. e quelli per cui non gli costa niente licenziarci. Ci ricordano sempre fatti accaduti prima che nascessimo, come se non avessimo vissuto nessun avvenimento storico. Abbiamo imparato che cos'è il terrorismo, abbiamo visto cadere il muro di Berlino, e Clinton avere relazioni improprie con la segretaria nella Stanza Ovale; siamo state le più giovani vittime di Cernobyl.
Abbiamo imparato a programmare un videoregistratore prima di chiunque altro, abbiamo giocato a Pac-Man, odiamo Bill Gates e credevamo che internet sarebbe stato un mondo libero. Abbiamo visto prima di chiunque altro il compact disc, detto anche cd room ora semplice cd. Gli ultimi ad aver usato e posseduto un mangianastri.
Siamo la generazione di Bim Bum Bam, di Clementina-e-il-Piccolo-Mugnaio-Bianco e del Drive-in. Siamo la generazione che and al cinema a vedere i film di Bud Kamen, e gli ultimi a usare dei gettoni del telefono. Ci siamo emozionati con Superman, ET o Alla Ricerca dell'Arca Perduta.
Bevevamo il Billy e mangiavamo le Big Bubble, ma neanche le Hubba Bubba erano male; al supermercato le cassiere ci davano le caramelline di zucchero come resto. Siamo la generazione di Crystal Ball ("con Crystal Ball ci puoi giocare..."), delle sorprese del Mulino Bianco, dei mattoncini Lego a forma di mattoncino, dei Puffi, i Volutrons, Magnum P.I., Holly e Benji, Mimì Ayuara, l'Incredibile Hulk, Poochie, Yattaman, Iridella, He-Man, Lamù, Creamy, Kiss Me Licia, i Barbapapà, i Mini-Pony, le Micro-Machine, Big Jim e la casa di Barbie di cartone ma con l'ascensore.
La generazione che ancora si chiede se Mila e Shiro alla fine vanno insieme.
La generazione che non ricorda l'Italia Mondiale '82, e che ci viene un riso smorzato quando ci vogliono dare a bere che l'Italia di quest'anno è la favorita...
L'ultima generazione a vedere il proprio padre caricare il portapacchi della macchina all'inverosimile per andare in vacanza 15 giorni.
L'ultima generazione degli spinelli, delle canne...
Guardandoci indietro è difficile credere che siamo ancora vivi:
viaggiavamo in macchina senza cinture, senza seggiolini speciali e senza air-bag; facevamo viaggi di 10-12 ore. Non avevamo porte con protezioni, armadi o flaconi di medicinali con chiusure a prova di bambino. Andavamo in bicicletta senza casco né protezioni per le ginocchia o i gomiti. Le altalene erano di ferro con gli spigoli vivi e il gioco delle penitenze era bestiale.
Non c'erano i cellulari. Andavamo a scuola carichi di libri e quaderni, tutti infilati in una cartella che raramente aveva gli spallacci imbottiti, e tanto meno le rotelle!!
Mangiavamo dolci e bevevamo bibite, ma non eravamo obesi. Al limite uno era grasso e fine. Ci attaccavamo alla stessa bottiglia per bere e nessuno si è mai infettato. Non avevamo Playstation, Nintendo 64, videogiochi, 99 canali televisivi, dolby-surround, cellulari, computer e Internet, per ce la spassavamo tirandoci gavettoni e rotolandoci per terra tirando su di tutto; bevevamo l'acqua direttamente dalle fontane dei parchi, acqua non imbottigliata, che bevono anche i cani! E le ragazze si intortavano inseguendole per toccar loro il sedere e giocando al gioco della bottiglia o a quello della verità, non in una chat dicendo :P
Abbiamo avuto libertà, fallimenti, successi e responsabilità e abbiamo imparato a crescere con tutto ciò.
Congratulazioni a tutti coloro, che come me, hanno avuto la fortuna di crescere come bambini.»
Rendiamo giustizia ad una generazione
Alessandro Marcias
buncone@tiscali.it

 
PHOTO SPENCER TUNICK"Non è pornografico, non è volgare. E' creare nuove forme con i nostri corpi" Spencer Tunick

Ottenuto il Bachelor of Arts nel 1988, il newyorkese Spencer Tunick cominciò a fotografare nudi nelle vie di New York nel 1992, ed è molto conosciuto proprio per le sue fotografie che ritraggono folti gruppi di persone nude in contesti urbani o paesaggistici insoliti, non solo negli Stati Uniti, ma anche in tutto il mondo.
Le sue non sono semplici fotografie in posa, ma complesse installazioni con le quale Tunick, loro regista, vuole celebrare la bellezza artistica della pura nudità, al di là della taglia o del colore della pelle, quando ci si è spogliati di abiti e di pudore, e magari ci si è sdraiati sull’asfalto della nostra città.

"Generalmente lavoro alle prime ore dell'alba perché le persone sono più distese, meno violente, e poi non amo la luce piena del giorno, preferisco colori come il blu inchiostro o il grigio. Per le mie foto non capita mai che selezioni le persone in base a criteri di bellezza fisica, ritraggo solo chi me lo chiede espressamente"
E così l’artista invade gli spazi metropolitani e naturali componendo strade, architetture e paesaggi di nudo umano. Nelle sue foto centinaia di corpi nudi, si costituiscono come parte del paesaggio. I nudi di Spencer Tunick non hanno niente a che fare con le rivendicazioni di ideali comunitari d'amore libero su modello Woodstockiano: la sua finalità è quella di restituire al corpo umano, nella sua imperfezione, la sua inalienabile dignità.

Le immagini scattate da Spencer Tunick raccontano di centinaia di centinaia di corpi che denudati perdono le loro differenze. Simmetrico, patinato, perfetto, è questo il corpo che la gran parte dei media c'impongono. Su questo stereotipo culturale riflette il lavoro di Tunick, immagini dove i corpi perdono, le loro caratteristiche corporali per acquisire quelle di forme astratte in un paesaggio metropolitano. Ma c’è anche qualcosa di più. Le sue foto descrivono paesaggi epici, antichissimi o forse di un futuro in cui sarà accaduto qualcosa di bellissimo o di terribile, ma comunque irreparabile. Da cui non si torna indietro.

Nel suo sito Tunick raccoglie le immagini archiviandole come "temporary site-related installations" e non si dilunga sulla "filosofia" che guida le sue composizioni: in poche righe riassume il suo punto di vista mentre, al contrario, racconta più dettagliatamente la battaglia legale affrontata per far valere il proprio diritto di esprimersi in base al primo emendamento della costituzione americana. Dopo Anni di attività ha proseliti in tutto il mondo, ma ancora nessuno è riuscito a oscurare la sua fama e il formidabile attivismo. In cambio, il suoi modellli non chiedono assolutamente nulla: sono "volontari" chiamati attraverso la rete o con un passaparola in grado di solcare gli oceani pronti a posare in quel determinato luogo e a quell'ora, naturalmente senza nemmeno un braccialetto. Diventare "tunickomani" è facilissimo: è sufficiente indicare i propri dati nel form "sign to pose" ("firma per posare") e indicare la tonalità di colore della propria pelle. Quindi inviare. Spencer non richiede la "bella presenza", ma l'adesione al suo progetto che oggi si chiama "Naked World".

