Espedienti narrativi degni del miglior Tarantino, regia e montaggio coinvolgenti, storia d'autore (Guillermo Arriaga) ed interessante: il tutto messicano primo grande film del messicano Alejandro González Iñárritu riesce nell'intento di colpire lo spettatore, ed assicurare un prospero futuro al suo autore.
Amores perros ricorre agli stessi espedienti narrativi che ultimamente bastano a sancire il successo di una pellicola, riuscendo però a destare svariati motivi di interesse che non siano meramente letterari. Dopo la visione di questo film verrebbe istintivo di mettersi a riflettere sul concetto di realismo. Chissà perché poi, dal momento che Inarritu nel primo episodio (decisamente il più interessante) ce la mette proprio tutta per allontanarsene a colpi di stacchi repentini, spingendo il piede sull'acceleratore con tutta la violenza di un montaggio irrequieto e rabbioso.
All'epoca dei fatti, quando le Germanie erano due e un muro lungo 46 km attraversava le strade e il cuore dei tedeschi, il regista Florian Henckel von Donnersmarck era poco più che un bambino. Per questa ragione ha riempito il suo film dei dettagli che colpirono il fanciullo che era allora. L'incoscienza e la paura diffuse nella sua preziosa opera prima sono quelle di un'infanzia dotata di un eccellente spirito di osservazione.
La riflessione e l'interesse per il comportamento della popolazione, degli artisti e degli intellettuali nei confronti del regime comunista appartengono invece a uno sguardo adulto e documentato sulla materia. Ricordi personali e documenti raccolti rievocano sullo schermo gli ultimi anni di un sistema che finirà per implodere e abbattere il Muro. [...]
Davvero un ottimo film, anche se è un peccato l'eccesso di pervasività di una morale sfacciatamente da banale filmone buonista, dove il traditore finisce sempre male, se non schiacciato da un camion.
E' un film violento, a volte ingenuo, ma venato di suspence questo "La sconosciuta" di Giuseppe Tornatore, con tratti del cinema di genere, e con un crescendo molto intenso. E' la storia di Irena, giovane donna ucraina che fa la donna delle pulizie. In un bel palazzo dove vivono molte famiglie di orafi, Irena riesce a diventare amica della tata di casa Venacher e poi a sostituirla. Tutto per stare vicino a Tea, una bella bambina che ha i suoi stessi riccioli castani, ma il suo passato di abusi e prostituzione continua a tormentarla, e torna a fare capolino...
"Il dna del film deriva da un fatto di cronaca, letto tanti anni fa su un giornale e che ho ritagliato, come fanno tanti registi. Era la storia di una donna che in complicità con il marito partoriva figli da vendere. Poi la storia è andata in un'altra direzione. Ho scelto il registro del mistero perché non avevo intenzione di fare un film di denuncia, se si vuole denunciare qualcosa si fa un esposto in polizia". [Da un intervista a G. Tornatore]
Bravissima la bella e sconosciuta ucraina Xsenia Rappoport, e al meglio, per un film interamente italiano, anche il cast, che comprende Pierfrancesco Favino e Claudia Gerini nel ruolo del padre e della madre di Tea, Piera Degli Esposti in quello della prima tata di casa Venacher, Alessandro Haber viscido portiere del palazzo e Michele Placido nei terribili panni di "Muffa", il protettore violento e vendicativo di Irena. [Visto solo]
All'inizio degli anni sessanta l'industria italiana era alla massima espressione per tecnologia e design, solo che non lo sapeva ancora: troppo vicini erano i ricordi di una terribile guerra, di un regime totalitario e limitativo, e della conseguente miseria materiale e morale che aveva afflitto la penisola nei decenni precedenti. Forse l'Italia non sarebbe stata mai più così vicina ad americani/giapponesi/tedeschi per tecnologie di base e design. Per quanto riguarda le tecnologie, basta ricordare l'innovativo "super" calcolatore Elea 9003 del 1959, mentre, sempre dalla storia dell'azienda di Adriano Olivetti, per il design basti ricordare una piccola storia fatta per apparecchi di scrittura:
D-Copia 55, sistema digitale multifunzione -2002
Explor@, e-cash - 2002
Copy Lab 200, sistema multifunzione a base copy , flat bed - design: Michele De Lucchi, 2001
Gioconda, calcolatrice da tavolo - design: Michele De Lucchi, 2001
Nomad Jet, stampante mobile a getto d'inchiostro - 2001
Jet Lab 600@, sistema multifunzione a colori a base fax - 2000
Art Jet 10, stampante a getto d'inchiostro - design: Michele De Lucchi, 1999. Vince il premio di design Compasso d'oro
Divisumma 18, calcolatrice elettronica da tavolo - design: Mario Bellini, 1973
Logos 68, calcolatrice elettronica da tavolo - design: Mario Bellini, 1973
Logos 68, calcolatrice elettronica da tavolo - design: Mario Bellini, 1973
Valentine, macchina per scrivere portatile - design: Ettore Sottsass, 1969. Esposta nella collezione permanente di design al Museum of Modern Art di New York
Valentine, macchina per scrivere portatile - design: Ettore Sottsass, 1969. Esposta nella collezione permanente di design al Museum of Modern Art di New York
Programma 101, calcolatore elettronico da tavolo su progetto di Piergiorgio Perotto - design: Mario Bellini, 1965
Elea 9003, calcolatore elettronico, sviluppato nel Laboratorio di Ricerca di Borgolombardo guidato da Mario Tchou - design: Ettore Sottsass, 1959. Particolare della consolle
Elea 9003, calcolatore elettronico, sviluppato nel Laboratorio di Ricerca di Borgolombardo guidato da Mario Tchou - design: Ettore Sottsass, 1959
Divisumma 24, calcolatrice meccanica da tavolo - design: Marcello Nizzoli, 1956. Vista laterale del meccanismo interno
Lettera 22, macchina per scrivere - design: Marcello Nizzoli, 1950. Esposta nella collezione permanente di design al Museum of Modern Art di New York
Lettera 22, macchina per scrivere - design: Marcello Nizzoli, 1950. Esposta nella collezione permanente di design al Museum of Modern Art di New York. Bozzetto del progetto
Summa 15, calcolatrice da tavolo meccanica, design: Marcello Nizzoli, 1949
Summa 15, calcolatrice da tavolo meccanica, design: Marcello Nizzoli, 1949. Dettaglio della tastiera
Divisumma 14, prima macchina calcolatrice meccanica al mondo ad eseguire le quattro operazioni - design: Marcello Nizzoli, 1948
Lexikon 80, macchina per scrivere - design: Marcello Nizzoli, 1948. Esposta nella collezione permanente di design al Museum of Modern Art di New York.
Lexikon 80, macchina per scrivere - design: Marcello Nizzoli, 1948. Esposta nella collezione permanente di design al Museum of Modern Art di New York. Vista laterale del meccanismo interno
Lexikon 80, macchina per scrivere - design: Marcello Nizzoli, 1948. Esposta nella collezione permanente di design al Museum of Modern Art di New York. Bozzetto del progetto
MP1, prima macchina per scrivere portatile prodotta dalla Olivetti tra il 1932 e il 1935, disegnata da Aldo Magnielli
MP1, prima macchina per scrivere portatile prodotta dalla Olivetti tra il 1932 e il 1935, disegnata da Aldo Magnielli
MP1, prima macchina per scrivere portatile prodotta dalla Olivetti tra il 1932 e il 1935, disegnata da Aldo Magnielli
M1, prima macchina per scrivere prodotta dalla Olivetti nel 1911, disegnata da Camillo Olivetti
M1, prima macchina per scrivere prodotta dalla Olivetti nel 1911, disegnata da Camillo Olivetti
M1, prima macchina per scrivere prodotta dalla Olivetti nel 1911, disegnata da Camillo Olivetti
Sono quasi le tre del pomeriggio, e il baccano della tormenta si sta abbattendo sulla città. Con le sue violente raffiche di vento e pioggia, inframezzato dal vocìo della strada e dall'acre fumo dei tegami, mi ha sbattuto con forza giù dal letto dopo solo poche ore di sonno. Le ossa, il collo in particolare, mi fanno un po' male. Intorno solo tanti bicchieri di plastica rovesciati, qualche macchia sul tappeto e odore acido di liquori e di spezie, e del wok del ristorante sotto casa che sta sfriggendo carni e riso ormai da troppe ore.
Che serata ieri sera! Che bello vedere tanta gente in festa nel grande appartamento sperduto in questa immensa periferia che la compagnia mi ha messo a disposizione: c'erano tutti, e, quasi quasi, sono stati anche simpatici con me, anche se ci conosciamo e ci capiamo appena. Non avrei mai creduto che un po' di buon vecchio french touch che usciva dal mio lettore mp3, amplificato appena dai diffusori rigorosamente “Made in Taiwan” presi a prestito dal mio vicino, potessero creare una tale atmosfera... Merde, quanta merda rovesciata per terra. Azzz anche sul muro appena intonacato... speriamo che quel truce del padrone non s'incazzi poi se sarà difficile coprire l'odore da fetido bar di perifieria italiana che il martini e ore di sigarette hanno fatto già stagnare in questa casa. Dio che fastidio, vorrei vomitare.
Ora che ci penso, è una vita che non lo faccio. Da quando non fumo più, penso. Neanche dopo le sbronze più catastrofiche. Per questo, soprattutto per un ipocondriaco come me, non è bene star per vomitare. Proprio ora e per davvero, e per di più senza aver quasi toccato alcool ieri sera. Certo che per un ex-quasi-bulimico sto davvero mangiando troppo e male da quando sono lontano: dopo il pranzo di pesce crudo e riso al ristorante giapponese dove c'era anche la tipa mora e alta, dai lunghi capelli corvini decorati con fiori di campo porpora, che quasi quasi avrebbe potuto farmi di nuovo battere il cuore, ieri ho poi fatto aperitivo al lounge bar finto-newyorkerse in centro, ma bevendo quasi nulla... Poi, a cena, prima pollo, curry, tanto pollo e tanto curry a dire il vero, e tante altre cose e altre spezie, alla taverna locale, eppoi formaggi, ostriche e profumate delizie al ristorante francese. Infine, al termine della nottata, tutte le pizzette che avevo fatto arrivare apposta per intrattenere gli ospiti chiamati da me per l'after-dinner. Merda che nausea.
Nella patria della tecnologia di consumo non sono ancora dotato di una connessione internet domestica, incredibile. Il mio cellulare, chissà perchè, proprio qui non trasferisce dati, e tutto quello che riesco a fare è sbattermi da una parte e dall'altra della metropoli per restituire quasi ogni fine giornata la chiavetta da 16 Giga ricolma di sgargianti immagini da mal di stomaco. E il mio blog, e gli altri progetti, e non solo quelli, ne risentono... ho sempre tanto sonno, e tanto ritardo nel fare le cose. Proprio dal primo giorno, proprio da quando sono salito sull'aereo alle 14 per uscirne a mezzanotte. Peccato che qui fossero le 8 del mattino, e che la prima riunione col mio agente distava solo due ore, e che a quasi quarant'anni le notti in bianco son pesanti...
Non sono più in occidente, ma neanche in estremo oriente forse. Sono qui, ora, ed è bellissimo. Ed è tutto molto, ma molto, strano, e molto istruttivo. Incantevole, vorrei dire, ma non so.
Peccato solo che ora non vorrei far altro che vomitare...
Dopo l'antologica VERTIGOinaugurale, il MAMbodedica lo spazio espositivo a una raccolta di opere egoriferitamente dedicate alla concezione dello spazio espositivo, del museo d’arte contemporanea, tramite l'arte contemporanea. Dimenticata la ressa di inizio maggio, sabato 1 dicembre solo veri appassionati, studenti e addetti del settore si ritrovano all 17 per godere comodamente delle 4 installazioni a tema, espressamente concepite o specificamente riallestite per il MAMbo.
All’ingresso la gradita sorpresa romanticamente pop di Adam Chodzko: "M-path and Hole" è un concept di facile effetto sul mettersi, tramite l’arte, nei panni di un altro. Entrando nel museo il visitatore è invitato a scambiare le proprie scarpe con quelle di un ignaro abitante di un quartiere periferico cittadino che le ha appositamente lasciate all’artista.
Adam Chodzko: "M-path and Hole"
Adam Chodzko: "M-path and Hole"
Troppo sottile il concetto della “mossa del cavallo” e davvero troppo banale la realizzazione di Eva Marisaldi. “Jumps” tradisce la metamorfosi emotiva di una donna che diventa madre più che delineare percorsi di scoperta attraverso l’esposizione di ostacoli a misura di pargoletto.
Diego Perrone: “La mamma di Boccioni in ambulanza e la fusione della campana”
Interessante l’”Already Vanishing” di Bojan Šarcevic che sfrutta la singolare contrapposizione fra geometrie architettoniche e carne appena macellata per ibridizzare il film a 16mm con la scultura moderna. Davvero pregevole l’allestimento curato da Andrea Viliani su precise indicazioni del giovane artista.
In sordina oggi ha inaugurato anche la biblioteca del MAMbo, che offre dalle10 alle 17.30 (domeniche e lunedì esclusi) accesso a tutti i più importanti cataloghi in possesso del museo d'arte contemporanea bolognese. Simpatica la realizzazione (edizione Skira/MAMbo)dei quattro mini-cataloghi per le installazioni di Chodzko-Marisaldi-Perrone-Sarcevic per questa Step2, e bello anche format e realizzazione grafica. Peccato solo il prezzo: 20 Euro ognuno, ovvero 80 Euro per la serie dei 4 mini-cataloghi che a stento sostituiscono un vero e proprio catalogo di alto livello di una grande esposizione. 15 Euro erano più che sufficienti...
Esattamente trent'anni fa usciva un disco memorabile. Non stiamo parlando dell'elettronico Trans-Europa-Express dei Kraftwerk, o del melodico Hotel California degli Eagles, e neanche di Animals dei Pink Floyd. Non di Love you live degli Stones o del per altro noioso Before and after science di Brian Eno. Belle cose in hit parade nel 1977, eh? No, è dello start-up della New Wave che stiamo parlando, di quel fertile periodo che ha rivoluzionato la musica rock per portala fino al nuovo millennio. Due sono le pubblicazioni che rappresentano le spinte post-lisergiche più importanti di quell'iniziale periodo post-punk: il successo di 77 dei Talking Heads e la spinta di The Modern Dance dei Pere Ubu. I primi mio amore fin da piccolo, mentre i Pere Ubu li ho ascoltati per la prima volta in vita mia questa sera. Buon trentesimo compleanno Pere Ubu!
Difficile spiegare cosa passasse per la loro testa prima che entrassero negli studi per registrare una delle più grandi opere musicali di tutti i tempi. So però con certezza che al primo ascolto si intravedeva da un lato tutta la rabbia e l'ebbrezza del garage degli anni '60, condito con spezie beefheartiane e con un pizzico di Red Crayola, musica free-form, avanguardia e teatro dell'assurdo. E si riusciva, di scorcio, anche a leggere tra i versi di Thomas l'apocalisse e la sua bellezza tragica. C'era un non so che di altro tra i solchi, ma nell'ineffabilità del momento estetico il tutto svaniva per far posto a un silenzio di fondo, dove riposano i nostri abissi più intimi e inaccessibili. Questa è musica che merita un ascolto attento e devoto, insomma. Musica totale, nel senso che allora come oggi, più che un semplice disco, The Modern Dance è un vero è proprio saggio sulla decadenza del nostro tempo, un poema sulla distanza spirituale che ci separa dal mondo e dall' estasi eternizzante dell'"Aperto" rilkiano. In 36 minuti e 20 secondi, i Pere Ubu riuscirono a condensare l'essenza di un'epoca pregna di nichilismo, devoluzione, irrazionalismo, meccanizzazione e paura.
E alla fine del 2006, col loro Why I hate women, i Pere Ubu hanno rinverdito la loro danza moderna. Rubo 30 secondi per pubblicarli qui, ma visitate un negozio di dischi per ascoltarli: ne vale davvero la pena
Se c’è qualcosa che da solo sublima e diventa etereo in una scena, senza dubbio è colpa di Marcel Marceau.
Il silenzio delle foreste, dei cortili assolati dalle torridi estate del sud d'Italia, il silenzio della notte, e anche il silenzio degli storici a noi contemporanei: Marceau è un miliziano che ordina e mette in ordine il silenzio a fine giornata, a tutto e a tutti; questo è Marcel Marceau!
E “Bip”, il personaggio per cui è diventato popolare, la sua voce. La voce del principe del silenzio.
Grazie Marcel per tutti i pomeriggi in cui mi hai regalato i sogni di bambino. Grazie anche se alcuni di quei sogni li so interpretare solo ora. Grazie per esserci stato dentro quel minuscolo cinescopio in bianco e nero che solo noi nati nei sessanta osiamo ancora ricordare.
Buonanotte Marcel, e adieu.
