Il suo patinato formalismo è agli antipodi rispetto al mio modo a volte "sporco" di vedere il reportage in modo fotogiornalistico. Malgrado ciò, non si può negare che Monte Zuckerfosse forse il più noto e il più imitato dei fotografi del "matrimonio tutto in posa, in cui sembrare bellissimi". Scolastico proprio fino alla morte: poco prima di morire aveva tramutato il suo scolastico modo di trasformare con la luce la realtà in qualcosa di leggero e possibile, in una istituzione educativa per futuri emuli del suo classicismo ritrattistico. Delle sue facili tecniche di posa e ripresa ha lasciato anche qualche appunto on-line. Ho letto solo oggi su washingtonpost.com che è venuto a mancare questa celebrità molto glocal. Adieu Monte. Tutti i principianti del mondo sentiranno la tua mancanza.
Un articolo del New York Times fa notare che "dall'anno scorso i militari hanno applicato un nuovo regolamento che prevede di ottenere l'autorizzazione dai soldati feriti prima che le fotografie di guerra possano essere pubblicate". Bisogna ammettere che un modo piuttosto ingegnoso per evitare che il pubblico possa vedere le conseguenze della disastrosa guerra in Iraq di George W. Bush ...
...(che, non dimentichiamolo, è anche la guerra di quei Senatori che a suo tempo diedero a Bush l'autorizzazione per essa, e di quelli che hanno appena allungato a Bush altri soldi senza condizione). Così adesso siamo nell'assurda situazione in cui la gente non può far nulla per la guerra (perchè qualsiasi cosa che non sia lasciar fare al Presidente tutto quello che vuole "non sarebbe di supporto alle truppe"), e i cittadini non possono neppure vedere cosa sta succedendo (perchè anche fare fotografie "non sarebbe di supporto alle truppe"). (via Conscientious)
Il tradimento dei democratici che hanno staccato un nuovo assegno in bianco alla guerra di George W. Bush è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. E Cindy Sheehan, la madre di Casey - ucciso a 24 anni a Bagdad nel 2004 - diventata il simbolo del 'no' alla guerra, ha mollato: esausta, delusa e arrabbiata ha annunciato la sua intenzione di lasciare il movimento per la pace. E, in una lettera pubblicata da un sito liberal proprio nel Memorial Day, afferma: "Ho cercato per tutti questi anni di dare un senso al sacrificio di mio figlio ma ora sono giunta alla più devastante delle conclusioni: Casey è veramente morto per niente". "Casey è morto per un paese al quale interessa di più sapere chi sarà il vincitore del nuovo reality, piuttosto che quante persone perderanno la vita in Iraq nei prossimi mesi, mentre democratici e repubblicani giocano alla politica con le vite umane". (via Repubblica.it)
Nel suo discorso, parla degli ultimi 25 anni di guerre coperte come reporter, e sottolinea due filoni paralleli nei suoi lavori. Il primo che la violenza, la carestia, la malattie, tutti i "fronti" delle guerre contemporanee sono esattamente dove la gente vive. E il secondo che, quando una fotografia attira l'attenzione del mondo, può davvero guidare all'azione per il cambiamento. Mettendosi in mezzo al conflitto, la ruffiana intuizione di Nachtwey è quella di raccontare la verità, di documentare le lotte dell'umanità, e così facendo svegliare gli animi e spingerli all'azione.
L'utopia di questo premio risiede nel fatto che TED garantisce ad ogni vincitore 100,000 dollari e il supporto di multinazionali, che così si fanno pubblicità e scaricano utili in eccesso, per aiutarli in progetti che si propongono di cambiare il mondo, in un modo o nell'altro.
Il desiderio di Nachtwey è "lavorare sulle storie che il mondo deve conoscere, e influenzarle provando la potenza del Fotogiornalismo nell'era digitale".
Di seguito ecco il suo a tratti terrificante discorso (in inglese) accompagnato dalle note e sensazionali immagini di invincibile sofferenza... vale la pena seguire questi 20 minuti di presentazione malgrado le non sue ottimali doti oratorie.