(NicoleDiver su thepillowbook)


PHOTO SPENCER TUNICK

PHOTO SPENCER TUNICK

PHOTO SPENCER TUNICK

Vai alla fotogallery. Clicca qui! Esilarante, ironica, audace o impudente e triviale?
Una nuova frontiera dell’arte figurativa o un’offesa al pubblico decoro?
Oppure semplicemente un'altra storia di ordinaria follia?
Non solo ai posteri l’ardua sentenza, se consideriamo che Spencer Tunick alla fine è uscito vincitore da tutte le battaglie legali e che le sue fotografie si sono guadagnate un posto in prima fila nei musei d’arte contemporanea. Nudi e crudi, come mamma ci ha fatto. Di tutte le taglie, di ogni colore. E' così che ci vuole Spencer Tunick, spogliati di abiti e di pudore magari sdraiati sull’asfalto delle nostre città. Ma il fine è nobile e sublime: la celebrazione della "bellezza artistica della pura nudità”.
Vai alla fotogallery. Clicca qui! Una proposta troppo indecente? Dipende.
Certamente sì per Rudolph Giuliani, ex sindaco di New York, che fece arrestare Tunick nel 1999 per aver fatto distendere 50 corpi nudi a Times Square. Assolutamente no per il governo del Canada che lo ha invitato come ospite d’onore, o in Russia dove lo stesso direttore di un grande museo ha posato senza veli, o in Australia e Spagna con le adesioni trionfali di 4500 e 7000 volontari con i glutei gioiosamente al vento.
Vai alla fotogallery. Clicca qui! E' dal 1994 che Tunick realizza scene di nudo di massa e ritratti.
E’ stato in tutti e sette i continenti, reclutando migliaia di volontari in oltre 50 città del mondo, da Montreal a San Pietroburgo, da Santiago del Cile a Parigi, da Barcellona a Basilea, da Buenos Aires a Londra, da New York a Roma.
Definisce le sue opere artistiche “installazioni di nudo su larga scala”, una forma surreale di collage umano dove i tasselli sono i corpi spogliati e utilizzati come elementi di nuove forme.
E così l’artista invade gli spazi metropolitani e naturali componendo strade, architetture e paesaggi di nudo umano. A Roma in Piazza Navona, a New York in Times Square e Central Park, in Nevada nel deserto.
E ogni volta puntualmente fornisce materiale di disquisizione non solo a studiosi d’arte ma anche a psicologi sociali e ad ospiti di talk show. Vi è per caso venuta la voglia di partecipare al prossimo happening di nudo su larga scala? Potrebbe essere il vostro momento di gloria. Il modulo d’iscrizione è on line.

(ilaria besana su alice.it)


Spencer Tunick Performance in Times Square



Spencer Tunick in Lyon (F) - audio in French


Proprio in questo week-end Spencer Tunick sta realizzando un'altra delle sue installazioni a Città del Messico. Sarà un altro record di presenze?

UPDATE 6 maggio 2007: Leggo su Repubblica.it che nella piazza principale di Città del Messico l'ultima installazione di Spencer Tunick ha superato il record precedente stabilito a Barcellona. Ecco alcune foto  dell'evento che ha raccolto circa ventimila persone, così come sono state rimbalzate dalle agenzie di stampa:








 
PHOTO DAVID LACHAPELLELa superficialità e la chiassosità del fotografo americano David LaChapelle sono la sua vera forza. E' sempre così dichiaratamente e volutamente provocatorio che non gli si può dire nulla: lui, quando comunica, non parla, ma URLA. Ultimo vero baluardo della culura pop degli Anni 70, è diventato uno dei più acclamati fotografi dello show-business. Nel suo sito però, soprattuto tra i portrait, ci sono fotografie che sono veri e propri capolavori di espressività, molte delle quali gli hanno guadagnato, oltre al successo commerciale, anche fama nel mondo della fotografia d'arte.


The Last Supper

LaChapelle è un fotografo, anzi è il fotografo, ha fotografato TUTTI. Se vi viene in mente il nome di una star dello show business, una QUALUNQUE, una che conti almeno qualcosa, state certi che lui l’ha fotografata, perchè se conti qualcosa nella torbida valle di Hollywood non puoi non avere una foto di David. E per David si intende proprio lui LaChapelle. Roba che Courtney Love dovrebbe baciare la terra su cui lui cammina e ringraziarlo a vita per le foto che le ha fatto a quella sciamannata con il mascara sempre sbavato, gli NSYNC dovrebbero genuflettersi per quella foto in cui hanno per la prima e probabilmente l’ultima volta nella loro vita uno spessore artistico. Perfino Tori Spelling sembra possedere un qualche tipo di fascino e di mistero.


Madonna

David, il cappellaio matto, il prestigiatore delle star, riesce a far apparire tutti stupendi e speciali in qualche modo. E’ riuscito a far sembrare le tette di Pamela Anderson giustificabili dal punto di vista artistico. E il bello è che lui non trasforma la persona che ha davanti, non la cambia, ma solo la ESPANDE, prende il lato migliore e lo esagera fino a farlo sembrare irresistibile per chiunque guardi, per lui, come per mia nonna quando cucina, niente è mai troppo.


Paris Hilton

Quando ero piccola mi raccontavano una favola su di un anello che se lo indossavi faceva innamorare tutti di te, ecco, secondo me David possiede quell’anello, ma invece di tenerselo solo per se, lo presta alla persona che deve fotografare, ma per poco, giusto il tempo dello scatto, poi possono continuare a fare la loto, banale, noiosa vita da star. I colori sono ovviamente saturi, si sparano diretti nel cervello, alla base del sistema nervoso di chi guarda. Se è eccessivo è lui. Se è colorato è lui. Se vi sembra pornografia di bassa lega e coi colori sbagliati è lui. Se vi sembra che qualcuno stia urlando mentre guardate una foto è sempre lui.


Angelina Jolie

L’espressione GENIO sembra essere stata coniata apposta per lui, ma nel senso di diavoletto, di genietto ‘platonico’ e malizioso, un Daemon, un Satiro che scorrazza nel dorato mondo di Hollywood, un Puck contemporaneo che sparge la polvere magica dello scandalo sugli occhi della gente.


Britney Spears

Ha girato video musicali, ha girato spot pubblicitari che voi vedete ogni giorno quando accendete la televisione, ha fatto le copertine di innumerevoli dischi che voi probabilmente possedete (Maria Carey spero di no), ha firmato le copertine di praticamente qualsiasi settimanale sia uscito negli ultimi dieci Anni in ogni parte del mondo. Gael Garcia Bernal non sapeva di essere Gael Garcia Bernal prima di essere fotografato da LaChapelle, o pensavate che fosse tutto merito di quella motocicletta scarcassata che guidava? LaChapelle è intorno a voi e voi neanche ve ne accorgete, e ne avrete ancora e ancora finchè LaChapelle avrà vita.

Se ancora non vi basta, qualsiasi cosa si sia anche accidentalmente frapposta tra l’obbiettivo fotografico di quest’uomo e la realtà negli ultimi dieci Anni è probabilmente arte. LaChapelle è America, è come uno di quei mega barattoli di maionese o di burro di arachidi che qui in Italia non esistono. LaChapelle è un Big Mac, ipercalorico, coloratissimo, grande, eccessivo, immangiabile.