DISPACCIO ANSA DEL 2007-09-23 15:59 - ADDIO MARCEL MARCEAU, IL CHARLIE CHAPLIN DEL MIMO PARIGI - Marcel Marceau, il Charlie Chaplin del mimo, morto ieri sera all'età di 84 anni, con il suo personaggio Bip, portato in tutto il mondo, aveva sollevato l'arte del mimo al suo massimo. Nato a Strasburgo nel 1923 con il nome di Marcel Mangel nel 1939 aveva cambiato il cognome in Marceau per nascondere le sue origini ebraiche. Entrato nella resistenza nel 1944, alla fine della guerra aveva pensato di dedicarsi alla pittura e di seguire la scuola d'arti decorative di Limoges. Ma la passione del teatro alla fine aveva prevalso; Marceau aveva debuttato sotto Charles Dullin nel 'Volpone' nel teatro di Sarah Bernard.
Ma l'incontro nel 1946 con Etienne Decroux ha segnato la sua scelta definita per il mimo. Nello stesso anno ha recitato con la compagnia di Renaud-Barrault il ruolo di Arlecchino nel 'Battista', una pantomima tratta dal film di Carné Les enfants du paradis. E' dalla sua passione per Buster Keaton, i fratelli Max e soprattutto Charlie Chaplin che nasce l'anno dopo il personaggio di Bip. Bip, il Pierrot del XX secolo, era nato nel 1947; figlio delle difficoltà del dopo guerra e del nuovo mondo che si delineava con un modello come riferimento: il vagabondo di Chaplin.
Nel 1949 aveva fondato la compagnia di mimo Marcel Marceau, la prima al mondo del suo genere. Via via Marceau con una serie di lavori come Le jouer de flute, Exercises de style, Le matador, Le petit cirque, Paris qui rit, Paris qui pleure, aveva saputo imporre la sua figura, la sua silouette nervosa e minuta, il suo viso livido attraversato da tutti i sentimenti, dall'allegria alla tristezza più cupa.
Diventato famoso anche oltre oceano, Marceau aveva partecipato negli Stati Uniti anche a numerosi film quali First class, Shanks, Barbarella (di Roger Vadim), Silent movie, ovvero L'ultima follia (di Mel Brooks). La compagnia di Marceau ha lavorato negli anni nei principali teatri parigini e mondiali; dal 1969 al 1971 l'artista ha animato la scuola internazionale di mimo e poi nel 1978 ha dato vita alla scuola internazionale di mimodramma di Parigi.
Eletto all'Academie des beaux-artes nel 1991, due anni dopo ha organizzato la nuova compagnia del mimodramma di Marcel Marceau che ha animato la scena dell'espace Cardin dal 1993 al 1997. Il grande mimo ha anche scritto numerosi libri tra i quali la storia di Bip, il terzo occhio e diversi lavori per bambini. La cerimonia funebre del Charlie Chaplin del mimo, morto attorniato da tutta la famiglia, si terrà al cimitero monumentale di Parigi di Pere Lachese. Per il momento i figli hanno annunciato di non voler rendere note le circostanze e il luogo della morte di Marcel Marceau.
E' folgorante l'ultimo disco dei Throbbing Gristle, rivoluzionaria band del post-punk inglese di trenta anni fa, riunita di recente per produrre questo capolavoro. “Part Two - The Endless Not”, disco uscito dopo lunga gestazione soltanto nel 2007, rappresenta la massima celebrazione dell'era post industriale contemporanea. The Endless Not non è un disco, ma rappresenta una stupefacente performance di arte contemporanea. E' il sottofondo di tutte le nostre vite. Delle gioie e delle angosce.
Non una band, ma una entità fuori dal tempo, organismo vivo, parassita mentale che è tornato a nutrirsi nuovamente dei nostri neuroni, del nostro inconscio, della nostra immaginazione più sommersa e indicibile, "Throbbing Gristle - Part Two" è una stellare prova di rinnovata, definitiva superiorità.
Proprio l'altro giorno registravo i dubbi sulla definizione dell'arte, ma di certo questa volta il gesto artistico vero è proprio è davvero molto semplice: caricare di tempera le zampette di uno scarafaggio eppoi lasciarlo scorrazzare su di una tela. I risultati sono esteticamente e formalmente assolutament mediocri, ma la bizzarria del gesto in sè stesso stanno guadagnano un po' di immeritata notorietà al bizzarro autore, che si chiama Steven Kutcher ed è conosciuto con il nome di Bug Man: l'artista realizza i quadri grazie agli insetti.
Per dipingere le sue tele, infatti, non usa i pennelli ma le zampette dei "suoi collaboratori".
Qualche giorno fa ero all'inaugurazione della nuova galleria RestArt di un amico mercante d'arte. Mino, il gallerista, è sicuramente uno che le opere d'arte le sa vendere bene, e per la sua inaugurazione (ovviamente, per maggiore visibilità, in periodo ArteFiera) chi sceglie? Concedere un'opportunità ad un giovane emergente? No di certo. Celebrare un vecchio mostro sacro? Troppo impegnativo.
Succede invece che l'artista prescelto sembra piuttosto essere una conoscenza da facile televendita: il fiorentino Gianpaolo Talani (http://www.talani.it) presenta le sue opere originate da "strappi" di pezzi di muri da palazzi di Firenze usati come tele su cui appore i tipici viandanti della sua visione.
Punto più "qualificante" del curriculum artistico di Talani è proprio la citazione da parte di Vittorio Sgarbi, chissà dove e chissa come... Ciònonostante le opere possono piacere e, soprattutto, possono arredare, quindi fate un piacere al mio amico di RestArt: andate a visitarlo in Via Grabinsky 2/f a Bologna.
Leggere “Rockstar†di Luigi Milani è un piacevole rientro alle atmosfere del grunge dei primi anni '90, quell'ibridazione rock che finalmente spedì nel dimenticatoio i suononiyuppistici di troppo pop anni '80.
L'inizio degli anni '90 musicalmente è stato dominato da loschi capelloni che indossavano jeans sdruciti e camicie di flanella a quadrettoni. Erano gli anni del grunge, dei riff di chitarre distorte ad accompagnare voci roche ed esistenzialiste. Il romanzo ruota attorno alla precoce scomparsa di Phil Summers, leader dei Chaos Manor, nei sobborghi londinesi.
Dopo anni di successi interstellari, la rapida caduta, dovuta alla morte della sua tanto amata Marie, anch'essa leader di un gruppo rock. Ma sarà davvero morto? In fondo del suo corpo sono state trovate solo un mucchio di ossa incenerite. A questa domanda cerca di dare risposta Kathy Lexmark, ex vee-jay in cerca di identità. [da booksblog]
Se è fin troppo facile identificare Phil Summers nel mediaticamente iper-compianto Kurt Cobain, il tenebroso Frank Colan, il fotografo di tutta la musica Rock, ricorda l'Anton Corbijn che ha fotografato e ripreso tutti, ma proprio tutti, i tratti somatici della musica pop, almeno dagli anni ottanta in poi. Un uomo indurito dall'aver continuamente dovuto affrontare il vertiginoso bilico fra l'essere e l'apparire. In difficoltà con la propria vita ancor prima di dover affrontare la prova definitiva, quella della malattia.
U2 - PHOTO ANTON CORBIJN
Depeche Mode - PHOTO ANTON CORBIJN
Davvero notevole la prosa nei momenti a forte impatto emozionale, nei quali vi è perfetta simbiosi fra personaggio, ambiente circostante, accadimento e descrizione dell'autore. Altre volte il lessico, forse inframezzato da alcuni tecnicismi di troppo, tradisce il background dell'autore, ma non toglie scorrevolezza ad una narrazione che fin dal principio trascina il lettore alla scoperta di una verità su di una realtà di vita che è invece influenzata da sogni e dal paranormale.
Per chi, come il sottoscritto, ha seguito molto da vicino, o addirittura dal di dentro, i meccanismi dello show-business, “Rockstar†ripropone la semplice verità che esiste dietro ogni impresa commerciale, ovvero che l'espressività, l'emozione, l'arte... lasciano il posto all'intrattenimento, a qualsiasi costo. Musica, teatro, arte contemporanea che sia.
Chi è Luigi Milani Luigi Milani è nato a Roma, città dove vive e lavora, nel 1963. Scrive di musica e tecnologia da oltre un decennio. Ha collaborato con le riviste M Macintosh Magazine e Virtual, occupandosi, tra l’altro, di recensioni letterarie e di interviste a personaggi del mondo dell’arte e dello spettacolo. Negli stessi anni ha curato per Agorà Telematica e MIX on Line la gestione di diverse aree tematiche. Attualmente scrive per Applicando, rivista leader della comunità Apple, e collabora conalcuni siti Web a carattere musicale. Sul finire degli anni Novanta ha realizzato i testi dei siti Web di alcuni noti personaggi del mondo dello spettacolo. In veste di sceneggiatore e consulente tecnico ha collaborato con una piccola società di produzione cinematografica di Roma. È autore di un blog molto frequentato, False Percezioni. Compare con tre racconti nell’antologia “XIIâ€, il primo volume di racconti scritti da dodici autori italiani indipendenti incontratisi nella Rete, pubblicato con il sistema print on demand dell’editore statunitense Lulu. [da Livia Bidoli su La Repubblica/Roma]
La prima personale in un museo italiano di Christopher Williams (Los Angeles, 1956) celebra anche la chiusura della vecchia sede della Galleria d’Arte Moderna di Bologna (1975-2007). Concepita come l’ultima mostra da tenere in questo spazio espositivo, l’intervento di Williams costituisce un progetto che collega il layout della mostra con la sua cornice rappresentata dall’architettura della stessa costruzione e dai suoi tre decenni di mostre: questa è la prima (ed ultima) volta in 15 anni che il visitatore ha accesso al museo dal suo ingresso originario, così riscopre gli itinerari e la disposizione delle masse (e della luce) come erano al tempo in cui il museo fu aperto (1° maggio 1975). E questa, secondo me, è decisamente la parte migliore della visita.
Christopher Williams, Kiev 88, 4.6 Ibs. (2.1 Kg) Manufacturer: Zavod Arsenal Factory, Kiev, Ukraine. Date of production: 1983-87 Douglas M. Parker Studio, Glendale, California. March 28, 2003 (NR. 1, 2, 3)
Il lavoro artistico di Williams si posizione in un punto di incontro ideale fra l’Arte Concettuale degli anni ’60 e ’70, preoccupata di decostruire criticamente gli strumenti e il contesto dell’azione artistica, e il recupero di strategie neo-concettuali tipico delle recenti generazioni di artisti che hanno cominciato ad emergere all’inizio degli anni ’90. Questa è la definizione accademica del suo lavoro, ma costituisce anche l’imperdonabile limite di questa mostra piuttosto piatta: appesa fra concetti decontestualizzati e estetismi architetturali, ogni singolo suo elemento è solo un altro noioso passo verso l’intero assieme, ovvero una camminata integralmente noiosa fra gli altrimenti mozzafiato corridoi progettati originariamente dal grande architetto Leone Pancaldi.
Davide Gazzotti - I corridoi della Galleria D'Arte Moderna di Bologna - Gennaio 2007
[Visitata alla GAM di Bologna con Alessia, Angela, Eva and Francesca on January 25th 2007]
Le città post moderne, lontane anni luce dalla zone di Apollinaire o dalla banlieu di Baudelaire, assomigliano sempre più a grandi, infiniti ammassi urbani, dove periferia, grosse arterie e centro urbano si aggrovigliano senza soluzione di continuità fino a diventare indistinguibili. Proprio come in film quali True Stories, Blade Runner o anche Arancia Meccanica.
Sulla punta della lingua, o tip of the tongue, come dicono oltremanica, è un nuovo progetto che inizia pubblicando il saggio della curatrice newyorkese Charlotte Cotton "The New Color: The Return of Black-and-White", notato grazie agli articoli su photo muse-ings. Su questo promettente nuovo sito dedicato alla fotografia contemporanea, il saggio della Cotton, autrice anche dell'eccellente libretto "The Photograph as Contemporary Art" recita:
..But it is definitely more hit-and-miss for a photographer working in black-and-white to anticipate whether or not the full meaning and contemporary relevance of their imagery will be understood in light of color art photography’s dominance. At the beginning of this millennium, I found it difficult to keep my confidence that photography’s monochrome history continued to exert a strong influence on the way we see...
A career-oriented art photographer (and maybe this is the first generation of artists who can consider it a “career”) sticks very close to the now well-traveled path of contemporary color photography’s aesthetic homage and partial remembrance of, for example, gorgeous Kodachrome, or the beam of an enlarger. In a career-oriented era, perhaps this strategy is wiser than trying to beat a path through the resistance to presenting imagery in other ways and forms that actually respond to the potential of digitization. Of course I feel bemused at why a nascent art photographer would be so openly conservative as to adhere to apparent conventions, and at my most pessimistic, I wonder if there’s too much “trying-to-be-like” Eggleston, Shore, et al., and too little “creative-departure-from” the stellar standards that they have set...
Che sia corretta o meno nelle sue previsioni, o giustificabile nei suoi entusiasmi, questa è tutta un'altra questione. Di certo si tratta di una lettura provocatoria, e penso che molti fotografi tradizionalisticamente analogici e figurativi, compreso il digitalissimo sottoscritto, forse non approveranno alcune delle sue scelte di bianco e nero contemporaneo. E, malgrado personalmente ami anch'io visionare o produrre quello che si potrebbe definire fotografia a colori contemporanea, sono abbastanza consapevole del fatto che esistano ulteriori direzioni da esplorare col bianco e nero...
Sarà inoltre interessante vedere se questo nuovo revival del bianco e nero prenderà davvero mai piede. Francamente ci sono anche alcuni fotografi dell'era pre-colori degli anni '70 che realizzavano progetti meno narrativi e più grafici, più simili alla serie The New Scent di Jason Evans. Se mai il Bianco e nero prendesse di nuovo piede, rivitalizzarà anche il mercato delle pellicole, della camera oscura tradizionale, etc. etc. oppure la sua resurrezione rimarrà, come credo, totalmente digitale?
Infine mi chiedo come possa evolvere l'arte visuale che amo di più dalla propria intrinseca ancestrale derivatività nell'era della manipolazione teconolgica, ma questa e tutta un'altra storia, che spero di poter coprire con un apposito articolo appena possibile...
La rapida evoluzione della fotografia amatoriale nell'era digitale, la istantanea diffusa disponibilità di semplici apparecchi da ripresa, la facilitazione nel processo di pubblicazione e, non ultima, la gratificazione istantanea resa possibile dalle nuove accelerazioni digitali e telematiche, sta sicuramente cambiando il nostro modo di vedere e di registrare immagini. Da queste considerazioni, ecco il provocatorio progetto artistico del Musée de l'Elyséedi Losanna (Svizzera), istituzione interamente dedicata al media fotografico. Si intitola Tous photographes! / We are all photographers now!e prevede la partecipazione telematica di chiunque voglia vedere l'immagine che ha realizzato selezionata da un computer, stampata su supporti forniti dagli sponsor tecnologici, ed esposta in un museo di arte contemporanea. E' fotografia questa? E' arte? Furbamente i curatori dell'iniziativa presentano la loro proposta come l'apertura e non la conclusione di un dibattito. Per chi vuole saperne di più consiglio la discussione sul portale lightstalkers, e il blog dell'iniziativa, che prosegue fino al 5 maggio, e che contiene anche registrazione di pubblici dibattiti, il tutto in inglese abbastanza basic. Non ho trovato riproduzione dei risultati on-line, e non credo di passare per Losanna apposta per questa iniziativa: se qualcuno ne sapesse di più, segnali pure.
Colpiscono in modo sottile alcuni interessanti lavori della fotografa russa Ira Vinokurova. Nata a Kaliningrad poco più di trent'anni fa, ha saputo meritare la rappresentanza da parte di numerose gallerie occidentali grazie alla delicata rappresentazione dell'instabilità nel quotidiano. Vive e lavora a Colonia, e le sue stampe lambda di oscuri ritratti e tremanti ambientazioni domestiche sono i lavori dal maggiore riscontro commericale.
Il suo patinato formalismo è agli antipodi rispetto al mio modo a volte "sporco" di vedere il reportage in modo fotogiornalistico. Malgrado ciò, non si può negare che Monte Zuckerfosse forse il più noto e il più imitato dei fotografi del "matrimonio tutto in posa, in cui sembrare bellissimi". Scolastico proprio fino alla morte: poco prima di morire aveva tramutato il suo scolastico modo di trasformare con la luce la realtà in qualcosa di leggero e possibile, in una istituzione educativa per futuri emuli del suo classicismo ritrattistico. Delle sue facili tecniche di posa e ripresa ha lasciato anche qualche appunto on-line. Ho letto solo oggi su washingtonpost.com che è venuto a mancare questa celebrità molto glocal. Adieu Monte. Tutti i principianti del mondo sentiranno la tua mancanza.