Non ho ancora letto l'intero articolo di Jim Johnson, ma l'abstract mi risuona interessante: "La sovraesposizione di immagini crude e violente potrebbe, trasformando i diffusi problemi socio-politico-economici in melodrammatiche storie di umano interesse, diminuire la reale capacità degli individui e delle organizzazioni ad intraprendere azioni correttive e preventive" efficaci e tempestive.
Ciònonostante una populistica visione convenzionale del Fotogiornalismo continua a premiare gli atteggiamenti più demagocici al riguardo, come quello di un James Nachtwey da guerra che si racconta alla TED conference come se produrre le immagini che in primis gli procurano il successo personale fosse un'operazione messianica di salvataggio del mondo dal male.
"5 minutes in my shoes - Piccole storie di rifugiati" è una mostra di Elena Marioni composta da 60 fotografie in bianco e nero, suddivise in sezioni che documentano l'arrivo dei richiedenti asilo in Italia e le loro prime attività. Il Comune di Bologna ospita l'esposizione, allestita nel cortine di Palazzo d'Accursio, nell'ambito del fuori programma del Festival Human Rights Nights organizzato dalla Cineteca di Bologna. La mostra è visitabile dal 14 aprile al 1° maggio, tutti i giorni dalle 8 alle 19. Le immagini di Elena Marioni sono un reportage realizzato in diretto stile fotogiornalistico. Il suo bianco e nero, però, risulta davvero efficace solo a tratti, mentre in alcune sezioni le immagini sono prive della forza necessaria a comunicare il lato emotivo dell'essere un rifugiato appena sbarcato in un paese straniero. Come spesso accade nei progetti con una forte necessità educational, l'editing della mostra ha privilegiato l'aspetto documentativo sopra quello espressivo o artistico della selezione.
Vale comunque la pena dare un'occhiata alla mostra, malgrado l'illuminazione decisamente imperfetta dovuta alla luce naturale del cortile di Palazzo d'Accursio che mal si distribuisce fra le pannellature. In particolare sono da notare alcune immagini con i gesti della identificazione dopo lo sbarco, e alcuni particolari delle stanze dei rifugiati.
Se si fossero eliminate dalla selezione per la mostra circa 20/25 immagini si sarebbe forse perso parte del valore documentativo, ma si sarebbe guadagnato enormemente in impatto emotivo dell'esposizione, ed in espressività. Dal mio punto di vista è un piccolo peccato.
La fotografia di Edward Burtynsky è tutta rivolta a documentare la distruzione dell'ambiente naturale per il nostro egoistico benessere immediato, o, come dice lui "La nostra dipendenza dalla natura per fornirci dei materiali di consumo e la contemporanea peoccupazione per la salute del pianeta ci collocano di fronta ad una scomoda contraddizione".
Bruce Haley produce Fotogiornalismo già da un po' di tempo. Guardando il suo progetto Disfigured Landscapes, è interessante notare come la percezione degli stessi paesaggi in via di distruzione (fotografati in bianco e nero) sia piuttosto diversa da quella di Edward Burtynsky (che usa pellicola a colori):
Ando Gilardi è il pioniere degli studi italiani sulla fotografia e il fondatore della Fototeca storica nazionale. Ha lavorato a lungo come giornalista e fotoreporter. È stato per alcuni anni direttore tecnico di “Popular Photography Italiana” e tra i fondatori e condirettori di “Photo 13”. È autore di numerosi saggi e articoli. Per la Bruno Mondadori ha pubblicato: Storia sociale della fotografia (2000), Storia della fotografia pornografica (2002), Wanted! Storia, tecnica ed estetica della fotografia criminale, segnaletica e giudiziaria (2003) e Meglio ladro che fotografo. Tutto quello che dovreste sapere sulla fotografia ma preferirete non aver mai saputo (2007).