Definire fotografia l'opera di LaChapelle è sicuramente una semplificazione, le sue sono immagini dove realtà, sogno e dissacrante surrealismo, si fondono in una rappresentazione che lascia sconcertati e affascinati.
Nasce a Farmington Connecticut nel 1963, nel 1978 si trasferisce a New York cominciando la sua avventura artistica con Andy Warhol, per la rivista INTERVIEW fino al 1987, anno della scomparsa del grande artista. A 24 Anni David è già una grande firma del fotogiornalismo con servizi per VOGUE, VANITY FAIR, THE FACE (fra le più importanti riviste di moda e costume). Nel 1996 vince il premio come fotografo dell'anno, inoltre il suo primo libro fotografico "LaChapelle Land" va a ruba, nel 1999 il secondo libro di immagini "Hotel LaChapelle" si conferma un best seller.


Pubblicità Motorola

Il genio creativo, esplode in tutta la sua virulenza espressiva, quando LaChapelle esce dagli angusti limiti del genere ritrattistico o giornalistico. Le sue creazioni falsamente astratte, anzi di un simbolismo deflagrante e volutamente blasfemo, sono il prodotto di una ricerca tanto lucida quanto visionaria. Si tratta di immagini pensate e costruite con senso del grottesco e dell'impossibile, in una miscela esplosiva di colori violenti, ironia, sensualità, oltraggio. Il tutto però non è gratuito, ma vuole essere una satira della vacuità, dell'edonismo, del vuoto apparire privo di contenuti del nostro tempo, ma senza drammatizzazioni e anzi con una visione divertita e disincantata. Quella di David LaChapelle è poi una ricerca di sperimentazione pura, essendo le sue opere frutto di elaborazione e fotoritocco digitale, dello stesso autore.



“Cerco il brutto nel bello e il bello nel kitsch. I miei scenari preferiti sono i McDonald's e le auto da poco, all'inizio oziavo in questi posti, ora li fotografo. Mi allontano deliberatamente dalla realtà di tutti i giorni, la vita è troppo triste. La comicità è una forma di bellezza: guardate John Belushi, lui era bello perché era buffo”

LaChapelle in fondo con la sua arte cerca il grottesco del quotidiano e il bello dove proprio non c'è.

Moby - "Natural blues"

(NicoleDiver su thepillowbook)



Profile of David LaChapelle
 
di davide del 07/05/2007 in Notizie e Stili di vita,  2209 link
DODI

Questa mattina all’alba, è morto il compagno Domenico Maracino, che tutti conosciamo come DODI. Esprimiamo il nostro dolore e la nostra vicinanza ai familiari e agli amici, al Circolo Iqbal Masih, alla Lista Reno e ai compagni tutti

“Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi. Ci sono altri che lottano un anno e sono più bravi. Ci sono quelli che lottano molti Anni e sono ancora più bravi.Però ci sono quelli che lottano tutta la vita, essi sono gli imprescindibili” (B. Brecht)

Questa mattina all’alba, è morto il compagno Domenico Maracino, che tutti conosciamo come DODI.

La sua lunga malattia non ci ha preparato, nè può ora consolarci della sua scomparsa: Esprimiamo il nostro dolore e la nostra vicinanza ai familiari e agli amici, al Circolo Iqbal Masih, alla Lista Reno e ai compagni tutti.

Una vita, la sua, dal coraggio, dalla coerenza, dalla determinazione unica, nelle lotte, nelle discussioni, nella sua straripante umanità.

Tra i suoi tanti impegni ci fa piacere ricordarlo come fondatore dell’associazione inquilini e assegnatari della RdB/CUB di Bologna.

Ci mancherai perché con te “ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati” (B. Brecht).

Il funerale si terrà mercoledì 9 maggio.
Alle ore 13,30 Dodi sarà accompagnato al circolo Iqbal Masih in Via della Barca 24/3.
Da lì alle ore 14 ci muoveremo per accompagnarlo fino al Pantheon del cimitero della Certosa dove rimarrà fino alle ore 17.

I compagni e le compagne delle CUB di Bologna

un garofano rosso per dodi
Inserito da Lippo il 8 maggio, 2007 - 08:56

l'invito degli amici di dodi a tutti i compagni che si recheranno al funerale è quello di portare un garofano rosso

dalla parte dei più deboli
Inserito da Lippo il 8 maggio, 2007 - 09:23

Così lo saluta il sito dell'Iqbal (http://iqbal.bo.arci.it), che ne riporta un vecchio intervento in occasione del passaggio a Bologna della Global March against Child Labour, nel 1998:

Un saluto a tutti i presenti e grazie per avermi dato l'opportunità di questo intervento.

Voglio dire che non esiste crimine peggiore che negare la vita.

Viviamo in un mondo capitalista, o meglio sarebbe dire in due mondi capitalisti:

il primo e' quello sviluppato, delle società consumistiche , che ha potuto accumulare tante ricchezze depredando e saccheggiando per secoli il pianeta e soprattutto la classe operaia;

il secondo e' quello sottosviluppato, costituito dalle vecchie colonie che per secoli sono state sfruttate, e a cui si nega oggi lo sviluppo.

Mai come oggi sono necessari questi momenti di incontro e di riflessione.

Infatti, gli architetti della nuova società globale, i governi del primo mondo, stanno preparando il peggio per i popoli del secondo (il cosiddetto terzo mondo).

Oramai siamo alle soglie del XXI secolo: già da tempo il mondo si sta sviluppando verso un modello in cui la politica degli stati più forti e delle multinazionali, dei settori ricchissimi, grava su una gran massa di miseria e popolazione che possiamo definire superflua, perché priva di ogni diritto.

Questa popolazione superflua non contribuisce infatti alla produzione dei profitti, che e' l'unico valore (umano) riconosciuto oggi.

Le conseguenze della globalizzazione in rapporto al lavoro, all'educazione, alla democrazia, alle culture nazionali, dicevo, tali conseguenze non potranno che essere drammatiche e spaventose.

In questi due mondi, quelli a pagare di più sono i bambini.

Secondo i dati dell'UNICEF, il 40% dei bambini a New York vive al di sotto della soglia di povertà, senza alcuna speranza di sfuggire alla miseria e all'indigenza. la televisione, la droga , l'alcolismo, sono le armi con cui tenere sotto controllo questa realtà.

Ci giungono notizie di bambini che uccidono a scuola, che compiono atti di delinquenza e di vandalismo, vere e proprie stragi,... nel "primo" mondo. Nel mondo consumistico. Nell'altro, l'infanzia e' negata.

In Asia, in Africa, in America Latina sono oltre 14.000.000 i bambini da 1 a 5 Anni, che muoiono ogni anno.

Quante bombe come quelle di Hiroshima e Nagasaki ? Credo oltre 100.

E dei bambini che si salvano? In che condizioni si trovano, come si nutrono?

Che sviluppo mentale e psicologico possono avere, dato che e' scientificamente provato che senza l'alimentazione adeguata si ha un sottosviluppo anche dell'intelligenza, delle capacita' intellettuali? Quale sarà la loro speranza di vita e di futuro dopo i 5 Anni? Come faranno a vivere, quale sarà il loro destino?

Di queste terribili realtà non si parla se non in caso di episodi eclatanti e sempre molto raramente.

Si farfugliano solo ipocrisie sui diritti umani.