E' successo. Ed è successo sul mio sito. Incredibile, ma assolutamente vero: almeno stando a quanto mi riporatano i sistemi si registrazione statistica degli accessi su tutto l'archivio accumulato on-line, negli ultimi mesi la galleria sulla utopica Città Buzziana della "Scarzuola" ha costantemente superato in popolarità la galleria del Millenium Calendar.
DAVIDE Gazzotti - Millennium Calendar n°4 (1999)
DAVIDE Gazzotti - La Scarzuola - Cover (2003)
Chi l'avrebbe mai detto? L'architettura, la più fisica delle arti visuali, che supera l'eros di più bassa e popolare fattura!
In realtà la realizzazione del milanese Tommaso Buzzi rappresenta una delle mete del turismo culturale fai-da-te più ricercate e snob del momento: acquistato nel 1956 il convento francescano della Scarzuola, nei verdi meandri dell’Umbria, l’architetto Tommaso Buzzi lo trasformò in vent’anni di lavoro nella Città Buzziana: una “autobiografia in pietra” composta di edifici compiuti o frammentari, evocati o appena accennati, inventati o ricordati, il cui filo conduttore, a detta dello stesso progettista, sembra essere che nella vita “tutto è teatro”. [Tratto dal n° 155 di FMR 12/2002]
Ho avuto la fortuna di conoscerlo nell’agosto del 99. Bell’annata per me il 99, sì. Fra le mille persone interessanti, incrociai proprio lui, Jim Goldberg, che si trovava in toscana per tenere workshop a fortunati figli di papà con l’hobby della foto. Non siamo diventati amici però, forse emotivamente troppo lontani allora. Ricordo, sbiadite ma emozionanti, un paio cordiali di cene in una lunga tavolata. Ricordo le risate, il vino, le ragazze che ascoltavano le sue storie. E lui che si compiaceva, con sommessa simpatia. E sì, già allora Jim di strada ne aveva fatta: aveva superato i 40 e praticamente si manteneva solo con le varie sponsorizzazioni che aveva ottenuto da fondazioni o musei d’oltreoceano, e aveva già pubblicato due o tre libri con progetti importati. Così, al contrario di altri fotografi che dovevano intrappolare la loro sensibilità creativa all’interno delle regole del mondo del business professionale per il 99% del loro tempo, Jim poteva già allora esprimersi e basta. Poteva far correre i pensieri e le visioni. Poteva portare il suo intimo contributo alla documentary photography domestica, ormai surclassata dal bombardamento mediatico dei Nachtweyda guerra. E lo faceva con animo umile e curioso, con atteggiamento di condivisione, come fu condivisione anche il momento in cui accese il proiettore e mostrò alcuni suoi scatti, molti dei quali ora potete vedere sul sito della Magnum Photos. Già, il bravo Jim Goldberg, l’artista reporter del disagio privato e sociale nell’america patinata della New Economy, è diventato membro ufficiale della scuderia Magnumda pochi mesi. Complimenti Jim: tu non lo sai, ma dopo che abbiamo sfogliato assieme il tuo splendido Raised by Wolves, lo ordinai. Su internet, ovviamente.
Bologna, Via del Pratello: una quarantina di persone si sfidano in una gara mitica che nel suo percorso attraversa quattro bar. Ogni tappa, un bicchiere. Ogni bicchiere, un tot di punti. Vincerà chi, in quattro ore, riuscirà a totalizzare più punti o, molto più realisticamente, a rimanere in piedi.
Il film si snoda come una specie di documentario tra le personalità dei concorrenti. Ma se guardiamo più a fondo il film è effettivamente un documentario, infatti molte delle persone coinvolte nel progetto sono artisti, poeti, dj e tant'altro, e nel film non fanno che interpretare sé stessi. Di tutti i personaggi che partecipano alla gara, il film deve ovviamente fare una cernita, ed è per questo che i caratteri "pienamente" sviluppati, sono meno di una decina. Naturalmente la trama è soltanto un pretesto: qui l'unica cosa che conta sono le vite "diverse", le speranze, i dubbi di tutti loro. La città rappresentata in questo film ricorda quella Bologna viva degli anni settanta, con i suoi raduni, i centri sociali, gli Skiantos, così come l'ho sempre immaginata. In più c'è da aggiungere quell'atmosfera alla Ligabue di "Radio Freccia" (tra l'altro nel film c'è Radio K che trasmette in diretta la gara). Ma se torniamo ai personaggi, possiamo osservare come alcuni siano perfettamente descritti, altri un pò meno. Una menzione speciale la meritano il Pappa (Roberto Bozzetti, che nella vita fa il dj) che, se vincesse vorrebbe solo per un attimo riabbracciare la madre; Osvaldo (Osvaldo Caracciolo, nella vita è un attivista politico nonché marinaio) che è una sorta di Guccini all'ennesima potenza e dulcis in fundo il Trippo (Guido Cristini, co-sceneggiatore del film) personaggio mitico che sembra continuamente "fatto", ma che è assolutamente straordinario. In confronto a questi tre (forse potremmo aggiungervi il Zani e Mario, che nella vita sono artista e poeta, e nel film sono eccezionali!), gli altri personaggi passano un pò in secondo piano. Essendo alcuni personaggi molto riusciti, altri meno, il film alterna momenti alti e momenti bassi. Nel complesso però si sente una sincerità di fondo che non può far altro che piacere (un vero film indipendente!). Alla fine, più che il premio in palio, l'importante è il farsi capire, poter spiegare quello che si sente dentro di modo che esca fuori ciò che è veramente importante: la "normale" poesia di tutti i giorni.
Al 47esimo minuto di film, apparivo per errore anch'io subito dietro un trombettista in strada: macchina fotografica al collo, ovviamente... solo un pelo più magro, col ciuffetto, e qualche sogno in più.
La prima cosa che colpisce del lavoro del fotografo Ceco Jan Saudek è che le persone nelle sue fotografie di nudi sono gente comune, persone della porta accanto, e non supertop da copertina. La seconda che molte delle sue immagini sono divertenti: ricordo ancora il pomeriggio della fine deglia anni 90 in cui, in una libreria in centro, con un amica e un'avventore causale, girammo assieme le pagine di uno dei suoi primi libri sbellicandoci dalle risate.
Le sue immagini esplorano più i sogni che la realtà, sebben fortemente caratterizzate dalla sanguigna personalità sempre espressa dalla persona ritratta, e dall'uso della colorazione manuale dell'immagine che produce per se un effetto onirico e non realistico, anche se, ad onor del vero, la scelta di Jan fu dettata dalla accidentale difficoltà di reperire pellicole e sviluppi a colori. Le sue immagini sono contemporaneamente un pugno nello stomaco ed un gioioso inno alla vita, sprizzano forza da tutti i pori, a volte in modo divertente, a volte pateitco, o altre volte un pelo volgare... proprio come la vita vera.
Da un paio di anni Jan Saudek si è dotato di un grandioso sito internet con quasi 400 sue immagini online, ed anche alcune della sua modella/musa/moglie Sarah. Obbligatoria la vista, senza fretta, e la riflessione: sulla vita in genere e sul modo tutto particolare di Jan e Sarah di comunicarla.
Sàra incinta
2 Big 4 U 1981
Rainbow
Espada 1996
Parabellum
Sonho alusivo 1976
Untitled 1987
Luisa 1987
Phorographer as Jesus 1991
TV Lovers 1991
A conquista do Paraíso 1995
Shy Congratulators 1996
Pieta 1997
Vendedor de carne branca 1997
Rapariga checa cantando 1990
Ida 1990
Untitled 2003
La tecnica di Jan Saudek
Jan Saudek è uno di questi, egli è considerato uno dei principali artisti cecoslovacchi contemporanei, è un grande fotografo, un eccellente pittore e fine calligrafo. Nato nel '35 è sopravvissuto alla deportazione nazista mangiando erba e dentifricio. Durante gli anni del regime Saudek, che ancora non era conosciuto come artista, lavorava in fabbrica (e lo ha fatto per 32 anni) ma durante il tempo libero coltivava la sua passione per l'arte e la fotografia nell'umida cantina di casa sua.
In questo modo la sua personalità artistica diventa sempre più forte e sempre più definita. Le sue immagini parlano di maternità, di esibizionismo, di feticismo ma anche di parodia del corpo umano, con uno stile assolutamente unico e inimitabile.
Le modelle sono, in genere, sue amiche o conoscenti, come la sua bella compagna e altrettanto valida artista Sára Saudková, che fotografa spesso insieme alla sua amica Olga. Nelle foto di Saudek appare un unico uomo: egli stesso. Dice che non lo fa per narcisismo ma per semplificarsi la vita perchè gli uomini quando devono posare nudi sono sempre impacciati e imbarazzati così fotografa se stesso e risolve il problema.
Non sempre è soddisfatto delle proprie opere ma ammette che se vedesse le sue foto fatte da qualcun altro morirebbe di invidia. Dichiara in un intervista rilasciata in occasione della pubblicazione di un suo libro: "Se una fotografia non racconta una storia non è una fotografia. Forse è la storia di tutti i nostri pensieri, quelli che diventano pubblici e sfidano i luoghi comuni e quelli che per pudore restano confinati".
Le sue foto, in origine erano in bianco e nero o virate seppia, poi decise di sottoporre alcuni amici ad un test: mostrò loro tre versioni di una stessa foto, una in bianco e nero, una virata seppia ed una colorata a mano, tutti scelsero quest'ultima, così prese la decisione di colorare manualmente i suoi scatti in bianco e nero con colori trasparenti ad acqua dando vita a capolavori di straordinaria bellezza.
Le riprese, durante i suoi primi anni di carriera artistica, venivano effettuate in una cantina, usando come sfondo un muro scrostato dall'umidità che era perfetto per sfumature e tonalità di grigio che restituiva alle foto. Ora può permettersi diversi appartamenti anche lussuosi ma in tutti ha riprodotto quello stesso muro che ha usato tante volte in gioventù.
Nel presentare la compilation delle mie fotoricordo personali di ArteFiera 2008 mi chiedo se davvero l'arte contemporanea commerciale (qualle delle fiere commerciali) non abbia già raggiunto il suo punto di massima espressione? Proprio come recitava un vecchio payoff "art has a point"... Mi rispondo di sì. Ma già nel 1980, con il definitivo esaurirsi della pop-art, ancor'oggi eternamente riproposta e reinventata in mille altre forme. Mah?
Malgrado tutto è sempre un grande piacere dei sensi e dell'intelletto vagare il più possibile disordinatamente fra tanti stimoli polisensoriali, malgrado la presenza di poche installazioni impegnative o multimediali, perchè di più difficile commercializzazione. D'altra parte, come scrissi lo scorso anno, questa è la tana dei mercanti d'arte.
Finalmente il Word Wide Web si sta davvero affermando, sia come qualità dei servizi disponibili, che come disponibilità delle necessarie tecnologie sottostanti (onestamente non saprei dire quale aspetto sia conseguenza dell'altro, ovvero se viene prima l'uovo o la gallina ). Così i guru d'oltre oceano hanno inventato un nuovo ed evocativo nome, un nome da promettente versione aggiornata, per etichettare qualsiasi servizio che banalmente sia utile, facile, bello, conveniente, ricco, stimolante, ... insomma che non sia come i troppi pessimi prodotti/servizi web realizzati nei pionieristici anni del boom speculativo della New Economy.
Una spiegazione più evocativa la si può trovare nel bellissimo video "The Machine is Us/ing Us":
Oppure altro nella miriade di materiali rimbalzati ancora una volta prima nella blogsfera, e solo poi sulle news dei canali mediatici ufficiali (esempio: Ti spiego il web2.0 di webfruits).
In fondo, quindi, Web2.0 non è un prodotto/servizio reale, ma una semplice buzzword : mentre fino allo scorso anno la parola chiave del marketing tecnologico era "lean" (magro), in onore del lean thinking derivato dal caso di successo della Toyota, ora, in onore del Web, tutto quanto è diventato "2.0": "Image2.0", "Design2.0", "Vision2.0", "ProjectManagement2.0", "BusinessIntelligence2.0"... insomma: evviva il buon vecchio marketing, che è riuscito a ridare fiducia e credibilità allo stesso mondo dell'ICT che era drammaticamente imploso poco più di un lustro fa, semplicemente sostituendo una parola (lean) che ricorda la crisi economica ed un modo tutto nipponico di uscirne, con un'etichetta (2.0) che invece è tutta una promessa.
Nato da un concorso aperto al pubblico con l'ambizioso improbabile fine di identificare un nuovo talento creativo, il tanto criticato"500 wants your adv", il format della campagna per la nuova Fiat 500 nasce già datato, e il relativo spot televisivo non è da meno: in più è stato realizzato in modo piuttosto imbarazzante, almeno nello scritpt. Guardatevi i 30 secondi che seguono:
è probabile che dopo una prima programmazione, si sceglierà di continuare con commercials più orientati al prodotto.
Per ora, comunque, il risalto mediatico di cui ha goduto questa vettura ha permesso all'azienda di utilizzare uno spot nel quale l'auto non appare praticamente mai.
Per il testo integrale dello spot, ed il comunicato stampa potete fare un salto qui.
Un articolo del New York Times fa notare che "dall'anno scorso i militari hanno applicato un nuovo regolamento che prevede di ottenere l'autorizzazione dai soldati feriti prima che le fotografie di guerra possano essere pubblicate". Bisogna ammettere che un modo piuttosto ingegnoso per evitare che il pubblico possa vedere le conseguenze della disastrosa guerra in Iraq di George W. Bush ...
...(che, non dimentichiamolo, è anche la guerra di quei Senatori che a suo tempo diedero a Bush l'autorizzazione per essa, e di quelli che hanno appena allungato a Bush altri soldi senza condizione). Così adesso siamo nell'assurda situazione in cui la gente non può far nulla per la guerra (perchè qualsiasi cosa che non sia lasciar fare al Presidente tutto quello che vuole "non sarebbe di supporto alle truppe"), e i cittadini non possono neppure vedere cosa sta succedendo (perchè anche fare fotografie "non sarebbe di supporto alle truppe"). (via Conscientious)
Il tradimento dei democratici che hanno staccato un nuovo assegno in bianco alla guerra di George W. Bush è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. E Cindy Sheehan, la madre di Casey - ucciso a 24 anni a Bagdad nel 2004 - diventata il simbolo del 'no' alla guerra, ha mollato: esausta, delusa e arrabbiata ha annunciato la sua intenzione di lasciare il movimento per la pace. E, in una lettera pubblicata da un sito liberal proprio nel Memorial Day, afferma: "Ho cercato per tutti questi anni di dare un senso al sacrificio di mio figlio ma ora sono giunta alla più devastante delle conclusioni: Casey è veramente morto per niente". "Casey è morto per un paese al quale interessa di più sapere chi sarà il vincitore del nuovo reality, piuttosto che quante persone perderanno la vita in Iraq nei prossimi mesi, mentre democratici e repubblicani giocano alla politica con le vite umane". (via Repubblica.it)
Dopo quanto successo in Regno Unito, questa volta è la progressista Spagna dell'era Zapatero a porre il veto sulle "artistiche" campagne pubblicitarie di Domenico il Dolce e Stefano il Gabbana:
(ANSA) - MADRID, 23 FEB - Dolce & Gabbana ha ritirato una pubblicità definita espressione di violenza 'machista'. Ha comunque insistito che si tratta di 'arte' e che si continuerà ad utilizzarla nel mondo. La pubblicità è una foto di una donna costretta a terra da un uomo, mentre altri quattro osservano la scena. Le critiche sono dell'Istituto della donna e del governo catalano. I due creatori si sono chiesti: "Cosa ha a che vedere una foto artistica con un fatto reale?".
Ancora una volta è Steven Meisel il fotografo autore degli scatti incriminati, ed ancora una volta i suoi algidi scenari di violenza sintetica poco si confanno ai miei gusti, ma sanno tanto di "metro-sexy" in questa seconda metà di decennio.
PHOTO STEVEN KLEIN PER DOLCE&GABBANA
Per tutta risposta alla censura iberica, i 2 stilisti stanno proprio in questo istante inaugurando alla Galleria Cardi di Milano un'esposizione, intitolata "Secret Ceremony", composta da dodici cupe immagini di chiara ispirazione pasoliniana scattate da Steven Klein nella loro villa di Portofino: non sono inediti ma l'insieme del lavoro ben racconta come sono evolute le loro modalità di espressione e rappresentazione: "Sono immagini che esplorano la delicata frontiera fra la moralità e l'immoralità, due dimensioni parallele che coesistono e che dividono il mondo" (tradotto dal sito spagnolo diarioadn.com). Questa è la galleria fotografica pubblicata oggi su Repubblica.it: sarà questo, dopo yuppismo, benettonismo e chanelismo, il nuovo trend nell'immagine pubblicitaria di moda? Oppure, nuovamente, l'accoppiata D&G (con Meisel oppure Klein non fa tanta differenza) fa furbescamente leva sui taboo del lato benpensante della società sperando di non mancare mai troppo dalle prime pagine, anche se a suon di lanci di agenzia?