"MEGLIO LADRO CHE FOTOGRAFO - Tutto quello che dovreste sapere sulla fotografia ma preferirete non aver mai saputo" In questo agile libretto, un grande protagonista del panorama della fotografia italiana concentra la sua straordinaria esperienza maturata in più di mezzo secolo vissuto tra le immagini. La sua attività di fotografo nel campo del sociale, lo sviluppo di un’impostazione anarchica della teoria fotografica, l’indagine dei cambiamenti della società attraverso un’osservazione partecipata: sono soltanto alcuni degli ingredienti che compongono la vita avventurosa di Ando Gilardi e che, qui, si trasformano in riflessioni indispensabili per tutti i giovani che aspirano a diventare fotografi. La fotografia è un’arte difficile, spesso praticata in modo amatoriale come distrazione dai pensieri quotidiani. E proprio a chi fotografa per diletto può risultare preziosa l’esperienza di Gilardi che, pur nella consapevolezza di trovarsi di fronte a un mezzo in continua evoluzione, conosce a fondo i meccanismi e i segreti di uno dei modi più meravigliosi che abbiamo per soddisfare il nostro “bisogno visivo”.
E' stato distribuito e presentato a vari festival nel 2001 "War Photographer" di Christian Frei, che ha seguito James Nachtwey, il più famoso fotografo di guerre al mondo, per un paio di anni. Particolare l'utilizzo per la prima volta proprio in questo reportage di una telecamera montata sulla fotocamera di Nachtwey per simulare la stretta visione possibile al fotografo inquadrando le concitate scene di guerra. Anche questo fattore, oltre che alle qualità del lavoro del fotografo in questione, e alla pericolosità dei momenti delle riprese durante la guerriglia palestinese, ha contribuito a rendere famoso questo documentario che per altri versi appare un po' demagogico e filmograficamente perfettibile. Ecco un frammento di 4 minuti disponibile on-line:
In questo frammento Nachtwey filosofeggia impersonando le vesti un po' messianiche di chi il fotogiornalista lo fa per salvare il mondo:
"Why photograph war? Is it possible to put an end to human behavior which has existed throughout history by means of photography? The proportions of that notion seem ridiculously out of balance yet that very idea has motivated me." - James Nachtwey
La superficialità e la chiassosità del fotografo americano David LaChapelle sono la sua vera forza. E' sempre così dichiaratamente e volutamente provocatorio che non gli si può dire nulla: lui, quando comunica, non parla, ma URLA. Ultimo vero baluardo della culura pop degli anni 70, è diventato uno dei più acclamati fotografi dello show-business. Nel suo sito però, soprattuto tra i portrait, ci sono fotografie che sono veri e propri capolavori di espressività, molte delle quali gli hanno guadagnato, oltre al successo commerciale, anche fama nel mondo della fotografia d'arte.
The Last Supper
LaChapelle è un fotografo, anzi è il fotografo, ha fotografato TUTTI. Se vi viene in mente il nome di una star dello show business, una QUALUNQUE, una che conti almeno qualcosa, state certi che lui l’ha fotografata, perchè se conti qualcosa nella torbida valle di Hollywood non puoi non avere una foto di David. E per David si intende proprio lui LaChapelle. Roba che Courtney Love dovrebbe baciare la terra su cui lui cammina e ringraziarlo a vita per le foto che le ha fatto a quella sciamannata con il mascara sempre sbavato, gli NSYNC dovrebbero genuflettersi per quella foto in cui hanno per la prima e probabilmente l’ultima volta nella loro vita uno spessore artistico. Perfino Tori Spelling sembra possedere un qualche tipo di fascino e di mistero.
Madonna
David, il cappellaio matto, il prestigiatore delle star, riesce a far apparire tutti stupendi e speciali in qualche modo. E’ riuscito a far sembrare le tette di Pamela Anderson giustificabili dal punto di vista artistico. E il bello è che lui non trasforma la persona che ha davanti, non la cambia, ma solo la ESPANDE, prende il lato migliore e lo esagera fino a farlo sembrare irresistibile per chiunque guardi, per lui, come per mia nonna quando cucina, niente è mai troppo.