Un caso e' stato l'assassinio di Iqbal Masih : il 16 aprile e' ricorso il terzo Anniversario della sua uccisione. Abbiamo intitolato a Iqbal Masih, tre Anni fa, il circolo culturale che sono qui a rappresentare, con la convinzione che il suo esempio e la sua tragica storia avrebbero contribuito a far prendere coscienza della condizione di schiavitù a cui devono sottostare milioni di bambine e bambini.

Non voglio abusare della vostra pazienza, e quindi mi limiterò solo a nominare le rapine di organi ai bambini poveri per quelli ricchi; le mine antiuomo che per la stragrande maggioranza sono a forma di giocattolo (tutti sappiamo la devastazione che portano); l'infanzia rubata a tutti i bambini vittime delle guerre sia armate (massacri in Algeria, profughi in Africa, spedizioni punitive serbe nel Kossovo), che della guerra diplomatica combattuta con le sanzioni economiche dell'embargo (Iraq e Cuba); lo sfruttamento della prostituzione minorile; non voglio parlare, qui, dei milioni di dollari annui spesi per i bilanci militari.

Voglio pero' ancora dire che, nonostante non si abbiano statistiche complete sul lavoro minorile (perché governi e datori di lavoro si rifiutano di ammetterne l'esistenza) anche in Italia si stima in 300.000 il numero dei bambini che lavorano.

Nel mondo intero l'UNICEF dice che sono 250.000.000 i bambini che lavorano. E' di pochi giorni fa l'iniziativa, promossa dall'UNICEF , in tutta Italia contro lo sfruttamento minorile.

Voglio qui ricordare che e' una vergogna, una cosa ripugnante, alle soglie del XXI secolo, che milioni di bambini muoiano o siano sfruttati nel lavoro. Dico che, fintanto che il profitto di tutta la nostra tecnologia cosi' avanzata entrerà nelle tasche di pochi, il divario fra chi sta bene e chi sta male aumenterà. Se non vogliamo sentirci complici di questo sfruttamento, di questo crimine, dobbiamo sin da ora chiedere ai nostri governi di azzerare i debiti dei paesi poveri. Ripensare ad un modo di produzione che sia per ciò che serve e non per il profitto di pochi. Dobbiamo esportare la nostra conoscenza la nostra tecnologia. Non possiamo pensare di sopire la nostra coscienza con gesti di carità. Dobbiamo farci carico in prima persona di questa enorme ingiustizia.

Il nostro compito e' difficile e complesso ma, se vogliamo sentirci parte di tutta l'umanità, penso, come sono certo pensate voi, che possiamo e dobbiamo adempierlo. Dobbiamo combattere questa battaglia se vogliamo sentirci degni dell'essere umani. Se vogliamo parlare di futuro per l'umanità, dobbiamo lottare in tutti i modi possibili prima di tutto perché' ad ogni bambina e bambino a questo mondo non sia più' negato il diritto al gioco allo studio alla salute all'educazione e alla possibilità di partecipare in prima persona ad una società democratica.

Finche' anche ad un solo bambino sarà negata la libertà e il diritto ad una vita dignitosa e felice, l'intera umanità sarà meno libera.

Per avermi ascoltato, grazie.

Domenico Maracino

Questa mattina allalba, morto il compagno Domenico Maracino, che tutti conosciamo come DODI.Esprimiamo il nostro dolore e la nostra vicinanza ai familiari e agli amici, al Circolo Iqbal Masih, alla Lista Reno e ai compagni tutti

Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi. Ci sono altri che lottano un anno e sono pi bravi. Ci sono quelli che lottano molti Anni e sono ancora pi bravi.Per ci sono quelli che lottano tutta la vita, essi sono gli imprescindibili (B. Brecht)

Questa mattina allalba, morto il compagno Domenico Maracino, che tutti conosciamo come DODI.

La sua lunga malattia non ci ha preparato, n pu ora consolarci della sua scomparsa: Esprimiamo il nostro dolore e la nostra vicinanza ai familiari e agli amici, al Circolo Iqbal Masih, alla Lista Reno e ai compagni tutti.

Una vita, la sua, dal coraggio, dalla coerenza, dalla determinazione unica, nelle lotte, nelle discussioni, nella sua straripante umanit.

Tra i suoi tanti impegni ci fa piacere ricordarlo come fondatore dellassociazione inquilini e assegnatari della RdB/CUB di Bologna.

Ci mancherai perch con te ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati (B. Brecht).

Il funerale si terr mercoled 9 maggio.
Alle ore 13,30 Dodi sar accompagnato al circolo Iqbal Masih in Via della Barca 24/3.
Da l alle ore 14 ci muoveremo per accompagnarlo fino al Pantheon del cimitero della Certosa dove rimarr fino alle ore 17.

I compagni e le compagne delle CUB di Bologna


un garofano rosso per dodi
Inserito da Lippo il 8 maggio, 2007 - 08:56

l'invito degli amici di dodi a tutti i compagni che si recheranno al funerale quello di portare un garofano rosso


dalla parte dei pi deboli
Inserito da Lippo il 8 maggio, 2007 - 09:23

Cos lo saluta il sito dell'Iqbal (http://iqbal.bo.arci.it), che ne riporta un vecchio intervento in occasione del passaggio a Bologna della Global March against Child Labour, nel 1998:

Un saluto a tutti i presenti e grazie per avermi dato l'opportunit di questo intervento.

Voglio dire che non esiste crimine peggiore che negare la vita.

Viviamo in un mondo capitalista, o meglio sarebbe dire in due mondi capitalisti:

il primo e' quello sviluppato, delle societ consumistiche , che ha potuto accumulare tante ricchezze depredando e saccheggiando per secoli il pianeta e soprattutto la classe operaia;

il secondo e' quello sottosviluppato, costituito dalle vecchie colonie che per secoli sono state sfruttate, e a cui si nega oggi lo sviluppo.

Mai come oggi sono necessari questi momenti di incontro e di riflessione.

Infatti, gli architetti della nuova societ globale, i governi del primo mondo, stanno preparando il peggio per i popoli del secondo (il cosiddetto terzo mondo).

Oramai siamo alle soglie del XXI secolo: gi da tempo il mondo si sta sviluppando verso un modello in cui la politica degli stati pi forti e delle multinazionali, dei settori ricchissimi, grava su una gran massa di miseria e popolazione che possiamo definire superflua, perch priva di ogni diritto.

Questa popolazione superflua non contribuisce infatti alla produzione dei profitti, che e' l'unico valore (umano) riconosciuto oggi.

Le conseguenze della globalizzazione in rapporto al lavoro, all'educazione, alla democrazia, alle culture nazionali, dicevo, tali conseguenze non potranno che essere drammatiche e spaventose.

In questi due mondi, quelli a pagare di pi sono i bambini.

Secondo i dati dell'UNICEF, il 40% dei bambini a New York vive al di sotto della soglia di povert, senza alcuna speranza di sfuggire alla miseria e all'indigenza. la televisione, la droga , l'alcolismo, sono le armi con cui tenere sotto controllo questa realt.

Ci giungono notizie di bambini che uccidono a scuola, che compiono atti di delinquenza e di vandalismo, vere e proprie stragi,... nel "primo" mondo. Nel mondo consumistico. Nell'altro, l'infanzia e' negata.

In Asia, in Africa, in America Latina sono oltre 14.000.000 i bambini da 1 a 5 Anni, che muoiono ogni anno.