UPDATE 2 Marzo 2007: La fotografia incriminata dalla censura spagnola ai miei occhi è così glam che non risulta violenta. Peccato che non sopporto più lo sdolcinato stile delle immagini di Steven Meisel… ed è solo per questo che questo manifesto mi fa schifo Non sono uno psicologo e non so cosa possa ispirare un’immagine del genere nel general public…
E' vero, dopo Cristicchi questa è proprio la conferma della ruffiana deriva pseudo-social nella musica pop italiana e non solo. Da Mello leggo addirittura che Fabrizio Moro non sembra neppure una cima, ma, malgrado tutto, anche a me piace “Pensa”. Ecco il buon video di Marco Risi e, a seguire, il testo
Ci sono stati uomini che hanno scritto pagine Appunti di una vita dal valore inestimabile Insostituibili perché hanno denunciato il più corrotto dei sistemi troppo spesso ignorato Uomini o angeli mandati sulla terra per combattere una guerra di faide e di famiglie sparse come tante biglie su un'isola di sangue che fra tante meraviglie fra limoni e fra conchiglie... massacra figli e figlie di una generazione costretta a non guardare a parlare a bassa voce a spegnere la luce a commententare in pace ogni pallottola nell'aria ogni cadavere in un fosso Ci sono stati uomini che passo dopo passo hanno lasciato un segno con coraggio e con impegno con dedizione contro un'istituzione organizzata cosa nostra... cosa vostra... cos'è vostro? è nostra... la libertà di dire che gli occhi sono fatti per guardare La bocca per parlare le orecchie ascoltano... Non solo musica non solo musica La testa si gira e aggiusta la mira ragiona A volte condanna a volte perdona Semplicemente Pensa prima di sparare Pensa prima di dire e di giudicare prova a pensare Pensa che puoi decidere tu Resta un attimo soltanto un attimo di più Con la testa fra le mani Ci sono stati uomini che sono morti giovani Ma consapevoli che le loro idee Sarebbero rimaste nei secoli come parole iperbole Intatte e reali come piccoli miracoli Idee di uguaglianza idee di educazione Contro ogni uomo che eserciti oppressione Contro ogni suo simile contro chi è più debole Contro chi sotterra la coscienza nel cemento Pensa prima di sparare Pensa prima di dire e di giudicare prova a pensare Pensa che puoi decidere tu Resta un attimo soltanto un attimo di più Con la testa fra le mani Ci sono stati uomini che hanno continuato Nonostante intorno fosse tutto bruciato Perché in fondo questa vita non ha significato Se hai paura di una bomba o di un fucile puntato Gli uomini passano e passa una canzone Ma nessuno potrà fermare mai la convinzione Che la giustizia no... non è solo un'illusione Pensa prima di sparare Pensa prima di dire e di giudicare prova a pensare Pensa che puoi decidere tu Resta un attimo soltanto un attimo di più Con la testa fra le mani Pensa.
Dallo spettacolo "Salviamo la terra, o tutti giù per terra" di Stefania Chiarioni e Veronica Lenzi, uno dei video facenti parte dello spettacolo. Elisa Biondi e Veronica Lenzi le interpreti del movimento accompagnate dalla mano proiettata sopra di loro.
Titolo: Creation
Coreografia: Veronica Lenzi
Regia: Veronica Lenzi
Fotografia: Davide Gazzotti
Riprese e montaggio video: Davide Gazzotti
Model: Rocco D'Elia
Musica: "Lovesong" dei Cure nella versione di String Quartet
Prima rappresentazione nel teatro "Arena del Sole" di Bologna, il 12 Maggio 2006.
Attorno al titolo "chimere" si raccoglie una comunità di giovani uomini e di giovani donne prigionieri del loro sguardo gelido, gli occhi diretti fuori camera, come al limite di una fuga. Forse si potrebbe definire uno "sguardo deviato".
Ecco che ci appar chiaro in un batter d'occhio come l'autrice stia demolendo la tradizione del ritratto fotografico, per farci dire, "se l'argomento non lo osserva, quale è allora l'argomento?" . L'attesa delusa, il cambiamento di registro, muove l'interesse naturale verso la curiosità dell'inatteso. Ma si sa, la storia è superata, questa vecchia storia della ricerca del cuore attraverso la posa, e della specie di trascendenza di cui la fotografia sarebbe accreditata ancor oggi.
Una mattina, al parco, la nebbia. E un alito gelido che penetra i vestiti fin dentro l’anima. I tanti piccoli silenzi personali che vagano per il Parco stamane racchiudono altrettanti singoli drammi privati. Silenzi dove rimbomba sordo il suono della città morta dei Massimo Volume che si racconta dalle mie cuffiette.
Quanta sofferenza nei visi e nei movimenti imperfetti dei frequentatori del Parco: chi piange camminando per i gelidi vialetti, chi, intontito della malattia e dai farmaci, si fa portar via da un lento cagnolino… quanta sofferenza devono aver vissuto questi alberi spogli.
A quasi quarant'anni dai "Manicomi" di Gianni Bernego Gardin e Carla Cerati, non innova ma continua ad emozionare il reportage sociale di Francesco Cocco, anche lui della scuderia Contrasto, in mostra da ieri fino al 30 marzo alla Sala Santa Rita di Roma. Gianni Berengo Gardin stesso, nell'introduzione della ristampa del suo storico lavoro, sostiene che: "Spesso non è necessario mostrare foto agghiaccianti per raggiungere un obiettivo. A volte può essere più efficace una fotografia più, come dire, coinvolgente dal punto di vista umano. Che stabilisca un rapporto emotivo e di solidarietà tra il soggetto fotografato e chi guarda la fotografia. Un atteggiamento, uno sguardo un'espressione. Altrettanto importante è non inflazionare i mezzi di comunicazione con fotografie di violenza poiché, come è già stato detto e scritto, la gente non reagisce più e si verifica una sorta di assuefazione" (leggi l'intervista su informatissimifotografia.it).
E le immagini di Cocco sono ottima prova di quanto sono vere queste parole.
ROMA - Istantanee scattate nelle celle e nei corridoi delle carceri italiane. Un viaggio insolito, per ritrarre quello che comunemente rimane nascosto: l'esistenza quotidiana dei detenuti. Uomini e donne che si sono fatti ritrarre dal fotografo Francesco Cocco e che parlano, attraverso questi scatti.
Le immagini, raccolte nella mostra "Prisons" promossa dal Comune di Roma in collaborazione con "Contrasto", sono visibili a Roma alla sala Santa Rita fino alla fine di marzo.
[...]
Sono immagini scarne, a tratti dolorose e impietose, che non cercano abbellimenti. Le fotografie, in bianco e nero, sono state realizzate tra il 2001 e il 2005 nelle carceri di Milano, Modena, Palermo, Bologna, Trani, Roma, Messina, Prato, Torino, Cagliari, Alghero, Pisa e sono state raccolte nell'omonimo volume "Prisons" pubblicato in Italia da Logos nel 2006, con testi di Adriano Sofri e Renata Ferri.
Scatti che testimoniano un mondo a parte, di cui conosciamo l'esistenza ma che non vediamo, e di cui raramente ci occupiamo.
E' uno specchio duro e oscuro, ma vale la pena di affrontarlo. Anche perché in queste immagini c'è, come nella migliore fotografia, tanto racconto. "Alla fine del libro – scrive Renata Ferri – vorremmo saperne di più, vorremmo conoscere ogni storia dietro ogni volto, vorremmo sognare un lieto fine per ognuno di loro". Come nelle favole.
Oggi ho trovato per caso un'intervista-lampo dell'artista americano Chuck Close pubblicata sul Guardian mesi fa, accompagnata da alcuni minuscoli ritratti mozzafiato. Si tratta di immagini che, pur nella loro forma fotograficamente non innovativa, risultano violente e d'effetto, sornione ed impietose al contempo, come se l'autore avesse voluto farci anche solo per un attimo com-patire la vita di chi, come lui, è stato toccato dalla grande irreversibile sfortuna di rimanere paralizzato.
PHOTO CHUCK CLOSE
Tecnicamente si tratta di dagherrotipi di formato medio-piccolo, ma non è la tecnica antimoderna che colpisce, sono gli occhi, gli sguardi, compiaciuti o terrorizzati come nel ritratto della irriconoscibile quando struccata Kate Moss. Si può davvero affermare dire che, pur con tecniche diverse, la grandezza nella lunga carriera artistica di Chuck Close stia proprio nel riprodurre le espressioni nei ritratti.
Sostiene Chuck "non sono interessato nei dagherrotipi perchè si tratta di un processo antico; mi piacciono perchè, dal mio punto di vista, la fotografia non ha mai ottenuto niente di meglio da quello che era nel 1840". Piuttosto discutibile la sentenza di Chuck, ma noi lo possiamo perdonare ugualmente, anche solo per questi semplici ritratti che seguono: nessuno avrebbe potuto realizzarli nel 1840. Non certo perchè non c'erano i mezzi (sono gli stessi utilizzati da Close in queste immagini che risalgono al 2003), ma piuttosto perchè mancava tutta la cultura dell'immagine che si sarebbe creata solo con l'inevitabile susseguirsi della storia successiva...
L'allargamento del periodo in cui spostare le lancette avanti o indietro rispetto all'effettiva ora convenzionale astronomica era stato pubblicizzato come un'occasione per risparmiare un po' di energia. Lo stesso nome inglese dell'ora legale è Daylight Saving Time, qualcosa del tipo "orario per il risparmio con la luce solare"... ma proprio questa, forse l'unica mossa dell'amministrazione Bush introdotta proprio per indurre una teorica riduzione delle emissioni inquinanti, è stata un colossale buco nell'acqua. Leggo infatti su arstecnica dell'inutilità provata di tale anticipo:
As it turns out, the US Department of Energy (and almost everyone else except members of Congress) was correct when they predicted that there would be little energy savings. This echoed concerns voiced after a similar experiment was attempted in Australia. Critics pointed out a basic fact: the gains in the morning will be offset by the losses at night, and vice-versa, at both ends of the switch. That appears to be exactly what happened.
"Un boomerang segna la sua traiettoria in cielo e, a seconda di come viene lanciato, torna indietro oppure no." Ai protagonisti di Selon Charlie (2006), film corale dell'attrice e regista Nicole Garcia, quello che non torna è il bilancio della propria vita: tutti devono affrontare i propri fallimenti, anche quelli che per anni si speravano rimossi. Fallimenti personali, sentimentali, famigliari, emotivi, sociali, sportivi e professionali: tanti i temi abbozzati, come oggi va di moda fare, troppi per analizzare in profondità personaggi in situazioni di passione, non-amore, carriera, politica, malavita, consolazione, spiritualità e religione, omosessualità... Solo alla fine tutto torna: c'è un bambino che ha il coraggio di svelare la verità rendendo evidente quello che gli adulti facevano finta di non vedere, e, nell'ultima sequenza, riesce a far ritornare il boomergang.
Criticato come pretenzioso e troppo esplicitamente metaforico (la scoperta dell'uomo preistorico Dirk, che pone domande sulla solitudine dell'uomo, la parabola del boomerang che infine torna indietro, etc.), in definitiva noioso, a me questo film invece è davvero piaciuto molto. Se ci dimentichiamo di nuovo delle solite superficiali traduzioni della distribuzione italiana, col terribile titolo utilizzato (leggi anche di The Eternal Sunshine of The Spotless Mind), e con l'ancor più disarmante pay-off "il film che tutte le donne dovrebbero vedere", in realtà le piccole storie di questi piccoli personaggi di provincia non sono tristi, anzi ci vorrebbero indicare come semplici, ma intense, sono le vere gioie della vita. Il presonaggio più stupefacente? Severine, la bella giovane amante del sindaco, che ha la sfrontatezza di dire sempre le cose come stanno e di soggiogare con dolcezza e femminilità il suo superficiale uomo. In conclusione, magari ci fosse in Italia un'industria del cinema della qualità di quella francese, che, anche quando sforna film che non saranno capolavori assoluti, riesce a colpire al cuore con intensità e sensibilità. Il cinema di casa nostra, invece, si deve accontentare di sovraesporre gli adolescenziali Muccino, Brizzi e Scamarcio, o, alla meglio, il solito ripetitivo buon Ozpetek. Ci vorrebbe più poesia anche nel nostro cinema, più Crialese per tutti, insomma.
I ragazzi di bar-sport.it regalano abbracci in pieno centro a Bologna. Più abbracci e più pace per tutti! Ed io aggiungo anche qualche fotoricordo piccola piccola. Ciao ragazzi!
La Gapminder di Hans Rosling ha sviluppato un innovativo software per visualizzare dati statistici con video animazioni: è in grado di rappresentare dati multidimensionali mediante accattivanti rappresentazioni animate che vanno oltre le tradizionali tecnologie di OLAP e reporting attualmente diffuse sul mercato. Hans in questo intervento alla TED Conference dimostra una bravura narrativa degna dell'Adriano De Zan dei tempi d'oro come ci fa notare Luca De Biase:
Il prof. svedese ha portato i suoi concept in giro per il mondo con comunicazione tanto efficace che è del 18 marzo la notizia che Google compra Gapminder.
Google buys Gapminder, a graphical display company By Matt Marshall 03.19.07 7:58 AM
Google has acquired Swedish non-profit company Gapminder that produces visually attractive graphics to display facts, figures, and statistics in presentations. See the site's new home page for an example of what it does, which includes moving graphics and other effects. Hans Rosling, a scientist who led the company, gives an entertaining presentation of the company's offerings at TED. He explains how important public data from UN, government institutions and universities has been hidden in the basement of databases, but that it not been available on the Web in a search format, and that is what Gapminder, as a non-profit had been trying to pursue. The TED audience was clearly moved, and we can only assume some Googlers in the audience likely recommended the purchase. Notably, only software and the Web site were sold to Google, and Rosling apparently didn't get a dime. Swivel, you'll recall is another San Francisco start-up that lets users play with statistics, and encourages the use of graphics. The company launched last year, after working on its technology for a year. Depending on what Google does with this, Swivel may be forced to focus on its paid version, for sale to companies that want to keep their data private.
Hans Rosling selling Gapminder to Google posted on 19. March 2007 at 08:47 PM
Venture Beat has the story: Google buys Gapminder. This is cool. Gapminder was founded by the very smart and entertaining Hans Rosling who has delivered outstanding presentations at several high-level conferences including TED and WEF. Loic also invited Rosling to speak at the LeWeb3 conference in Paris where I was so fortunate to see him present live. At the recent TED07 he even swallowed a sword on stage; I guess that impressed the Google founders who were also present at the conference. Note that Rosling didn't cash in with this transaction as Gapminder (the software) is developed by a non-profit foundation. More details on the story here.
Io non so se essere contento o meno della notizia della cessione. Di certo sono contento per il fatto che forse fra pochi mesi/anni avremo un servizio "gratuito" e facilitato di analisi visuale dei dati multidimensionali. Ma se, dopo quella dei GIS, anche la nicchia della Business Intelligence, forse una delle poche ancora galoppanti nell'asfittico panorama dell'IT, venisse banalizzata ed in parte fagocitata da Google? E' ormai storia che con il servizio "maps" prima, ed "earth" poi, realizzati a suon di analoghe annessioni, Google ha messo a disposizione di tutti gli utenti e gli sviluppatori web un'insieme di servizi cartografici molto limitato che ha puntato sulla gradevolezza dell'interazione utente e su ruffiane foto aeree per sfondare in un mondo molto più attento all'apparenza che alla reale qualità dei servizi. Infatti, pur riconoscendo l'innovatività della semplice ed usabile interfaccia utente realizzata per GoogleMaps, e l'efficienza della consolidata architettura a server distribuiti tipica delle soluzioni made in Google, la qualità e accuratezza delle cartografie servite non arriva alla sufficienza per molti utilizzi che vanno al di là del trovare la pizzeria da asporto più vicina a casa. Malgrado ciò, grazie all'innovativo marketing di Google, GoogleMaps e GoogleEarth sono il nuovo punto di riferimento nell'area delle applicazioni GIS. Succederà così anche per le tecnologie acquisite da Gapminder?
La mia morale sulla Google-mania pervasiva è: - Pro: vulgarizzare servizi vuol dire diffondere democraticamente conoscenza in modo gratuito, o quasi. - Contro: banalizzare tecnologie a volte causa l'impoverirne l'accuratezza informativa. - Devastante: fornire tutto ciò nominalmente "gratis" (in realtà secondo un modello di business alternativo) significa rivoltare il mercato come un calzino.