Paris Hilton
Quando ero piccola mi raccontavano una favola su di un anello che se lo indossavi faceva innamorare tutti di te, ecco, secondo me David possiede quell’anello, ma invece di tenerselo solo per se, lo presta alla persona che deve fotografare, ma per poco, giusto il tempo dello scatto, poi possono continuare a fare la loto, banale, noiosa vita da star. I colori sono ovviamente saturi, si sparano diretti nel cervello, alla base del sistema nervoso di chi guarda. Se è eccessivo è lui. Se è colorato è lui. Se vi sembra pornografia di bassa lega e coi colori sbagliati è lui. Se vi sembra che qualcuno stia urlando mentre guardate una foto è sempre lui.
Angelina Jolie
L’espressione GENIO sembra essere stata coniata apposta per lui, ma nel senso di diavoletto, di genietto ‘platonico’ e malizioso, un Daemon, un Satiro che scorrazza nel dorato mondo di Hollywood, un Puck contemporaneo che sparge la polvere magica dello scandalo sugli occhi della gente.
Britney Spears
Ha girato video musicali, ha girato spot pubblicitari che voi vedete ogni giorno quando accendete la televisione, ha fatto le copertine di innumerevoli dischi che voi probabilmente possedete (Maria Carey spero di no), ha firmato le copertine di praticamente qualsiasi settimanale sia uscito negli ultimi dieci anni in ogni parte del mondo. Gael Garcia Bernal non sapeva di essere Gael Garcia Bernal prima di essere fotografato da LaChapelle, o pensavate che fosse tutto merito di quella motocicletta scarcassata che guidava? LaChapelle è intorno a voi e voi neanche ve ne accorgete, e ne avrete ancora e ancora finchè LaChapelle avrà vita.
Se ancora non vi basta, qualsiasi cosa si sia anche accidentalmente frapposta tra l’obbiettivo fotografico di quest’uomo e la realtà negli ultimi dieci anni è probabilmente arte. LaChapelle è America, è come uno di quei mega barattoli di maionese o di burro di arachidi che qui in Italia non esistono. LaChapelle è un Big Mac, ipercalorico, coloratissimo, grande, eccessivo, immangiabile.
Definire fotografia l'opera di LaChapelle è sicuramente una semplificazione, le sue sono immagini dove realtà, sogno e dissacrante surrealismo, si fondono in una rappresentazione che lascia sconcertati e affascinati. Nasce a Farmington Connecticut nel 1963, nel 1978 si trasferisce a New York cominciando la sua avventura artistica con Andy Warhol, per la rivista INTERVIEW fino al 1987, anno della scomparsa del grande artista. A 24 anni David è già una grande firma del Fotogiornalismo con servizi per VOGUE, VANITY FAIR, THE FACE (fra le più importanti riviste di moda e costume). Nel 1996 vince il premio come fotografo dell'anno, inoltre il suo primo libro fotografico "LaChapelle Land" va a ruba, nel 1999 il secondo libro di immagini "Hotel LaChapelle" si conferma un best seller.
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Il genio creativo, esplode in tutta la sua virulenza espressiva, quando LaChapelle esce dagli angusti limiti del genere ritrattistico o giornalistico. Le sue creazioni falsamente astratte, anzi di un simbolismo deflagrante e volutamente blasfemo, sono il prodotto di una ricerca tanto lucida quanto visionaria. Si tratta di immagini pensate e costruite con senso del grottesco e dell'impossibile, in una miscela esplosiva di colori violenti, ironia, sensualità, oltraggio. Il tutto però non è gratuito, ma vuole essere una satira della vacuità, dell'edonismo, del vuoto apparire privo di contenuti del nostro tempo, ma senza drammatizzazioni e anzi con una visione divertita e disincantata. Quella di David LaChapelle è poi una ricerca di sperimentazione pura, essendo le sue opere frutto di elaborazione e fotoritocco digitale, dello stesso autore.
“Cerco il brutto nel bello e il bello nel kitsch. I miei scenari preferiti sono i McDonald's e le auto da poco, all'inizio oziavo in questi posti, ora li fotografo. Mi allontano deliberatamente dalla realtà di tutti i giorni, la vita è troppo triste. La comicità è una forma di bellezza: guardate John Belushi, lui era bello perché era buffo”
LaChapelle in fondo con la sua arte cerca il grottesco del quotidiano e il bello dove proprio non c'è.