Quante bombe come quelle di Hiroshima e Nagasaki ? Credo oltre 100.

E dei bambini che si salvano? In che condizioni si trovano, come si nutrono?

Che sviluppo mentale e psicologico possono avere, dato che e' scientificamente provato che senza l'alimentazione adeguata si ha un sottosviluppo anche dell'intelligenza, delle capacita' intellettuali? Quale sar la loro speranza di vita e di futuro dopo i 5 Anni? Come faranno a vivere, quale sar il loro destino?

Di queste terribili realt non si parla se non in caso di episodi eclatanti e sempre molto raramente.

Si farfugliano solo ipocrisie sui diritti umani.

Un caso e' stato l'assassinio di Iqbal Masih : il 16 aprile e' ricorso il terzo Anniversario della sua uccisione. Abbiamo intitolato a Iqbal Masih, tre Anni fa, il circolo culturale che sono qui a rappresentare, con la convinzione che il suo esempio e la sua tragica storia avrebbero contribuito a far prendere coscienza della condizione di schiavit a cui devono sottostare milioni di bambine e bambini.

Non voglio abusare della vostra pazienza, e quindi mi limiter solo a nominare le rapine di organi ai bambini poveri per quelli ricchi; le mine antiuomo che per la stragrande maggioranza sono a forma di giocattolo (tutti sappiamo la devastazione che portano); l'infanzia rubata a tutti i bambini vittime delle guerre sia armate (massacri in Algeria, profughi in Africa, spedizioni punitive serbe nel Kossovo), che della guerra diplomatica combattuta con le sanzioni economiche dell'embargo (Iraq e Cuba); lo sfruttamento della prostituzione minorile; non voglio parlare, qui, dei milioni di dollari annui spesi per i bilanci militari.

Voglio pero' ancora dire che, nonostante non si abbiano statistiche complete sul lavoro minorile (perch governi e datori di lavoro si rifiutano di ammetterne l'esistenza) anche in Italia si stima in 300.000 il numero dei bambini che lavorano.

Nel mondo intero l'UNICEF dice che sono 250.000.000 i bambini che lavorano. E' di pochi giorni fa l'iniziativa, promossa dall'UNICEF , in tutta Italia contro lo sfruttamento minorile.

Voglio qui ricordare che e' una vergogna, una cosa ripugnante, alle soglie del XXI secolo, che milioni di bambini muoiano o siano sfruttati nel lavoro. Dico che, fintanto che il profitto di tutta la nostra tecnologia cosi' avanzata entrer nelle tasche di pochi, il divario fra chi sta bene e chi sta male aumenter. Se non vogliamo sentirci complici di questo sfruttamento, di questo crimine, dobbiamo sin da ora chiedere ai nostri governi di azzerare i debiti dei paesi poveri. Ripensare ad un modo di produzione che sia per ci che serve e non per il profitto di pochi. Dobbiamo esportare la nostra conoscenza la nostra tecnologia. Non possiamo pensare di sopire la nostra coscienza con gesti di carit. Dobbiamo farci carico in prima persona di questa enorme ingiustizia.

Il nostro compito e' difficile e complesso ma, se vogliamo sentirci parte di tutta l'umanit, penso, come sono certo pensate voi, che possiamo e dobbiamo adempierlo. Dobbiamo combattere questa battaglia se vogliamo sentirci degni dell'essere umani. Se vogliamo parlare di futuro per l'umanit, dobbiamo lottare in tutti i modi possibili prima di tutto perch' ad ogni bambina e bambino a questo mondo non sia pi' negato il diritto al gioco allo studio alla salute all'educazione e alla possibilit di partecipare in prima persona ad una societ democratica.

Finche' anche ad un solo bambino sar negata la libert e il diritto ad una vita dignitosa e felice, l'intera umanit sar meno libera.

Per avermi ascoltato, grazie.

Domenico Maracino

 
Sono passati quasi quarant'Anni dalla costruzione di uno dei più orrendi mostri industriali italiani, il polo siderurgico/petrolchimico di Taranto (a lato, PHOTO DAVIDE GAZZOTTI), che ha causato direttamente ed indirettamente centinaia, anzi miliaia di vittime, quando finalmente qualcuno, per vendere un paio di copie in più (visto che ora tutto ciò fa audience come non succedeva 10 o 20 Anni fa) sparge fiumi di inchiostro sull'argomento. "La Puglia dei Veleni" è il titolo dell'approfondimento di G. Riva su L'espresso ora in edicola.
Taranto è ultima per la classifica del 'Sole 24 Ore' in quanto ad ambiente. I 1.200 decessi annui per neoplasie la collocano nettamente sopra la media nazionale. Insomma c'erano tutti i motivi per dichiararla città ad alto rischio ambientale
In realtà, dopo le mille battaglie perse contro i signori dell'industria pesante e dell'energia italiani che disperdono nell'ambiente da Taranto a Brindisi tonnellate di sostanze cancerogene l'anno, il protocollo di Kyoto è forse rimasto l'ultimo spauracchio che potrebbe far cambiare le cose. Da L'espresso:
Primo, secondo e terzo posto, podio tutto pugliese nella classifica dei dodici impianti italiani che producono più anidride carbonica, responsabile dell'effetto serra e dunque del surriscaldamento del Pianeta. Nell'ordine: centrale termoelettrica Enel di Brindisi sud 15.340.000 tonnellate l'anno di CO2; Ilva di Taranto 11.070.000; centrali termoelettriche Edison di Taranto 10.000.000.
Io, che per storia personale la Puglia conosco ad amo, poco ho da aggiungere al tanto sbraitare, se non qualche sbiadito romantico ricordo d'infanzia in banco e nero, sperando sempre che non succeda, magari proprio con in carica un governo di sinistra, che il Protocollo di Kyoto venga disatteso legalmente da tutti perchè dichiarato inapplicabile per decreto.


PHOTO DAVIDE GAZZOTTI

UPDATE 12 Aprile 2007 - Su Repubblica.it del 3 marzo 2007, nell'articolo Bancarotta e Fatalismo - Così muore Taranto leggo di Taranto parole accorate e disperate:
Taranto fu una nobile capitale della Magna Grecia incastonata fra le acque, una città di laguna, una Venezia delle Puglie, con lo splendido borgo antico dietro il castello aragonese e il quartiere ottocentesco stretti fra Mare Piccolo e Mare Grande, che nell'ultimo secolo ha subito colossali invasioni barbariche. Prima l'Arsenale del Regno, poi la Base Navale, la prima nel Mediterraneo, quindi la Fabbrica. Ora la città non è più né bella né brutta. E' una tavolozza impazzita, un impasto violento di luce, acqua, cemento, fuoco e acciaio, con angoli d' incanto e squarci spaventosi.

Da ogni punto incombe l'ultimo grande paesaggio industriale d' Italia, la riserva indiana del fordismo. L'Ilva, ex Italsider, ora gruppo Riva, sovrasta la città, la domina con le sue ciminiere e si mangia ancora due terzi del gigantesco porto. E' il primo impianto siderurgico d' Europa, un dinosauro più grande di Mirafiori, tre volte più esteso di Taranto città, dieci milioni di tonnellate d' acciaio all'anno, duecentocinquanta chilometri di ferrovia interna, altiforni imponenti come dolmen, distese di tubi a perdita d' occhio. Da quarant' Anni i tarantini la chiamano il Mostro. Da quarant' Anni distribuisce vita e morte, e non è un modo di dire. Oggi ci lavorano quindicimila operai ed erano trentamila ai tempi dell'industria di Stato.