Infatti, offrendo "gratis", pur con qualità inferiori, servizi che altrimenti hanno una complicazione ed un costo non banali, succederà che: da una parte gli operatori del settore (come la Swivel citata da Matt Marshall, ma anche molti altri specializzati in soluzioni di alto profilo anche se più glocal) dovranno fornire un valore aggiunto ancora maggiore per differenziarsi da un prodotto di base molto accattivante disponibile gratis, dall'altra i prezzi scenderanno e i margini (esigui) si ridurranno ulteriormente, e, infine, qualche altro operatore dell'IT chiuderà i battenti. La legge del libero mercato, si dirà. E, col liberismo, la democratica diffusione della conoscenza per tuttri coincide paradossalmente proprio con il declino della pluralità tecnologica e l'affermazione dei giganti dell'industria informatica? Fra Google e Microsoft, IBM e Oracle, Sun e SAP... proprio non saprei quale fra i "monopolisti" mi sta più antipatico... Ah, dimenticavo Apple, il monopolista dei lettori mp3
Sarà un bene? Chissà... intanto sembra proprio che l'informatica sia sulla stessa strada che fu dell'automotive un secolo fa: dai tempi pionieristici in cui qualsiasi mente lucida (o qualsiasi officina famigliare) poteva contribuire al progresso producendo qualcosa di innovativo e di pregevole, ai tempi in cui sono rimasti solo 7 grandi nomi che, d'accordo con 7 sorelle, detengono il monopolio globale del know-how e soprattutto delle risorse per sostenere la ricerca e sviluppo ai soli propri fini. Ai restanti solo piccole cose, e alle microimprese solo servizi di manutenzione programmata... in franchising, ovviamente. Per fortuna che oggi, grazie alla relativa economicità del mondo digitale rispetto a quello dell'industria pesante, abbiamo l'opzione offerta dalle tecnologie Open. Basterà?
Una fotografia di Roger Ballen non è qualcosa che si guarda e si dimentica in fretta: possiede contemporaneamente una intensa bellezza formale ed una forza espressiva non comune, che affascina e colpisce diritto allo stomaco. La recente intervista commissionata da American PHOTO a Jörg Colberg, pubblicata anche sul suo blog Conscientious, mi ha riportato alla mente il mio personale e folgorante incontro con l’immaginifico mondo visuale di Roger Ballen, con Outland, esposizione alla GAM di Bologna del 2002.
Nato a New York nel 1950, Roger Ballen studia geologia all’università di Berkley e si laurea in Economia Mineraria presso l’università del Colorado. Dopo la laurea si stabilisce in Sud Africa dal 1984, dove lavora per una compagnia mineraria. Da questa esperienza professionale il primo importante progetto artistico, Chambers, che porta la documentary photography direttamente verso l’arte.
PHOTO ROGER BALLEN
La forza espressiva delle sue immagini è spesso introdotta dallo sguardo fermo e diretto dei suoi soggetti, che ci guardano, ci colpiscono, ci straniscono. Ballen ha preferito vedere il Sud Africa dal punto di vista della gente bianca povera che vive hai margini della società, in ambienti squallidi, sporchi e fatiscenti ma con la volontà di rendere a volte gioiosa una situazione disperata attraverso una sorta di humour e riuscendo perfettamente ad interagire ed ad entrare in empatia con i suoi soggetti, creando un punto di contatto tra il loro mondo e il suo inconscio. A livello formale, invece, nella sua opera esiste un’organicità, un equilibrio dove le singole parti interagiscono tra loro, ottenendo, così, immagini pulite, formalmente e visivamente chiare e semplici. Il filo conduttore delle opere di Ballen sta proprio qui, nella dicotomia tra la pura forma e il suo interno, saturo di difetti, fatto di gente con caratteristiche inusuali, deformi, persone logorate dal tempo e dal degrado, mostri che vivono in ambienti miseri, sterili, infelici e abbandonati. La sua opera si allontana dall’ipotesi di una semplice denuncia sociale e va ben oltre l’intento documentaristico: ogni immagine è introspezione, in grado di rivelare la natura più intima dell’artista; quel che emerge dalle sue fotografie sono "autoritratti".
Vertigo Il secolo di arte off-media dal Futurismo al web 6 Maggio - 4 novembre 2007 a cura di Germano Celant con Gianfranco Maraniello MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna - Via Don Minzoni 14 Opening 5 maggio 2007
Sabato prossimo inaugura con questa esposizione che promette forse troppo l'attesissimo MAMbo (Museo di Arte Moderna), successore dopo 32 anni di servizio della GAM (Galleria di Arte Moderna) di Bologna, destinata invece a chiudere i battenti in quanto tale, mentre l'edificio di Leone Pancaldi sarà riciclato non so come dalla proprietà (l'Ente fiera di Bologna, ancora presieduto da Luca Cordero di Montezemolo). Alle 19, solo su invito purtroppo, l'inaugurazione. Poi cena di gala per i VIP, oppure festa danzereccia per gli altri. La prossima settimana vi faccio sapere cosa è successo davvero. Il resto lo potete leggere dai comunicati stampa o sui media tradizionali .
Nel suo discorso, parla degli ultimi 25 anni di guerre coperte come reporter, e sottolinea due filoni paralleli nei suoi lavori. Il primo che la violenza, la carestia, la malattie, tutti i "fronti" delle guerre contemporanee sono esattamente dove la gente vive. E il secondo che, quando una fotografia attira l'attenzione del mondo, può davvero guidare all'azione per il cambiamento. Mettendosi in mezzo al conflitto, la ruffiana intuizione di Nachtwey è quella di raccontare la verità, di documentare le lotte dell'umanità, e così facendo svegliare gli animi e spingerli all'azione.
L'utopia di questo premio risiede nel fatto che TED garantisce ad ogni vincitore 100,000 dollari e il supporto di multinazionali, che così si fanno pubblicità e scaricano utili in eccesso, per aiutarli in progetti che si propongono di cambiare il mondo, in un modo o nell'altro.
Il desiderio di Nachtwey è "lavorare sulle storie che il mondo deve conoscere, e influenzarle provando la potenza del fotogiornalismo nell'era digitale".
Di seguito ecco il suo a tratti terrificante discorso (in inglese) accompagnato dalle note e sensazionali immagini di invincibile sofferenza... vale la pena seguire questi 20 minuti di presentazione malgrado le non sue ottimali doti oratorie.
Non ho ancora letto l'intero articolo di Jim Johnson, ma l'abstract mi risuona interessante: "La sovraesposizione di immagini crude e violente potrebbe, trasformando i diffusi problemi socio-politico-economici in melodrammatiche storie di umano interesse, diminuire la reale capacità degli individui e delle organizzazioni ad intraprendere azioni correttive e preventive" efficaci e tempestive.
Ciònonostante una populistica visione convenzionale del fotogiornalismo continua a premiare gli atteggiamenti più demagocici al riguardo, come quello di un James Nachtwey da guerra che si racconta alla TED conference come se produrre le immagini che in primis gli procurano il successo personale fosse un'operazione messianica di salvataggio del mondo dal male.
Fogne e tombini illuminati, a Jena, ex Germania dell'Est, per un'installazione choc. L'idea è dell'artista Ronen Eidelman, originario di Israele, che vuole attirare l'attenzione sulla condizione segreta, in ombra, di migliaia di rifugiati, costretti a vivere agli angoli della società. Illuminando la rete fognaria della città, l'artista mostra quelle esistenze costrette a rimanere invisibili. L'intero progetto, "Undocumented disappearance", è sul sito dell'autore.
Un'altra antipatica multinazionale, dopo la Dove di cui avevo già scritto, utilizza ruffianamente la tematica della bellezza del corpo, della sua percezione, e di come ottenerla in modo non cruento, non violento contro noi stessi, ma armonico e sostenibile. Lo spot "educativo" della Nike, "carina" l'idea e simpatica la canzone, ma filmograficamente davvero bruttino, incita allo sport aerobico in vece del bisturi. La ruffianeria di queste campagne con tematiche "sociali" risiede nel fatto che è impossibile dissentire, anche se, come il sottoscritto, si preferisce abbigliamento sportivo di altre (o, fosse possibile!) di nessuna particolare marca.
La nuova campagna della Nike lanciata nei Paesi latino americani sembra essere in controtendenza con quanto accade da noi, come scrive spotanatomy, ma più che da noi è proprio nei paesi latino americani emergenti che le giovanissime si sottopongono a inumane torture fisiche, diete mortificanti e "vagonate" di chirurgia estetica, molto più economica e quindi anche diffusa e pericolosa, a quelle che alle nostre latitudini.
Da vedere, anche se questa versione è davvero troppo lunga, sia come prodotto viral per il web, che come spot.
“Pensa con i sensi - Senti con la mente. L'arte al presente” è il pay-off dell'edizione 2007 della più importante mostra di mostre d'arte contemporanea d'Europa, o, in inglese, “Think with senses – Feel with mind” senza il “the” di troppo, come mi ha fatto notare un amico filologo.
Se anche all'Arsenale spesso scarseggiano importanti novità e forti emozioni, le selezioni dei tradizionali padiglioni nazionali dei Giardini rappresentano un vero e proprio inno alla importanza della catena produttiva più che ai contenuti: lo sforzo creativo di light designer, installatori, curatori e esperti di comunicazione supera troppo spesso la qualità o l'innovatività delle opere, che troppe volte risultano deja-vue, o addirittura appaiano come derivative delle produzioni anni 80 o 90 in modo alquanto imbarazzante.
Molte le “cose belle” viste, ma mi hanno emozionato davvero pochi padiglioni. Non voglio citare la pregevole e osannata da critica e pubblico “Abbi cura di te” della francese Sophie Calle, perchè uno sopra tutti ha presentanto il mio personale modo di vedere con le immagini: la cinematografica video installazione “Le donne che non conosciamo” del regista catalano José Luis Guerin, all'interno della reinterpretazione del “Paradiso Spezzato” di Ezra Pound voluta dalla curatoria spagnola.
Interessante anche la mercificazione dell'opera d'arte ben rappresentata dalla curatoria - manco a dirlo - americana che ha scelto le opere del già visto Felix Gonzales-Torres: gli avventori, invitati a portarsi a casa uno o più poster, diventano propagini viventi dell'installazione, e, sparsi per tutta Venezia, riconoscibili per i rotoli cartacei sotto braccio, incarnano la realizzazione del consumismo alla “take away”, che, infine, trova pace nel cestino delle pattumiere o dei nostri ingordi stomaci.
Troppo didascalica e davvero fuori tema l'opera fotografica presentata nel padiglione del Venezuela. Troppo rifinito invece il sottile concept della poetica del complesso di inferiorità nel “The Homo Species” del koreano Hyungkoo Lee.
Su quest'ennesima VERTIGO installativa non mi dilungo oltre, ma mi auguro solo che ogni tanto più ampia parte dei budget milionari che servono a produrre eventi del genere siano dedicati alla scoperta di nuovi e più inesplorati territori della comunicazione emotiva.
"5 minutes in my shoes - Piccole storie di rifugiati" è una mostra di Elena Marioni composta da 60 fotografie in bianco e nero, suddivise in sezioni che documentano l'arrivo dei richiedenti asilo in Italia e le loro prime attività. Il Comune di Bologna ospita l'esposizione, allestita nel cortine di Palazzo d'Accursio, nell'ambito del fuori programma del Festival Human Rights Nights organizzato dalla Cineteca di Bologna. La mostra è visitabile dal 14 aprile al 1° maggio, tutti i giorni dalle 8 alle 19. Le immagini di Elena Marioni sono un reportage realizzato in diretto stile fotogiornalistico. Il suo bianco e nero, però, risulta davvero efficace solo a tratti, mentre in alcune sezioni le immagini sono prive della forza necessaria a comunicare il lato emotivo dell'essere un rifugiato appena sbarcato in un paese straniero. Come spesso accade nei progetti con una forte necessità educational, l'editing della mostra ha privilegiato l'aspetto documentativo sopra quello espressivo o artistico della selezione.
Vale comunque la pena dare un'occhiata alla mostra, malgrado l'illuminazione decisamente imperfetta dovuta alla luce naturale del cortile di Palazzo d'Accursio che mal si distribuisce fra le pannellature. In particolare sono da notare alcune immagini con i gesti della identificazione dopo lo sbarco, e alcuni particolari delle stanze dei rifugiati.
Se si fossero eliminate dalla selezione per la mostra circa 20/25 immagini si sarebbe forse perso parte del valore documentativo, ma si sarebbe guadagnato enormemente in impatto emotivo dell'esposizione, ed in espressività. Dal mio punto di vista è un piccolo peccato.
La fotografia di Edward Burtynsky è tutta rivolta a documentare la distruzione dell'ambiente naturale per il nostro egoistico benessere immediato, o, come dice lui "La nostra dipendenza dalla natura per fornirci dei materiali di consumo e la contemporanea peoccupazione per la salute del pianeta ci collocano di fronta ad una scomoda contraddizione".
Bruce Haley produce fotogiornalismo già da un po' di tempo. Guardando il suo progetto Disfigured Landscapes, è interessante notare come la percezione degli stessi paesaggi in via di distruzione (fotografati in bianco e nero) sia piuttosto diversa da quella di Edward Burtynsky (che usa pellicola a colori):
UPDATE 25 Aprile 2007: Tolgo il codice che replica le facce dei 2000 bloggers con i 2000 link perchè falsa i risultati puramente quantitativi di un meccanismo di ranking user-generated come quello di Technorati. Questa è la pagina originale di Sid05 con le 2000 nostre facciotte:
Ecco il viral post del duemila..... e sette:
[...snip...]
Ciao a tutti!
Non sto parlando del cuore emotivo, che, dopo il brutto "infarto" di un paio di anni fa, si è già perfettamente ripreso, anche di dimensioni minori di un tempo. Parlo proprio del mio cuore biologico: ora batte più lentamente, con calma serafica, e potente. Posso correre per ore, posso respirare a pieni polmoni, posso riprendere a vivere a 60 o a 160 battiti per minuto ed anche oltre. Quando serve. Solo se ne vale la pena. Come disse Lester in American Beauty, dopo essere riuscito a cambiare la sua vita, ma pochi attimi prima di morire ammazzato dalla cieca furia del suo vicino di casa: "Sto da dio - lunga pausa - sto da dio".
PHOTO DAVIDE Gazzotti
I had always heard that your entire life flashes before your eyes the second before you die. Only that one second, isn't a second at all, it seems to stretch out forever like an ocean of time. For me it was lying on my back at boy scout camp, watching falling stars. And the maple trees that line our street. Or my grandmother's hands, and how her skin seemed like paper. And the first time I saw my cousin Tony's brand new Firebird. And Janey. And my last thought was of Carolyn. I guess I could be pretty pissed off about what happened to me, but it's hard to be angry when there's so much beauty in the world. Sometimes, I feel like I'm seeing it all at once, and I can't take it. My heart swells up like a balloon that's about to burst. But then I remember to relax, and stop trying to hold onto it. And then, it flows through me like rain and I feel nothing but gratitude for every single moment of my stupid little life. You have no idea what I'm talking about, I'm sure. But don't worry. You will someday.
Esattamente 8 anni fa scrivevo una pagina del mio personale diario proprio su ArteFiera, e la "pubblicavo" su un proto-blog realizzato tramite una mailing-list di amici, artisti e creativi che ruotavano attorno ad un sito open e ai "suoi" progetti...
DAVIDE Gazzotti - Pavimentazione affollata a tratti ad ArteFiera 2007
...e, non inaspettatamente, molte delle considerazioni fatte allora si possono traslare in quello che è successo in questi anni all'arte, alle fiera, ad ArteFiera, ed al sottoscritto Differenze da allora? Beh, innanzitutto la scomparsa definitiva delle gallerie innovative che noleggiavano gli spazi espositivi nel sovrariscaldato piano superiore perchè più economici, poi la drastica riduzione di arte moderna (fino alla pop inclusa), per dare spazio a più realizzazioni contemporanee. Non che con questo la qualità delle emozioni provabili barcollando per un tale mercatino ne guadagni, anzi... non è che forse sto invecchiando io?
Uno dei momenti più elevati e creativi l'ho vissuto durante la illuminata performance estemporanea di Lilia e Paolo, che ha attirato l'attenzione di svariati visitatori ed ha segnato un notevole aumento di presenze allo stand utilizzato come scenario:
Paolo e Lilia - Una di queste opere ritratte ad ArteFiera 2007 è un falso. Quale?
Infine, per memoria storica, riporto lo scritto a cui mi riferivo in principio, recuperato in qualche dimenticato meandro del mio archivio elettronico. See you later, d.