Non stiamo a discutere la indicibile vergogna dei Centri di Permanenza Temporanea, veri e propri lager della porta accanto (leggi l’articolo
"La vergogna dei CPT, i nuovi lager italiani"
scritto da
Valerio Evangelisti
per
Carmilla Online e trovato tramite
Antonella Beccaria), ma piuttosto la mancanza di coordinazione e dialogo fra la sinistra (quella vera, quella che ora vogliono distingure in "radicale") e quella specie di grande centro in cui si è trasformata la reggenza governativa di
monsier
Romano Prodi.
Una sacrosanta manifestazione, che avrebbe semplicemente voluto portare alla ribalta ciò che accade all'interno dei CPT e di tutte le struttura analoghe presenti non solo in Italia, assume fin troppo facilmente posizioni che vanno al di là della "imbarazzata" linea di governo. Ma questa volta, ad una settimana dal misfatto dei ministri a Vicenza, e della conseguente caduta presidenziale, l'intera compagine governativa non si presenta, e la sinistra radicale dei nomi noti della cultura e dello spettacolo appoggia a parole, ma diserta nei fatti la manifestazione. Tanto, chissenefrega, quelli dentro i CPT mica votano o comprano dischi...
BOLOGNA, 3 MARZO 2007 - PHOTO DAVIDE GAZZOTTI
Imperdibile la parata per le strade di Bologna di una acerba gioventù (10000 per gli organizzatori, molti meno purtroppo in realtà) che è partita da un centro cittadino tutto indaffarato nell'immancabile shopping del sabato pomeriggio. Da analizzare separatamente invece, la pressochè totale mancanza di cittadini di origine straniera alla manifestazione.
I pochissimi soliti noti(?) lanciasassi non hanno poi evitato di aizzare all'assalto finale al muro vietato del CPT di via Mattei. Peccato per i 5 feriti e i 7 più facinorosi fermati dalla polizia, a cui non è riuscito di conquistare la ribalta nè della prima pagina di Repubblica.it nè di Corriere.it fra sabato e domenica. D'altra parte era il week-end di Sanremo! E d'altra parte, monsier Prodi, mentre quei quattro scalmanati tiravano sassi per una giusta causa, lo hanno visto sfilare fra le vetrine della zona più esclusiva del centro di Bologna, contorniato dal suo ormai enorme stuolo di accompagnatori, magari anche lui in preda al tipico shopping compulsivo da annoiato sabato pomeriggio centraiolo...
Proprio in concomitanza con la tanto sbandierata demagogica commemorazione del movimento del 77 (e delle sue vittime), sembra in realtà che sia cambiata un'epoca nella sinistra in questi 30 anni... ...ma se il sasso che lanci finisce in questa indifferenza pressochè totale, che senso ha continuare a tirarlo? Cosa si dovebbe fare invece? Bastasse urlare dai blog...
Nell'ambito della rinnovata verve della più nota agenzia di fotografi del mondo, la Magnum Photos, si colloca il progetto del sub-portale MagnumInMotion che pubblica interessanti produzioni audiovisive. Non potevano mancare documentari sui più imporanti fotografi della Magnum contemporanei, e, tanto per cominciare bene, segnalo il film su Steve McCurry, di cui avevo parlato in occasione della sua personale alla galleria ModenArt quest'inverno. E' davvero interessante rivedere il lavoro di una persona come Steve, commentato dalle sue stesse parole. Il vido-essay è incentrato sul più recente progetto di Steve McCurry riguardante il Tibet e il Buddhismo più in generale: "Non sono credente, ma se dovessi essere qualcosa, molto probabilmente sarei Buddhista".
Avviso Questo blog non rappresenta una testata di nessun tipo, tanto meno giornalistica, in quanto viene aggiornato in modo scostante e discontinuo, come il suo autore.
Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale (e non potrebbe neanche fosse periodico) ai sensi della legge n.62 del 7.03.2001.
Watching Mostly French and Danish productions, all Stanley Kubrick's filmography, Wim Wenders, Woody Allen, Roman Polanski, Godard, Truffaut, Jim Jarmusch, Ken Loach, Kieslowsky...