Nella sua storia si contano centottanta caduti sul lavoro, ottomila invalidi, dieci o forse ventimila morti di cancro e leucemie, dipende dalle stime. Il gioco dei bambini del rione Tamburi, a ridosso del Mostro, è svegliarsi e indovinare di quale colore è il cielo del mattino. Di rado è blu, a volte arancione o viola, più spesso di un rosso mattone, uguale a quello ormai incrostato ai tetti delle case e sulla strada del cimitero.

Da sola l'Ilva sputa nell'aria di Taranto il 10,2 per cento di tutto l'ossido di carbonio prodotto in Europa. Ma fino a dodici Anni fa, in cambio di tanto dolore, la Fabbrica garantiva almeno il mito del "posto sicuro" nella cuccia calda dell'impresa di Stato. Nel '95 l'Ilva è stata privatizzata dal governo Dini, peraltro a un prezzo un po' troppo basso (1.700 miliardi di lire) ed è arrivato un padrone bresciano, Emilio Riva, ben deciso a imporre nella città-stato tarantina la legge del mercato, con le buone o con le cattive. Ma quasi sempre con le cattive.

In un decennio Riva ha mandato via la metà degli operai, spezzato le reni al sindacato, quadruplicato gli utili e collezionato una serie di processi e condanne, l'ultima di tre Anni per mancate misure di sicurezza e inquinamento. E' rinviato a giudizio per una pessima storia di mobbing divenuta celebre, quella della "palazzina Laf", una specie di baracca dov' era rimasto confinato per mesi un pugno di sindacalisti ostinati, senza lavoro e senza una sedia o un tavolo. La privatizzazione dell'Ilva ha segnato lo spartiacque nella vita cittadina. Gli operai licenziati si sono messi a fare gli artigiani e a "coltivare il mare" da vecchi contadini mai diventati marinai. Ogni palo di cozze a Mare Piccolo è un ex operaio dell'Ilva. Le imprese dell'indotto siderurgico prima si sono rivolte fuori, verso il boom di Bari e del Salento, poi si sono spente, una dopo l'altra. Gli operai tarantini avevano costruito la piattaforma del ponte fra Danimarca e Svezia, ma anche la Belleli ha chiuso i battenti due Anni fa.

"Senza più posto fisso, la città ha finito per attaccarsi alle ultime mammelle di Stato, la sanità e il Comune, fino a succhiare l'ultimo euro". E' l'analisi del presidente della Provincia, GiovAnni Florido, ex sindacalista dell'Ilva e più probabile candidato del centrosinistra alla poltrona di futuro sindaco, nelle elezioni di primavera. Si è trattato di scegliere fra il fallimento della pubblica amministrazione e la bancarotta delle famiglie ed è andata com'era facile immaginare.

Ora la città aspetta che qualcuno faccia "il Miracolo". Ma come nel bellissimo film di Edoardo Winspeare girato nella città vecchia, è un miracolo che soltanto la volontà dei tarantini può compiere.
 

Migrant MotherEra il 1936, e la fotografa amercana Dorothea Lange stava lavorando per uno dei progetti voluti dall'amministrazione di Franklin Delano Roosvelt al fine di verificare e documentare lo stato dell'economia rurale di un paese duramente provato dalla crisi economica seguito al crollo del 29.

In questo contesto la Lange scattò la sua fotografia più famosa e più sopravvalutata. D'altra parte, con questi progetti si stava segnando la nascita del fotoreportage, o fotografia documentaristica che dir si voglia... eravamo giustappunto nel 1936, e finalmente erano disponibili apparecchi trasportabili: era la prima volta che la macchina fotografica era vista come strumento di documentazione di importante valore sociale e politico, esattamente come affermato oltre 70 Anni più tardi da James Natchwey nel suo discorso di accettazione del TED Prize 2007. Quello che forse passerà alla storia come l'orazione funebre della documentary photography.

Migrant Woman

Sono quasi certo che l'avete vista prima... si intitola Migrant Mother ed è una delle più famose fotografie americane. Quando scattò questa foto, Dorothea Lange si dimenticò di annotare il nome della donna (o altri dettagli utili al suo progetto di documentazione) così la sua identità rimase anonima anche se la foto si apprestava a diventare un simbolo della Grande Depressione.

Verso la fine degli Anni 70, Florence Owens Thompson rivelò di essere lei ritratta nella foto dopo aver scritto una lettere al giornale locale per affermando che non le piaceva la foto. La Thompson affermò:

"I wish she hadn't taken my picture. I can't get a penny out of it. [Lange] didn't ask my name. She said she wouldn't sell the pictures. She said she'd send me a copy. She never did."

Oltre a non aver registrato il nome della donna, la Lange ha anche sbagliato un'altra cosa: la Thompson e la sua famiglia non erano affatto i tipici migranti della Grande Depressione, ma erano stanziali in California da più di 10 Anni. Come tutte le fotografie, Migrant Mother non è nè realtà nè finzione, piuttosto qualcosa di intermedio...

 
di davide del 09/05/2007 in Notizie e Stili di vita,  4210 link
Aldo Moro e Peppino ImpastatoSon passati 29 Anni da questo triste giorno.

Oggi è l’Anniversario della morte di Aldo Moro.

Oggi è l’Anniversario della morte di Peppino Impastato.

Oggi è la Giornata della Memoria delle Vittime del Terrorismo.


Aldo Moro Peppino Impastato

Un omaggio a Peppino Impastato da Carmen Consoli e Lautari:

 
Ornette ColemanOrnette Coleman, indiscutibilmente il maggior innovatore del free jazz nell'america degli Anni 60, ha vinto il Premio Pulitzer per la Musica con la sue registrazione Sound Grammar, un documento del concerto registrato live in Germania nel 2005.
La musica di Coleman non era fra le 140 nomination musicali, ma i giurati del Pulitzer hanno esercitato il loro diritto di dare uno strappo alle regole tradizionali, acquistare il CD, e nominare il 77enne maestro del jazz per il premio. Questa è la prima volta che una registrazione e non una composizione vince il premio Pulitzer per la musica, e per di più musica puramente improvvisata.
Photograph © Lee Friedlander for The New York Times

This is a portrait of composer and muscian Ornette Colemen who just won the Pulitzer Prize for composition. Here is the mention from The New York Times (16 April 07): "Mr. Coleman, the 77-year-old jazz saxophonist and composer, won for 'Sound Grammar,' a live album by his most recent quartet, recorded in 2005. Elastic and bracing, with two acoustic basses and much collective improvisation, the music harks back to the 1960s records that made him famous. 'I’m tearing and I’m surprised and happy — and I’m glad I’m an American,' he said. 'And I’m glad to be a human being who’s a part of making American qualities more eternal.'" More from The Times and npr.

This new album is really terrific - a live recording from 2005. But Coleman has been making wild, frenetic, and soulful music since the late 1950s and is is truly wonderful to see him, a true innovator, recognized for his contributions. You can find a nice essay on Coleman (a bit dated but still worth reading) by the great jazz critic Francis Davis reprinted here.