----- Original Message ----- From: Gazzotti Davide Sent: Monday, February 01, 1999 3:08 PM Subject: [aciderror] Diario a caldo di un profano nella tana dei mercanti dell'arte
ArteFiera99: potrei enumerare i nuovi spazi espositivi, oppure decantare statistiche di visitatori e numero d'opere esposte in costante crescita, ma questo compito è svolto egregiamente dagli organi d'informazione ufficiale. Invece quello che voglio raccontare è l'improbo tormento di voler provare il brivido di una sensazione nella tana dei mercanti dell'arte. Unica notevole novità è lo spazio per le installazioni artistiche di grandi dimensioni, in cui, fra i vari Argan e i neoclassici dozzinali, fa bella mostra di sè lo stand promozionale di una premiata fonderia bolognese. La sempre presente mostra fotografica è quest'anno sponsorizzata da una nota casa di lingerie: la galleria sensoriale, che ospita immagini di Parisotto Vay, mi ha regalato il primo sospirato brivido. Sarà stato merito dell'impressionante impianto luci o della mistica musica di sottofondo, ma le già ben note curve, dinamiche e al tempo stesso statuarie, immortalate da Parisotto evocano la componente più classica e onirica dell'universo femminile restituendo ugualmente sipido dinamismo e modernità che sempre urgono nella vita dell'uomo contemporaneo. Ma se non siete riusciti a visitarla entro il lunedì sera di chiusura dei battenti, potete comunque ammirare molto di questo materiale fra i "-50%" della prossima fiera del libro. Il padiglione dei galleristi più classici, soffocandomi con un clima antitetico a quello stagionale, fuga qualsiasi altro tentativo di involontario irrigidimento cutaneo. Un affollamento senza precedenti, nella mia breve carriera di profano di arte ad una fiera, in cui risalta più la pasta di cui è fatta la gente presente che la poeticità e talvolta modernità delle molte opere spesso mal assortite ad ammassate negli spazi espositivi. Rari, in questa zona, gli studenti e i veri amanti dell'arte; diffusi, invece, i collezionisti fighetti ed i mercanti in genere. Potrei ricordare che questo non è più l'anno boom di Galliani, ma quello di Valentini (con cui i due terzi dei galleristi millantano esclusiva collaborazione). Oppure potrei notare l'imponente apparato propagandistico dedicato al presunto ritrovamento di alcune vecchie matrici di cinque litografie di un anziano artista lusitano. Oppure, ancora, potrei elencare la quantità di "classici" invenduti (De Chirico, Sassu, Mirò...) che molti galleristi non hanno avuto neppure l'accortezza di montare in posizione diversa da quella che occupavano nell'edizione dell'anno passato. A questo punto le vampate di aria viziata e le bombe sensoriali a cui i miei occhi curiosi sottopongono le già stanche meningi mi costringono ad un disordinato barcollare da uno stand all'altro alla ricerca disperata di quel tanto sospirato brivido che, in fondo, è il sale della vita. Salgo le lunghe scale mobili nella speranza che il padiglione dei moderni, degli innovatori, mi riservi qualche sorpresa. Non resto deluso, malgrado l'apparente eccessiva ricerca di impatto visivo a tutti i costi, spesso a scapito della poesia, che pervade le produzioni artistiche più recenti. L'unica frustrazione qui mi è riservata dallo stand che espone foto e statuette di pessimo gusto, ma con sfondo sessuale, che, grazie a ciò, riceve un immeritato climax di visitatori, evidentemente molti più profani di me. Ammiro i purtroppo scadenti Wharol di un gallerista fiammingo, fuggo nauseato dai diffusi scempi altrui del Donzelli, rivedo volentieri le belle fotografie istoriate di un autore arabo il cui nome, ovviamente, mi sfugge, rimango incantato di fronte ai poetici volti e alle mani rappresentate da una giovane artista padana, e trattengo un conato davanti all'esteticamente irrilevante quadro che documenta il parto di un ermafrodita... Prima di uscire mi tolgo una curiosità: domando il prezzo di un dolcissimo angelo di Omar Galliani, in realtà già marchiato con il bollino di "venduto", in modo da evitare la potenziale insistenza del venditore. Più di 8 delle mie mensilità nette! Meno male, tanto la vera arte è bello fruirla e non possederla. Quando la compri a così caro prezzo la stai violentando, la stai rinchiudendo in una prigione, dietro sbarre che ne tarpano le ali: non può più volare in alto nel cielo, non può più regalare a nessun altro che a te il brivido che egoisticamente stavi cercando. Di ritorno verso l'automobile mi chiedo cosa voleva comunicare quell'artista che ha incollato una serie mainboard di vecchi PC ad una tavola e poi ci ha colato un po' di plastica nera sopra... Lascio perdere, giro la chiave e pago il parcheggio quasi soddisfatto della mia domenica pomeriggio, ma con un unico groppo in gola: peccato che i mercanti dell'arte mi abbiano costretto all'esborso di 20mila di ingresso e 6milae5 di parcheggio, prezzo invero in linea con altre esposizioni commerciali. Per una fiera così mercantile, per farmi visitare il mercato delle pulci dei grandi artisti, potevano però essere più generosi, soprattutto immergendomi nei panni dello studente universitario interessato all'arte e alle nuove tendenze, ma, evidentemente, questa fiera non è a lui dedicata. Davide mailto:davide@davideGazzotti.com acid your life: http://www.acidlife.com/ ------------------------------------------------------------------------
[Visitata 1 settimana fa alla Fiera di Bologna con Lilia e Paolino]
Questo articolo serve unicamente da test, dopo che, inspiegabilmente, la risposta HTTP restituita dal server su cui è installato il dBlog di davidegaazzotti.com, è passata da essere codificata "ISO-8859-1" a "Unicode UTF-8":
L'applicazione dBlog non imposta lato server alcuna codifica per le pagine web che genera dinamicamente in base al contenuto del DB Access, ma indica al browser client la codifica tramite il meta tag HTTP-EQUIV. Tale tag è fissato nel "modulo meta" a "ISO-8859-1" in modo da permettere l'uso dell'intero set di caratteri dell'europa occidentale: dagli accenti francesi e italiani, alla cediglia spagnola, al "beta" tedesco o alle strane "vocali" nordiche... senza necessità di indicarli tramite la codifica &#numero_codice; di cui esistono anche indicatori mnemonici, tipo à etc.
Per ovviare al cambiamento di codifica delle pagine web servite dal provider, la soluzione è stata modificare l'applicazione dBlog per rendere parametrica la tabella codici: (1) aggiungendo un parametro fra quelli generali del blog; (2) modificando il "modulo meta" e i tre script ASP per i feed RSS
In questo modo se il provider imposta di nuovo forzatamente e inaspettatamente una particolare codifica caratteri delle risposte, allora sarà possibile modificarla al volo.
Avevo già parlato del mio nuovo cuore ingrandito, fisiologicamente almeno. Stamattina dopo colazione il mio recente spirito serenamente ipocondriaco ha fatto si che mi controllassi da capo a piedi: quanto chili ho preso tutto il tempo che son stato via, la pressione, i battiti... il cuore... già il cuore...
Et voila, la sorpresa: 51/52 battiti al minuto a riposo! Solo fossi stato meglio indirizzato da bambino, che atleta che sarei potuto diventare...
Un cuore che rallenta, poi, non è affatto male, anche se mi mancano un po' le sferzate di adrenalina, il sangue alla testa, le emozioni, le arrabbiature... ma ora va bene così: ora è tutto davvero mediamente bello, che fortuna che ho. Magari anche la fortuna, un giorno, di farlo battere forte di nuovo questo cuore, magri anche a partire da oggi - alba di un nuovo giorno - come canta l'urlo malinconico di Matthew Bellamy in "Feeling good" dei Muse.
"Feeling Good"
Birds flying high you know how I feel Sun in the sky you know how I feel Reeds driftin' on by you know how I feel
It's a new dawn It's a new day It's a new life For me And I'm feeling good
Fish in the sea you know how I feel River running free you know how I feel blossom in the trees you know how I feel
It's a new dawn It's a new day It's a new life For me And I'm feeling good
Dragonfly out in the sun you know what I mean, don't you know Butterflies all havin' fun you know what I mean Sleep in peace when day is done And this old world is a new world And a bold world For me
Stars when you shine you know how I feel Scent of the pine you know how I feel Oh freedom is mine And I know how I feel
It's a new dawn It's a new day It's a new life For me And I'm feeling good
"Feeling good" dal CD "Origin of Symmetry" dei Muse (2001)
Ando Gilardi è il pioniere degli studi italiani sulla fotografia e il fondatore della Fototeca storica nazionale. Ha lavorato a lungo come giornalista e fotoreporter. È stato per alcuni anni direttore tecnico di “Popular Photography Italiana” e tra i fondatori e condirettori di “Photo 13”. È autore di numerosi saggi e articoli. Per la Bruno Mondadori ha pubblicato: Storia sociale della fotografia (2000), Storia della fotografia pornografica (2002), Wanted! Storia, tecnica ed estetica della fotografia criminale, segnaletica e giudiziaria (2003) e Meglio ladro che fotografo. Tutto quello che dovreste sapere sulla fotografia ma preferirete non aver mai saputo (2007).
"MEGLIO LADRO CHE FOTOGRAFO - Tutto quello che dovreste sapere sulla fotografia ma preferirete non aver mai saputo" In questo agile libretto, un grande protagonista del panorama della fotografia italiana concentra la sua straordinaria esperienza maturata in più di mezzo secolo vissuto tra le immagini. La sua attività di fotografo nel campo del sociale, lo sviluppo di un’impostazione anarchica della teoria fotografica, l’indagine dei cambiamenti della società attraverso un’osservazione partecipata: sono soltanto alcuni degli ingredienti che compongono la vita avventurosa di Ando Gilardi e che, qui, si trasformano in riflessioni indispensabili per tutti i giovani che aspirano a diventare fotografi. La fotografia è un’arte difficile, spesso praticata in modo amatoriale come distrazione dai pensieri quotidiani. E proprio a chi fotografa per diletto può risultare preziosa l’esperienza di Gilardi che, pur nella consapevolezza di trovarsi di fronte a un mezzo in continua evoluzione, conosce a fondo i meccanismi e i segreti di uno dei modi più meravigliosi che abbiamo per soddisfare il nostro “bisogno visivo”.
Per alcuni giorni hanno girato e fatto discutere i blog di mezzo mondo, ma sono un falso le tre fotografie mal ritoccate che sembravano suggerire un avvenuto ritorno di Oliviero Toscani e delle sue demagogiche campagne pseudosociali nelle pubblicità dei maglioni della Benetton. Direttamente sul blog 10ads.com la sintetica smentita dell'ufficio stampa di Benetton: "Ciao a tutti, questa NON è una campagna Benetton...". Attenzione a queli egotisti dei bloggers
McCann Erickson has done an excellent job in the world Benetton brand. Now Benetton is trying to initiate some actions regarding the home violence against women.
The brand is brave enough to try with a negative view their same slogan - United Colors of Benetton (combined color Benetton), and make it a more cruel Colors of Domestic Violence (the color of domestic violence). Agency: McCann Erickson
Updated:Federico Sartor May 30th, 2007 at 2:18 pm
Dear All, this is NOT a United Colors of Benetton advertising campaign. Please don’t be deceived, see the official Benetton Group website www.benettongroup.com
Best regards, Federico Sartor
Direttore Stampa e Comunicazione Istituzionale Benetton Group Tel. 39 0422 519036 Fax 39 0422 519930
I have not received any denial email from anyone at Benetton Group. Therefore ads will remain on this blog until the denial email from the company.
Il mio blog me lo sono prescritto alla fine di gennaio del 2007: ho installato sul mio sito vecchio di sette anni (e si vede) dblog, una piattaforma open, e riversato una dozzina di articoli scritti su myspaceper gioco, e quindi ho cominciato a registrare irregolarmente, col tono un po' saputello del professorino mancato, parte di quello che mi capitava sotto gli occhi o dentro le meningi al solo scopo di autocelebrazione personale, senza nessuna velleità che la mia vena artistica o comunicativa fosse degna di qualsiasi attenzione o di pubblico. D'altra parte esistono blog di professionisti della comunicazione che invece meritano davvero visite e successo, per qualità e/o originalità dei contenuti. Quasi subito trovo l'inziativa di sid05, che a sua volta riprendeva una analogo post virale dalla blogsfera anglofona, delle facce di 2000 blogger italiani. Subito mi iscrivo, entro in "lista" ma pubblico il post virale in questione solo con almeno una 20ina di giorni di ritardo, ma retrodatato. Ieri leggo (non so più dove) che una piattaforma di nanoblogging (fenomeno di cui si parla in tutte le salse), tumblnr, è ancora altamente insatura. Quindi accendo l'account davidephoto.tumblnr.com e posto solamente 1 foto appena postata sul mio blog e i link al mio sito ed al mio blog. Succede che:
Raddoppiano i visitatori unici sul blog (da 70 a 150 visitatori al giorno)
Triplicano le pagine lette sul blog (da 120 a 450 al giorno)
Si moltiplicano a dismisura anche i link uscenti
Secondo Technorati ed altri tool di ranking la posizione in classifica del mio blog, per quello che vale, aumenta radicalmente ed immeritatamente in un paio di giorni soltanto
Progressioni del genere non le avevo ottenute neanche quelle 3 o 4 volte che sono stato linkato da importanti blog di professionisti della comunicazione. La mia interpretazione:
Il solo essere presenti nelle social network globali, quando ai loro inizi sono poco popolate anche se inspiegabilemnte molto popolari perchè ne parlano tutti (come la semplice e poco abitata internet di 12 anni fa quando mi affacciai al web), anche se senza contenuti causa curiosità, e quindi traffico.
L'autocitarsi, i meme virali come "2000 bloggers" e molti altri, e i meccanismi sociali di commenti e controcommenti, esaltati dai tool di ranking come Technorati non determinano il successo (ovvero l'utilità sociale) di una pubblicazione. Tantomeno ne qualificano la qualità, che, per altro, è assolutamente soggettiva.
Il traffico ora iniettato sul mio blog dall'effetto contemporaneo "tumblnr+ esposizione di un meme" è traffico "finto", ovvero fatto per lo più di blogger non interessati ai contenuti (di qualità discutibilissima) del mio blog. Calerà presto per tornare ai volumi precedenti.
Vantaggi per me? Nessuno.
Ho tralasciato qualche considerazione? Immagino di sì... Buona festa della liberazione.
Pochi giorni fa è uscito l'ultimo bel disco di Cristina Donà, ma riascolto tuttora spesso i suoi primi folgoranti lavori ("Tregua" e "Nido") realizzati nel contesto creativo dei primi anni 90, in quel subbuglio del rock italiano che stava producendo la Mescal Records. E domani è il suo quarantesimo compleanno: auguri Cristina Proprio ieri, come cantava Cristina in "Triathlon", ho registrato il mio battito minimo... mi devo preoccupare?
"Cristina Donà è la più grande cantautrice italiana e lo è suo malgrado. Perché, come accade a certi grandi artisti, se all'origine dell'espressione creativa non ci fosse un'esigenza profonda di verità su se stessi e sulla vita che si vive, la loro natura li avrebbe condotti ad altre occupazioni, forse più semplici e tranquillizzanti. E, invece, scrivere canzoni e cantare per Cristina Donà ha a che fare con un desiderio insopprimibile di vederci chiaro e di capire come debba essere vissuta questa vita che sembra scapparci da tutte le parti." - (Stas' Gawronski, critico letterario, dal sito di RaiLibro)
So che un braccio dopo l’altro porterò a destinazione questo corpo calpestato dalle tue rigide mancanze. Ho attraversato giorni da diluvio universale, ora so scivolare sull’acqua...è una questione orizzontale. Scivolerò sui tuoi rimpianti mai pianti con me. Scivolerò, ma il tuo amore dov’ era? Tengo al minimo il battito, controllo che il respiro non ceda. Tengo al minimo il battito, controllo che il respiro mi segua. La ruota davanti m’implora di non insistere con la pressione. Il cuore sul manubrio sembra pronto a decollare. Hai trasformato pianure in salite devastanti, ora tornerò a sognare coi miei occhi scintillanti. Aumento la distanza, il vantaggio su di te e non aspetto che qualcun altro provveda. Tengo al minimo il battito, controllo che il respiro non ceda. Tengo al minimo il battito, controllo che il respiro mi segua. I piedi toccano terra, comincerà la resurrezione. E’ l’ultima parte di fuga, vedo la polvere che si solleva. Fuori da un passato confuso con dentro l’alibi di una visione, continuerò la corsa, ma non sono più preda. Tengo al minimo il battito, controllo che il respiro non ceda. Tengo al minimo il battito, controllo che il respiro mi segua
Cristina Donà - "Triathlon" da "Dove sei tu" - 2003
Il sole a settembre mi lascia vestire ancora leggera, il fiume riposa negli argini aperti di questa distesa. Tu mi dicevi che la verità e la bellezza non fanno rumore: basta solo lasciarle salire, basta solo lasciarle entrare. E' tempo di imparare a guardare. E' tempo di ripulire il pensiero. E' tempo di dominare il fuoco. E' tempo di ascoltare davvero. L'amore a settembre mi ha fatto sentire ancora leggera. Il giorno sprofonda nei solchi bruciati di questa distesa. Tu lo sapevi che nessuna gioia nasce senza un dolore? Basta solo farlo guarire, basta lasciarlo entrare. E' tempo di imparare a guardare. E' tempo di ripulire il pensiero. E' tempo di dominare il fuoco. E' tempo di ascoltare davvero. E' tempo di imparare a cadere. E' tempo di rinunciare al veleno. E' tempo di dominare il fuoco. E' tempo di ascoltare davvero. L'amore a settembre mi ha fatto sentire ancora leggera.
Cristina Donà - "Settembre" da "La quinta stagione" - 2007
Pochi anni fa non esistevano o quasi agenzie fotografiche Royality Free. Ora dicono siano la maggior parte del mercato della fotografia "stock", ovvero da archivi dove trovare generiche immagini per editoriali, piccole borchure, siti web, etc., anche se, onor del vero, cifre certe è difficile elaborarne.
Tutto è nato anche perchè il prezzo delle immagini d'archivio, già reperibili on-line sui siti di tradizionali agenzie ad alta qualità, era davvero troppo elevato, quindi riservato ad impegnativi progetti di immagine coordinata e fuori dalla portata di micro imprese, progetti più piccoli (sono la maggioranza) o studenti di (web) publishing. I siti di Microstock photography sono la risposta a questi bisgoni: si affidano principalmente a fotoamatori che inviano e catalogano le loro immagini sul sito, ed offrono fotografie ad alta risoluzione addirittura a partire da 1 dollaro, normalmente dai 2 ai 10 dollari, e in più sono Royality Free, ovvero senza ulteriori Royalties da pagare a prescindere dal numero o dalla tipologia di utilizzi, commerciali e non, da parte dell'acquirente. Sono la risposta massificata alla richiesta generalizzata di enormi quantità di immagini sempre "nuove" con cui bombardare le masse.
L'avere come fonte di contenuti hobbysti desiderosi di sprecare tempo per incassi nel 99,9% dei casi marginali, e la meccanicità dei criteri di accetazione delle immagini, fa si che l'enorme mole di materiale catalogato su di un sito Microstock necessiti di una più accurata selezione da parte del committente per trovare l'immagine comunicativamente giusta e con qualità (non solo tecnica) giusta per il progetto in corso. L'enorme quantità di hobbysti, con a disposizione una fotocamera digitale ed una copia di Photoshop, desiderosi di esposizione, riconoscimento morale e condividisione dei risultati, ha fatto sì che le Microstock agencies strutturassero il proprio sito più come un social networkche come il sito di un'agenzia fotografica on-line. Questa è stata la mossa vincente dei pochi nomi che ormai sono accapparrati il mercato.
La struttura di prezzo rivoluzionaria, inoltre, è riuscita a stravolgere questa nicchia di mercato nel giro di un paio d'anni: queste Microstock agencies stanno causando seria preoccupazione alle agenzie di stock photography tradizionali, e stanno già influenzando le loro strategie di mercato, dice questo articolo sul New York Times.
Dal punto di vista del diritto, Royality Freenulla c'entra con il Copyright o il Copyleft, o la sempre più diffusa licenza Creative Commons: il diritto di ripoduzione originario resta di proprietà teorica all'autore, e solo in alcuni casi può essere trasferito in esclusiva alla agenzia on-line, ma viene concesso in modo illimitato a chiunque acquisti a queste ridicole cifre le immagini.
Per provare personalmente questi servizi, anch'io mesi fa misi in vendita, sotto pesudonimo, qualche dozzina di scatti realizzati per caso, o qualche scarto da progetti di cui possiedo tutti i diritti, oppure ancora immagini che non avevano qualità sufficiente per essere accettate nei siti delle agenzie "macrostock". Da parte mia confermo i risultati economici insoddisfacenti, d'altra parte ad 1 o 2$ per immagine, per di più disperse in banche dati con uno o più milioni di foto tutte ugualmente mediocri, è difficile emergere e fare i grandi numeri necessari a giustificare il tempo impiegato per l'upload e la catalogazione delle immagini sul portale di stock photo. Chi ci è riuscito sono in pochi, i pochi pionieri un paio di anni fai di questo nuovo mercato fotografico, che avevano il tempo di inviare e catalogare centinaia immagini un pelo sopra la media in banche date da poche decine o centinaia di miliaia di foto, e che ora, per via dei meccanismi di misurazione di popolarità tipici delle social network si trovano un'esposizione molto maggiore del tipico nuovo arrivato.
La novità che ho scoperto oggi verificando il log delle vendite dell'ultima settimana è che anche i grandi nomi del marketing e dell'immagine coordinata hanno qaulcuno al loro interno che, magari per piccoli progetti o per comunicazione interna, evita i costosi siti ad alta qualità d'immagine di Alamy, Corbis e Getty, e si occupa di scaricare praticamente gratis dai vari Shutterstock o Fotolia, al solo maggior costo del maggior tempo necessario al tipicamente sottopagato addetto incaricato della selezione per trovare le immagini giuste e di ottima qualità. Nomi dal log delle mie vendite di questa settimana? Ecco: JWT, R&R Partners,......!!!!
Bene, questa è la conferma della morte ufficiale della Stock Photography come business.
Più in generale, dopo l'affermazione dell'Open Source nella produzione del software e del Peer2Peer nella distribuzione audiovisiva, è la morte nel mondo digitale del modello di business basato sul prodotto (o sul detenere esclusiva un brevetto o un'opera creativa). Stiamo irreversibilmente diventando una società di servizi, alcuni condivisi, altri a pagamento, e il modello di business produttivo tradizionale rimarrà unicamente per i prodotti tangibili, di cui è reso necessario (o di cui è reso necesario) il possesso. La conoscenza, unico vero asset nel nuovo mondo digitale, essendo anch'essa condivisa, non da diritto a nessuna remunerazione. Speriam solo che restino in piedi abbastanza business tradizionali per permettera a noi servitori nella società dei servizi di pagar tutte le bollette a fine mese
Dates and numbers count. Ever seen "La parola amore esiste" by Italian director Mimmo Colapresti? No?
Well, my life has gone through various traumatic changes, like any life. We could better name them "turning points". The last two are bound to the date of today: July 23rd
(1) 07 - 23 - 2005 ... I'll write about it someday, but not today since I got something else more urgent at the moment
(2) 07 - 23 - 2006 Yesterday I was diagnosed a bad pneumonia (Bronchiolitis obliterans organizing pneumonia - BOOP): it is good it is absolutely curable, but it is bad since potentially fatal and, in my case, originated by a very common "Commonly acquired pneumona - CAP" that has not been identified and cured for several months, too many months acutally, till the inevitable final breakdown.
The good news is that I can be cured with a 99% probability to practically fully recover. Well, well well, the even greater news is that today I am quitting smoking, after 20 years of insane numbers of cigarettes a day...
Ormai ha quasi quarant'anni la bella Sarah Saudek (o, come si dice, Sarah Saudkova). Nata nel 1967 in Repubblica Ceca, si è laureata all'Università di Economia di Praga. Ha prima condotto un programma TV e ne ha fatto da autrice, per poi diventare partner, modella e manager di Jan Saudek.
Jan e Sarah Jan Saudek (classe 1935) è indubbiamente il primo grande fotografo moderno della Repubblica Ceca, ed è famoso per i suoi crudi nudi che focalizzano, con tecnica ruvida, un erotismo grottesco e intrigante, sia nella forma che nel contenuto. Wikipedia ci suggerisce di non confonderlo con il quasi omonimo Josef Sudek (1896-1976), che, francamente, non sapevo neanche chi fosse. Sarah invece oggi è descritta su www.saudek.com che Jan e Sarah condividono, come "il braccio destro" del fotografo Jan Saudek. Col lavoro di assistente, Jan Saudek la ha introdotta alla fotografia: "Il maestro Jan mi ha insegnato l'artigianato della fotografia, perchè non c'è scuola migliore...". Sarah Saudek ha cominciato a realizzare le prime fotografie tutte sue nello studio di Jan nei tardi anni 90 (i primi lavori pubblicati sono datati 1998), ed ha successivamente dimostrato una certa abilità a sviluppare uno stile proprio, pur nell'esplorazione di territori simili a quelli del proprio mentore. C'è femminilità e una qualche tenerezza nel suo lavoro. Dopo un paio d'anni che fotografava, Jan affermò addirittura che le immagini di Sarah erano superiori alle sue. Potenza dell'amore? Può darsi. Di certo la raffinata ruvidità della visione e della tecnica del Maestro, qui addolcita, lascia posto ad una imperfezione tecnica meno piacevole.
The Kiss Forse il più forte dei suoi lavori giovanili è 'The Kiss', 1999, che dimostra un deciso approccio grafico al soggetto, riprendendolo dal basso: una vista d'effetto di un semplice atto. Altra immagine significativa è 'The Tenderness' (2000), un'altra coppia, questa volta nudi, in ginocchio, ma ripresi dall'alto.
The Kiss, 1999 - PHOTO SARAH SAUDEK
The Tenderness, 2000 - PHOTO SARAH SAUDEK
L'intimità Ci sono immagini di Sarah che potebbero offendere qualcuno per via della presenza del nudo o anche di atti sessuali espliciti, ma di certo non si tratta di nulla di pornografico o di bassamente stimolante, anzi, piuttosto, l'immaginario di Sarah Saudeck tende a rappresentare il lato più divertente e commovente della sensualità. C'è una profonda intimità in molto del suo lavoro, un senso di essere parte di una famiglia che si ama, come in 'Holy Virgin', 2003, in cui Sarah impersona la Madonna, 'The 1st Step' e 'Vis & Vis'. In molte di queste immagini viene celebrata la vita.
Holy Virgin, 2003 - PHOTO SARAH SAUDEK
Vis a vis, 2003 - PHOTO SARAH SAUDEK
Il centro del mondo Il celebre quadro di Gustave Courbet 'L'Origine del Mondo', (che si trova al Musee d'Orsay di Parigi) all'epoca della realizzazione (1866) turbava gli osservatori semplicemente mostrando un torso di donna a gambe aperte. 'The Middle of the World' della Saudek, 2001, riprende da un punto di vista simile il pancione di una donna incinta, ma gioca sull'idea del mondo mostrando la pancia sotto forma di enorme globo. Difficilmente ci sarà qualcuno che si turba per queste cose oggigiorno, piuttosto c'è da farsi una simpatica risata.
The Middle of the World, 2001 - PHOTO SARAH SAUDEK
The Priest Finita la scorpacciata maternalista decisamente autobiografica, le immagini della Saudek sono tornate a percorrere il terreno dell'irriverente denuncia della componente carnale dell'uomo. E non potreva mancare un'immagine sicuramente controversa come quella del prete omosessuale.
The Priest, 2005 - PHOTO SARAH SAUDEK
Per finire La fotografia di Sarah risulta decisamente influenzata da quella di Jan Saudek, peccato manchi di quella forza espressiva e quella ricercata ruvidità tecnica che hanno reso famoso l'immaginario erotico del suo grande mentore. Manca quella sofferenza che trasuda da ogni poro della pelle del grande Jan Saudek. Malgrado l'indubbia bravura, nella storia della fotografia la bella Sarah è stata per ora forse più importante come musa e come editordi Jan, che come fotografa; malgrado ciò è davvero piacevole una sosta ragionata almeno al sito internet.
Allora, caro presidente, ora mi spieghi che cos'è la guerra? Ma che cosa avrai da raccontare a questi ragazzi? E meno male che non vai a sentire che cos'hanno da dirti quelli che le bombe americane le hanno prese sulla testa...
[NOTA: Non so la fonte delle foto, ne la data degli scatti. Li ho ricevuti per e-mail e li ripubblico senza nessuna garanzia di autenticità]
Il bello dei portali video è che, sull'onda della loro novità, in barba a tutte le leggi che tutelano il diritto di copia e di sfruttamento delle produzioni multimediali, molti appassionati digitalizzano e ripubblicano materiale d'annata altrimenti perduto. Un esempio è il documentario di John Szarkowski su Garry Winogrand, autore della fondamentale raccolta di street photographyThe Man in the Crowd: The Uneasy Streets of Garry Winogrand, che rappresenta la summa della sua produzione, pubblicata postuma nel 1998.
Questo è il video notato su 2point8:
Sempre su 2point8 è anche presentata la trascrizione delle interviste, dalle quali cito alcuni passaggi significativi della valenza estetica del lavoro di Winogrand, e del suo "pensiero artistico" dal valore concettualmente davvero molto relativo.
I am surprised that my prints sell. They’re not pretty, they’re not those kind of pictures that people easily put on their walls, they’re not that window onto a nice landscape or something. They aren’t.
I don’t have pictures in my head, you know. Look, I am stuck with my own psychology. With my own, uh, with me. So I’m sure that there’s some kind of thread, whatever, but I don’t have pictures in my head.
Le fotografie del giovane bolognese Lorenzo Pondrelli, premiato vincitore nella categoria Fotografia di Reportage del Festival ICEBERG 2007, mostrano le bellezze dell'India e delle sue culture usando un linguaggio espressivo che va oltre il consueto stile documentaristico "alla National Geographic". Il filo conduttore è l’unione dei tre vincoli formali tempo, spazio e tono, il raccogliere momenti in cui lo spazio e il tempo sembrano unirsi al colore per mostrare la bellezza della realtà. Così la duplicità delle immagini, che rappresentano soggetti catturati nello stesso momento o lo stesso soggetto visto da differenti punti di ripresa, cerca di ricreare sensazioni che condividevano lo stesso spazio: ogni opera infatti è composta da due fotografie unite da un inevitabile legame formale di spazi, momenti e toni.
Magenta - PHOTO LORENZO PONDRELLI
Davvero indovinato e ben realizzato, il comunicativo progetto di Lorenzo Pondrelli merita il primo premio ricevuto, e le prospettive future che, con esso, sicuramente si aprono per il suo giovane autore. Da sole le sette opere presentate al concorso per questo progetto (ognuna composta di due fotografie impaginate graficamente con il tono di riferimento) valgono la visita alla galleria Tamatetedi Via Santo Stefano 17 a Bologna, ma pregievoli sono anche alcune altre opere fotografiche e materiche in concorso al festival iceberg 2007 e presentate in questi spazi di FMR/Arté.
Lorenzo Pondrelli alla galleria Tamatete per il Festival Iceberg 2007 - PHOTO DAVIDE Gazzotti
Segue un'estratto di un minuto dall'intervista che ho realizzato.
Rimanendo nell'ambito della Fotografia di Reportage presentata nello stesso spazio espositivo, di stile diverso è il reportage "Nova Craiova" di Filippo Massellani realizzato fra i container di un accampamento di rom immigrati a Bologna, e segnalato dalla giuria. Un classico reportage sociale, ben realizzato con un'ottimo bianco e nero, a cui non mancano le necessarie immagini di forte impatto, e pregievole coerenza formale.
PHOTO FILIPPO MASSELLINI
Potenzialmente promettente, ma di realizzazione formalmente tutt'altro che ineccepibile, il progetto "Presenze" di Gemis Luciani, ultimo autore segnalato nella sezione Fotografia di Reportage. Tema più difficile e abusato, a cui è fatalmente mancato, soprattutto nella quarta immagine della serie, il necessario impatto visivo e coerenza formale con le altre immagini.
Ashes and Snow, ceneri e neve, sono i poetici componenti del più maestoso progetto artistico che la fotografia contemporanea ricordi. Gregory Colbert, nato in Canada 47 anni fa, ma davvero cittadino del mondo, è autore di un progetto che indaga la sensibilità poetica degli animali nel loro habitat naturale nell'interazione con gli esseri umani. Non più visti unicamente come appartenenti al genere umano, gli uomini di Colbert sono animali in armonia con la natura e col mondo animale. Ashes and Snow è un grandioso progetto in progress, realizzato nel corso di più di un decennio grazie anche al generoso contributo di una multinazione svizzera che utilizza il lavoro di Colbert come strumento di marketing alternativo. Nel museo itinerante, appositamente allestito per essere trasferibile in diversi angoli del mondo (Nomadic Museum), vengono esposte grandiose realizzazioni fotografiche stampate in enorme formato, tre filmati girati in 35mm, alcune installazioni ed infine un romanzo. Con intima pazienza e forte dedizione alla natura espressiva e artistica degli animali, Gregory Colbert è riuscito a carpire, ed a trasmettere, una straordinaria ed inesplorata interazione fra gli esseri viventi.
In una delle rarissime sue apparizioni pubbliche, Gregory Colbert ha presentato alla TED conference2006 un sensazione filmato tratto proprio da Ashes and Snow. Nella presentazione, Colbert annuncia anche la sua nuova utopica iniziativa Animal Copyright Foundation, che si prefigge di raccogliere royalties dalle compagnie che sfruttano le immagini della natura nelle loro campagne pubblicitarie... immagino però che sarà dura costringere il mondo del business a pagare, seppur poco, quando ciò non è previsto per legge. Questo filmato è assolutamente da non perdere.
(Registrato nel Febbraio 2006 a Monterey, California. Duration: 18:42)
Il mio unico rammarico, ivece, è proprio essermi perso, ormai alcuni anni or sono, la tappa veneziana di Ashes and Snow allestita in un Arsenale trasformato per l'occasione in un Nomadic Museum molto speciale.