UPDATE 27 Aprile 2007: anche se non credo in questi premi "ad honorem", la grammatica dei suoni di Ornette Coleman è un disco davvero bellissimo! Ecco un estratto dalla recensione di Emiliano Neri letta su allaboutjazz.it:

Sound Grammar è un disco per cui ci si può sprecare in complimenti, per cui ci si può rilassare e rallegrare. E questo perché la nuova registrazione riprende il filo tutt’altro che infeltrito della poetica ornettiana, là dove si era smesso di tesserlo; perché la nuova formazione, rodata da un numero ormai cospicuo di esibizioni live, funziona alla perfezione, in particolar modo nell’occasione di questo concerto in Germania dello scorso anno; perché alcune delle nuove composizioni hanno un carattere talmente deciso da proporsi come nuovi classici e temi di studio; e, soprattutto, perché Ornette Coleman torna a far sentire la propria voce immutata per carisma e bellezza, e le proprie idee fedelmente trasfigurate se non in qualcosa di nuovo, in qualcosa che vale sicuramente la pena di definire ‘evento’.
 
Manifestazione No CPT Non stiamo a discutere la indicibile vergogna dei Centri di Permanenza Temporanea, veri e propri lager della porta accanto (leggi l’articolo "La vergogna dei CPT, i nuovi lager italiani" scritto da Valerio Evangelisti per Carmilla Online e trovato tramite Antonella Beccaria), ma piuttosto la mancanza di coordinazione e dialogo fra la sinistra (quella vera, quella che ora vogliono distingure in "radicale") e quella specie di grande centro in cui si è trasformata la reggenza governativa di monsier Romano Prodi.
Una sacrosanta manifestazione, che avrebbe semplicemente voluto portare alla ribalta ciò che accade all'interno dei CPT e di tutte le struttura analoghe presenti non solo in Italia, assume fin troppo facilmente posizioni che vanno al di là della "imbarazzata" linea di governo. Ma questa volta, ad una settimana dal misfatto dei ministri a Vicenza, e della conseguente caduta presidenziale, l'intera compagine governativa non si presenta, e la sinistra radicale dei nomi noti della cultura e dello spettacolo appoggia a parole, ma diserta nei fatti la manifestazione. Tanto, chissenefrega, quelli dentro i CPT mica votano o comprano dischi...


BOLOGNA, 3 MARZO 2007 - PHOTO DAVIDE GAZZOTTI

Imperdibile la parata per le strade di Bologna di una acerba gioventù (10000 per gli organizzatori, molti meno purtroppo in realtà) che è partita da un centro cittadino tutto indaffarato nell'immancabile shopping del sabato pomeriggio. Da analizzare separatamente invece, la pressochè totale mancanza di cittadini di origine straniera alla manifestazione.
I pochissimi soliti noti(?) lanciasassi non hanno poi evitato di aizzare all'assalto finale al muro vietato del CPT di via Mattei. Peccato per i 5 feriti e i 7 più facinorosi fermati dalla polizia, a cui non è riuscito di conquistare la ribalta nè della prima pagina di Repubblica.it nè di Corriere.it fra sabato e domenica. D'altra parte era il week-end di Sanremo! E d'altra parte, monsier Prodi, mentre quei quattro scalmanati tiravano sassi per una giusta causa, lo hanno visto sfilare fra le vetrine della zona più esclusiva del centro di Bologna, contorniato dal suo ormai enorme stuolo di accompagnatori, magari anche lui in preda al tipico shopping compulsivo da annoiato sabato pomeriggio centraiolo...

Proprio in concomitanza con la tanto sbandierata demagogica commemorazione del movimento del 77 (e delle sue vittime), sembra in realtà che sia cambiata un'epoca nella sinistra in questi 30 Anni... ...ma se il sasso che lanci finisce in questa indifferenza pressochè totale, che senso ha continuare a tirarlo? Cosa si dovebbe fare invece? Bastasse urlare dai blog...

Leggi la notizia su l'Unità >>
 
VERTIGOVengono davvero le vertigini a visualizzare quanta distanza intercorre fra il futurismo ed il web. A quanta arte, on- oppure off-media poi in fondo la cosa è opinabile, è trascorsa negli ultimi cento Anni. E nella mostra inaugurale del nuovissimo "Museo di Arte Moderna di Bologna" (che qualcuno ha purtroppo abbreviato in uno sputtanato "MAMbo"), è lo spazio espositivo stesso, per la precisione la sua sala principale, il vero pezzo forte. Anche se a qualcuno potrebbe non piacere, è davvero affascinante riuscire a mescolare il contenuto con il contenitore, le opere col loro museo, così bene che in questo caso è l'avvincente allestimento a far passare in secondo piano la raccolta stessa.

VERTIGOIl roboante titolo promette quello che sarebbe stato difficile mantenere, o trasmettere, unicamente realizzando un'antologia ragionata del vertiginoso spazio artistico che collega un intero secolo di storia della creativit . Così, la gestione di Gianfranco Maraniello dell'arte moderna bolognese è riuscita a sfornare una performance davvero lodevole in tutt'altro modo. Lodevole a cominciare dalla ruffiana grafica a stencil del logo dal sapore futuristico, alla raffinata eleganza dell'invito in prezioso cartoncino plastificato; da qualche rara simpatica incertezza organizzativa, alle inservienti che si sono fatte in quattro per permettere ai migliaia di Bolognesi e non che si sono accalcati allìingresso di riuscire ad accedere alla mostra; dalla lineare collezione antologica al ruffiano accostamento con gli strumenti tecnici della comunicazione, dal grammofono all'iPod, dal telegrafo al cellulare...


Biglietto d'Invito


Folla all'ingresso alle ore 19. Stampa e VIP avevano in buona parte gi concluso la loro visita.

La vera grande emozione che regala VERTIGO risiede nell'installazione, nella navata principale di questo ex- forno del pane, di una sequenza di instabili architravi realizzate mediante gonfiabili. Archi che fanno da ponte fra i due secoli percorsi nella mostra, travi che sostengono il concetto stesso di museo, ma instabili perchè in continua ridefinizione sotto l'effetto dei media, incarnati dalle videoproiezioni gettate su di essi. E' dall'altezza di questi tremolanti areostati che si prova la vertigine di vivere un intero secolo di arte sempre contemporanea.







Il contenitore supera il contenuto antologico comunque di pregio, inevitabilmente incompleto anche se impreziosito dai molti nomi altisonanti (Duchamp, Burri, Man Ray, ...). Il museo si mescola alle sue opere d'arte in un incesto concettuale davvero fruttuoso.


Gunther Ueker - TV auf Tisch, 1963


Julian Schnabel - Martine, 1987


Matthew Barney - Creamaster1: The goodyear Waltz, 1995


Alcuni mezzi di comunicazione in mostra


Il lato romantico della sala a luci rosse


Shirin Neshat (in fondo al corridoio)







Anche se forse solo un terzo dei 9500 metri quadrati di spazio espositivo ricavato in questo ex- forno del pane sono gi sfruttati ed accessibili, anche se non c'è ancora traccia della collezione permanente che era della GAM ora dismessa, vale davvero la visita. Anche se si sono gi viste altrove buona parte delle opere o degli autori esposti, ed anche se si sono utilizzati negli Anni buona parte degli strumenti di produzione artistica e comunicazione messi in vetrina.

Bologna meritava davvero uno spazio espositivo come questo. La precedente Galleria d'Arte Moderna (col più serio acronimo di GAM), era uno spazio annesso al palazzo dei congressi adiacente alla Fiera di Bologna. La bella realizzazione dell'architetto bolognese Leone Pancaldi, inaugurata nel maggio di 32 Anni fa, e dismessa con la personale di Christopher Williams a inizio anno, è una preziosa testimonianza di architettura moderna, ma era diventata inadeguata alla crescita di un tale museo per una citt come Bologna. Inoltre, la posizione decentrata non ne facilitava l'accesso, anche se, per la regola del contrappasso, in questa nuova ubicazione a due passi dal pieno centro, sono i posti auto disponibili a difettare irrimediabilmente.


UPDATE 11 Maggio 2007: Dalla discussione seguita all'interessante "E allora MAMbo!!!" di lasima sullo "spettro" di Bologna, si scopre che lo spazio espositivo allestito al momento per VERTIGO (a parte un paio di sale vuote visibilmente transennate) è tutto lo spazio disponibile al MAMbo, quindi ora la collezione permanente si trova stivata nel magazzino del MAMbo, così come succedeva alla GAM quando veniva disallestita, inscatolata e stivata nel magazzino al piano terra. Ma:

- La GAM era 3200mq circa
- Il MAMbo è 9500 mq circa

Malgrado ciò, il MAMbo, proprio come la GAM, non è in grado di esporre l'intera collezione permanente assieme ad una esposizione temporanea, quindi le opere stabili saranno esposte tra l'alternarsi di una mostra e l'altra, come riempitivo, e si costringono i curatori e gli allestitori ad un infinito ed inutile smonta e rimonta continuo, contemporaneamente privando il visistatore occasionale del patrimonio costituito dalle preziose acquisizioni operate dall'istituto.
Tanti metri quadri allora per cosa? Nei 9500 grandiosi metri quadrati ci sono anche gli enormi ingressi, gli scaloni inutili e i corridoi da macelleria... ; - )
 
Foto Follies: How Photography Lost Its Virginity on the Way to the Bank - PHOTO DUANE MICHALSDuane Michals è stato uno dei fotografi più innovativi ed influenti quando la fotografia, negli Anni 60, era ancora dominata dagli stili documetaristico e ritrattistico dei vari Ansel Adams, Robert Frank, Irvin Penn, o, al limite, di Richard Avedon. Michals, invece, esplorava il medium fotografia con senso di libertà e sperimentazione, introducendo sequenze narrative di immagini per parlare di tematiche quali il desiderio, il tempo, la giovinezza o la morte. Ma non si considerava, nè si considera tuttora, un vero artista, non si autodefinisce un radicale.
Il suo nuovo libro "Foto Follies: How Photography Lost Its Virginity on the Way to the Bank" è una graffiante satira del mondo della fotografia trainato dai soldi, sia si tratti di arte concettuale, che di fotografia commerciale. Al confronto con un libro fotografico tradizionale, si tratta di un antologico e godevole "libretto". Su photo-eye trovo scritto:
Di questo sguardo satirico sulla fotografia contemporanea, Duane Michals ha detto: "Più sei serio, più sciocco devi essere. Io ho una grande capacità per le sciocchezze. Ciò è essenziale." Sia che stia parodiando Wolfgang Tillmans o Andres Serrano, Sherrie Levine ("Una fotografia di Duane Michals di una fotografia di Sherrie Levine di una fotografia di Walker Evans") o Cindy Sherman ("Chi è Sydney Sherman?"), Michals usa la sua feroce arguzia e il suo buon occhio per creare immagini che risultano contemporaneamente umoristiche e profonde. Michals prende di mira i pregiudizi spesso percepiti come deliberatamente apposti per oscurare l'arte contemporanea, e nel fare ciò dimostra bravura sia nel campo visuale che con la parola scritta, riuscendo sempre ad produrre il piacere ancestrale di una buona risata.

SELF PORTRAIT - PHOTO DUANE MICHALS



"SYNCHRONICITY" ALBUM COVER (THE POLICE, 1983) - PHOTO DUANE MICHALS

Poi ho incrociato questo post su una presentazione di questo "mostro sacro" alla libreria Strand di New York - su The View from the Edge of the Universe - e non ho resistito dal riportare alcune citazioni di Michals che, a 75 Anni, dice pane al pane e vino al vino:

"I've always relied on the kindness of ideas"

"Everything you think makes sense doesn't. Get out of the fuckin' box."

"My gift to you is that I'm not you"

"As long as you believe in consensus reality, you will never experience true reality"

"What a cheap joint, I have to do my own slides" .... and .... "Jesus, what do I have to do to get fucked around here"

"You are the alpha, the omega. You are the event"

"You affect what you see through the participation of your observations"

"Have you ever thought about the not-nowness of now?"

"I love to photograph what cannot be seen"

"Reality is not a set of observable facts walking down the street."

"Photography is not about looking, its about feeling"

"Can you imagine defining your life so narrowly that Nirvana is sex with 72 virgins"

"Someone just paid $3 million for a Gursky. $2.5 million I can see, but 3?"

"You should always be a beginner"

"I love ideas I've never thought of before"

 
Questa volta Oliviero Toscani ce l'ha contro la piaga dell'anoressia, e sfrutta superficialmente questo tema per promozionare Nolita, un brand per bambini fighetti. L'inventore del "pubblicizzare i maglioni con campagne (pseudo-)sociali" pubblica la sua ennesima campagna chock realizzata fotografando, come al solito in modo semplice e scontato, una magrissima modella anoressica, ritratta nuda. E' francese e si chiama Isabelle Caro, e da diversi Anni è afflitta da una grave forma di anoressia che l'ha portata a pesare poco più di trenta chili.
Fabiola De Clerq, presidente di Aba (Associazione per lo studio e la ricerca sull'anoressia, la bulimia e l'obesità): "L'utilizzo di questa immagine è suscettibile di indurre fenomeni di emulazione e non aiuta certo i diretti interessati né le loro famiglie: si accendono i riflettori e poi si spengono, e le famiglie si vedono sbattere le porte in faccia dai grandi ospedali".

Almeno il buon Oliviero sembra aver ritrovato la sua strada; quella che lo ha reso celebre e che sembrava aver perso negli ultimi tempi.

 

Ricerca fotografie per Anni

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di davide del 17/08/2003 alle 22:51,  2440 link
Copertina del numero di Agosto 2004 di World Music Magazine che ritrae GiovAnni Lindo Ferretti ed Ambrogio Sparagna ...

 
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di davide del 22/10/2006 alle 16:37,  1588 link
I miei primi sei Anni ...

 
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di davide del 18/03/2007 alle 15:18,  4217 link
Hommage a Steve McCurry #1 - Kyran, di 4 Anni, originaria del Pakistan delle periferie rurali del NordEst ...

 

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12/06/2007 - La Suburbia americana degli Anni 70 - Bill Owens Photography
"
Il talento è un malessere allo stato liquido, e nella maggior parte delle persone questo malessere non riesce a filtrare in quella parte di cervello che permette di trasformarlo in qualcosa d'altro. Ma in ogni caso il talento è sempre un malessere allo stato liquido e la frustrazione sta nell'incapacità di esprimere qualcosa che comunque c'è...

Sydney Pollack
"
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