Spiando l’intimità delle persone, questo libro documenta il brusio e le vibrazioni di una delle più ammirate città del mondo. Le persone ritratte in questa galleria non sono frammenti dell’immaginazione dell’autore, ma sono gente reale: nella città che pulsa non esistono eroi ed eroine, ma solo uomini e donne alle prese con la loro vita, e con la necessità di superare limiti e difficoltà.
Spingendo la fotografia documentaristica oltre i suoi confini, queste strade claustrofobiche raccontano il respiro della vita nella scomoda era della Grande Recessione del 2009, dove l’ansia e l’incertezza incombono su una versione decadente del Sogno Americano. I personaggi calcano frenetici il più seducente palcoscenico mai realizzato, cullati dai fianchi slanciati e inarrivabili di New York.
Per tre mesi è andato in giro per Copenaghen e New York fermando passanti per chiedere ad ognuno cosa gli passava per la testa, e per scattargli una foto. Il risultato di The Thought Project del fotografo danese Simon Høgsbergè una collezione di 55 ritratti frontali, ma molto espressivi, ognuno dei quali è accompagnato dalla trascrizione esatta dei pensieri dei passanti che Høgsberg ha minuziosamente riportato dalle registrazioni effettuate in strada.
PHOTO SIMON HOEGSBERG - THE THOUGHT PROJECT
Molto coerente l'attenzione dedicata alla luce ed all'uso dello sfocato, piuttosto grafico ed evocativo. Semplici, immediati, ma assolutamente centrati, gli strumenti espressivi con cui Simon Høgsbergrestituisce sguardi perplessi e pensierodi. Merita visitare il resto della galleria di ritratti di THE THOUGHT PROJECT. Bravo Simon.
Durerà almeno due anni, costerà all'ENI venti (dico io, venti!) milioni di euro, forse non servirà a molto in pratica, ma lo spot è davvero bello.
Eni (prima corporation italiana per capitalizzazione n.d.r.) ha dato il via a una campagna sociale di formazione e informazione sull’efficienza energetica destinata a svilupparsi per i prossimi 2 – 3 anni. Con la creatività di TBWA/Italia e con un budget di 20 milioni di euro, la campagna “30PERCENTO” mira a comunicare
...che:
modificando il proprio stile di vita, senza stravolgerlo, si possono risparmiare circa 1.600 euro all’anno per famiglia
Eni ha assunto un senso di responsabilità sociale nei confronti della comunità
Eni è impegnata nella ricerca di fonti energetiche in linea con il trattato di Kyoto.
Il payoff dell'iniziativa è “Consumare meglio, guadagnarci tutti”. Iniziativa importante. Speriamo solo la conclusione della campagna non sia un aumento delle tariffe, come avvenuto per la fiorentina Publiacqua!
UPDATE 27 maggio 2007: La splendida musica originale dello spot "ENI 30 PERCENTO" è del grande Ludovico Einaudi. Da non perdere il suo ultimo disco "Divenire" (Decca, 2006).
Sfruttando la giustificata paura di devastanti terremoti, la Croce Rossa espone per le strade di San Francisco demagogiche immagini di distruzione del paesaggio retrostante per colpire i passanti e aiutare la raccolta di fondi.
"Cosa dobbiamo fare per avere la tua attenzione? Preparati". Con questo messaggio scioccante e delle istallazioni che sfruttano illusioni ottiche, la Croce Rossa di San Francisco cerca di sensibilizzare la popolazione sul pericolo terremoti in una zona ad elevato rischio sismico come la Bay Area.
Undo.net ha recentemente pubblicata la lucida spiegazione del perchè "Il Marketing ama i Colori", articolo in cui Giovanni Scibilia illustra in modo chiaro, da professore e filosofo del linguaggio quale è, l'evoluzione di una comunicazione commerciale che sfrutta impietosamente la natura psicografica del colore per ammaliare i futuri acquirenti. Estraggo la testa e la coda del brillante articolo:
Il marketing ama i colori. In primo luogo per la loro intrinseca natura cosmetica, nota sin dagli antichi Egizi, che ne fa degli strumenti chiave nel fondamentale make-up delle merci. Il colore è il belletto di prodotti e marchi, come e più del packaging o dello stesso logo, non avendo altre funzioni primarie apparenti oltre l’ornare, rendendoli così più piacevoli e accattivanti. Un ombretto, un rossetto, un fondotinta. Se è possibile pensare a un supermercato senza marche (discount), non riusciamo a immaginare un ‘super’ di prodotti incolore, sbiancati.
PHOTO DAVIDE Gazzotti
...le nuove frontiere del marketing dei colori, sempre più allusivo e intangibile rispetto ai prodotti, sempre più incuneato nei meandri psichici del soggetto-consumatore, fino a pornograficamente sfiorare – senza alcun pudore, senza nessuna mediazione – il suo fondo pulsionale più nascosto, la sua natura perversa e polimorfa.
E' stato distribuito e presentato a vari festival nel 2001 "War Photographer" di Christian Frei, che ha seguito James Nachtwey, il più famoso fotografo di guerre al mondo, per un paio di anni. Particolare l'utilizzo per la prima volta proprio in questo reportage di una telecamera montata sulla fotocamera di Nachtwey per simulare la stretta visione possibile al fotografo inquadrando le concitate scene di guerra. Anche questo fattore, oltre che alle qualità del lavoro del fotografo in questione, e alla pericolosità dei momenti delle riprese durante la guerriglia palestinese, ha contribuito a rendere famoso questo documentario che per altri versi appare un po' demagogico e filmograficamente perfettibile. Ecco un frammento di 4 minuti disponibile on-line:
In questo frammento Nachtwey filosofeggia impersonando le vesti un po' messianiche di chi il fotogiornalista lo fa per salvare il mondo:
"Why photograph war? Is it possible to put an end to human behavior which has existed throughout history by means of photography? The proportions of that notion seem ridiculously out of balance yet that very idea has motivated me." - James Nachtwey
Cinque anni fa un commando delle Nuove BR, coordinato da Nadia Desdemona Lioce, commetteva un omicidio politico a sangue freddo. Un omicidio alla porta accanto. Marco Biagi, autore della bozza del testo di una contestatissima legge sul lavoro atipico che gli sarebbe stata intitolata nel 2003, malgrado la posizione politica e l'attaggiamento quantomeno discutibili, era solo un professore universitario che bazzigava le stanze del potere centrale, era un padre di famiglia, era un uomo.
Bologna, 19 Marzo 2002, ore 20:34
L'auto dei carabinieri mi si infilò nello specchietto retrovisore come un lampo nella notte. La mia vita scorre a pochi passi da lì ed ero quasi arrivato, dopo una lunga giornata di lavoro, perso in inutili pensieri. Accostai come tutti nelle strette strade del centro di Bologna, e la vidi sparire urlando proprio nella mia stessa direzione. Pochi istanti dopo avrei purtroppo capito il perchè.
Solo oggi, a dieci giorni di distanza, ho avuto la forza di girare l'angolo, e di raggiungere il suo portone di casa. Era la casa di un innocente che non conoscevo personalmente: si sa, nel caos delle nostre vite è difficile incrociarsi anche se si vive accanto o si insegna alla stessa università.
Un unico filo insanguinato unisce le lacrime delle nostre città invisibili, da New York a Gerusalemme. Un filo di odio che dobbiamo impegnarci a spezzare promuovendo cultura e tolleranza.
Quello era anche il mio angolo preferito di Bologna, il baricentro geografico ed emotivo di tutte le cose più belle della mia piccola vita. Per non piangere mi sono nascosto dietro un'inquadratura dell'ennesimo sogno violentato.
Impossibile non rimanere colpiti da queste drammatiche immagini in banco e nero di un corpo umano e della sua sofferenza. Dopo aver notato come ultimamente certe tematiche sono cavalcate dalle multinazionali per continuare comunque a promuovere creme oppure abbigliamento sportivo come strumenti per abbellire i corpi, fingendo impegno contro la spettacolarizzazione della bellezza dei corpi e la chirurgia plastica, ecco come descrive il suo progetto Thaniel Lee: "In questo mondo di spettacolo e chirurgia plastica, di spettacoli sulla chirurgia plastica, di programmi tv che selezionano finte modelle, di irreali reality show, io cerco di mostrare un corpo che non può cambiare, un corpo che nessun complicato intervento chirurgico al mondo potrà mai trasformare in un super modello, un corpo che non viene mostrato sulle riviste più lette, o su MTV.[...] Ho scelto di documentare questo corpo attraverso l’obiettivo della macchina fotografica: il corpo che ho scelto di raccontare è il mio. Sono nato con una patologia chiamata Artrogriposi: questa condizione mi lascia un uso limitato delle braccia, delle gambe e delle dita. Undici operazioni chirurgiche mi hanno procurato interessanti cicatrici e atrettante storie interessanti. Ho cominciato nel 2000 a documentare il mio corpo, e le innumerevoli diverse forme in esso contenute... Spero che il mio lavoro faccia in modo che la gente guardi al proprio corpo mettendo in discussione il concetto di bellezza che pervade la nostra cultura ossessionata dai corpi."
Ogni scatto di Thaniel Lee è una performance unica, dove le forme di un corpo esprimono contemporaneamente spudorata sofferenza e incredibile forza vitale.
Alla galleria Arte e Arte, nel pieno centro pedonale di Bologna, sono esposte da alcuni giorni le opere di quello che molti considerano un mostro sacro della fotografia.
FRANCO FONTANA - ASFALTI - BEVERLY HILLS 2005
In mostra una ventina di sgargianti fotografie del ciclo Asfalti, la produzione più recente di Franco Fontana, che inquadra la segnaletica orizzontale in modo analogo agli altri temi della sua precedente produzione, dal paesaggio all'architettura urbana al corpo: un pretesto per dare vita a immagini che vorrebbe sorprendenti, nelle quali non conta tanto la realtà del soggetto, quanto l'interpretazione, la capacità di reinventare il mondo e le sue figure attraverso l'obiettivo.
FRANCO FONTANA - ASFALTI - LONDRA 1998
Purtroppo però la quasi totalità delle opere presentate soffre per mancanza di effetto sorpresa: vuoi perchè ad alcune il formato "piccolo" (30x45 circa) non dona afffatto, vuoi perchè in effetti l'interpretazione astrattistica delle strisce colorate funziona davvero solo in poche delle immagini esposte.
FRANCO FONTANA - ASFALTI - MODENA 2005
FRANCO FONTANA - ASFALTI - VEVEY, SVIZZERA 2003
In realtà, la prima esposizone personale a Bologna del sempre sopravvalutato fotografo modenese, col suo ruffiano rincorrersi di ampie campiture cromatiche in un’articolazione formale geometrica, presenta opere in maggioranza già ben note al grande pubblico: gli asfalti migliori sono un pallido ricordo dei paesaggi urbani dell'inizio anni ottanta che hanno reso Fontana celebre in tutto il mondo, e risalgono agli anni 1995-2005.
Per concludere, un'occhiata ai prezzi, sbirciati da un listino manoscritto lasciato in giro per la galleria: circa 8000 Euro per le opere in grande formato (circa 120x70) e dai 5 ai 3000 per quelle più piccole (60x40, 45x30). Non è davvero troppo per degli asfalti molto deja-vue?
[Vista il 28 Gennaio alla galleria ArteeArte in Bologna con Andres, Fabri, Lilia, Marco, Melly, Paolino...]
Voi ragni pelosi Voi tassi barbassi lumache bavose e gechi orbettini restate lontani dai nostri bambini. Voi bestie notturne amanti del buio Voi che non dormite se non al mattino vegliate sul sonno di questo bambino.
L'originale filastrocca shakespeariana suona invece più o meno così:
You spotted snakes with double tounge, Thorny hedgehogs, be not seen; Newts and blind-worms, do no wrong, Come not near our fairy queen.
Philomel, with melody, Singy in our sweet melody, Lulla, lulla, lullaby; lulla, lulla, lullaby; Never harm, nor spell, nor charm, Come our lovely lady nigh; So goodnight, with lullaby.
Weaving spiders, come not here; Hence you long-legg'd spinners, hence! Beetles black, approach not near; Worm nor snail, do no offence. II ii 9-23
Rischiando il linciaccio della SIAE, pubblico qui un piccolo estratto, campionato a bassa qualità in monofonia, dal CD che contiene la colonna sonora del bel film di Salvatores. Autore di queste musiche è il grande contrabassista Ezio Bosso, che con questi temi raggiunge i vari Morricone, Nyman, Newman e Astatke nell'olimpo dei grandi compositori di musiche adatte anche per film. Un gran bel CD, questo, che si trova anche on-line, ad esempio su Nannucci.it.
Adam Nadel è un giovane fotogiornalista dell'agenzia Polaris i cui progetti Portraits of Noncombatants e Rwanda Testimonies sono entrambi lavori eccellenti e molto convincenti. "La mia speranza è che questo progetto [Portraits of Noncombatants] fornisca un contrappunto alternativo per connettere lo spettatore, senza sensazionalismi o voyerismo, alle conseguenze delle guerre, creando un'opportunità per farne comprendere al pubblico gli effetti sugli individui." (Adam Nadel)
Martin Parr è uno dei migliori shooter istintivi al mondo: oltre che membro di Magnum Photos, è anche autore, fra le altre cose, di "Boring Postcards" e "Bliss: Postcards of Couples and Families". Nel suo intervento spiega come le comuni fotoricordo di famiglia rappresentino una qualche forma di propaganda, poi espone qualche sua opinione tecnica, e quali sono i suoi piani futuri. Infine pronostica la dismissione di Corbis e Getty a favore di flickr, e presenta quello che potrebbe essere il miglior business model per avere successo con la fotografia. Ma, soprattutto, ci ricorda di come sia terribile, piena di clichée sostanzialmente noiosa gran parte della fotografia amatoriale.
Una delle parti più sconcertanti è proprio quando Parr parla di un lavoro che il suo collega in Magnum PhotosBruce Davidson avrebbe perso in favore di Rebekka Guðleifsdóttir. Forse si riferisce a questo.
“All the boundaries are collapsing. One of the things that’s interesting about flickr, is that it’s probably emerged as the most intelligent photo-sharing site - it’s become the brand leader. And what will happen with flickr is that within five years it will start licensing pictures. In other words, they’ll be part of the Getty Corbis machinery…the agencies are concerned about this. It’s something we discuss at Magnum…”
“…within five years flickr will emerge as one of the major sources for licensing imagery…”
“…the other point about flickr, is I can’t tell you how bad the most of the pictures are. I mean, we see this in the site up there (at Musee de L’Elysee) the noise of this contemporary photography is relentless and ultimately, nullifyingly boring.”
“…we have this amazing interest, resurgence in photography, a renaissance, but boy do we have to wade through a lot of rubbish in order to get to anything half-decent.”
“…the best business model is to have fantastic pictures, that have a unique vision and say something different. And you get away from the turgid quantities of cliches and propaganda which we see not only surrounding our lives, but we also see in the exhibition here.”
“…I’m totally in favor of flickr. I haven’t spent enough time trawling through flickr to find the new stars who may be emerging on flickr itself…”
“… but the last thing I’m going to do - is looking at flickr for my stars of the future.”
“I come back to this individual voice in homogenized times. Connecting with a subject matter, doing it with passion, resolving a set of pictures, coming out with a personal statement - there’s always going to be room for that, because we still, whatever the process, whatever the method, we still need stories that touch us as human beings.”
Ovviamente lui ad un business model basato su flickr per i suoi lavori non ci crede. E' facile parlare a ruota libera senza approfondire alcunché, vero Martin?
Nel 1985 usciva una pellicola filmograficamente di qualità piuttosto mediocre, ma dai contenuti decisamente arguti ed ancora attuali. Era stata scritta e diretta da Luciano De Crescenzo, ed era tratta dall'omonimo romanzo del 1977 dell'autore napoletano: "Così parlò Bellavista". La scena più bella è forse poprio quella sull'infinita diatriba di cosa "è arte" e cosa "non è arte" in ambito moderno e contemporaneo. Così, partendo dalle attese dell'italo-argentino Lucio Fontana, per arrivare alla pop-art del day-by-day di Tom Wesselmann, l'autore napoletano ci fa ridere amaramente, ma di gusto:
Ecco lo scultore (pittore?) argentino Lucio Fontana ritratto durante una dei suoi innumerevoli soggiorni italiani con un'istantanea spettacolare da nientepopodimenochè Ugo Mulas:
Ecco la fine di uno dei film del gruppo di comici inglese Monty Python: Brian di Nazareth (1979), un film che in effetti è teologicamente più profondo di quanto si possa pensare a prima vista:
Paradossalmente Life of Brian è più fedele, dal punto di vista storico, a quello che realmente accadeva a quei tempi in Giudea di tutti gli altri film girati sulla vita di Cristo. Ad esempio, la presenza di decine di "presunti" messia è una realtà storica, ragion per cui non è blasfemia, ma al limite sarcasmo, mostrare una strada piena di aspiranti messia che raccontano le storie più fantasiose e mostrare che il passante poteva scegliere chi ascoltare. Anche le "Beatitudini" sono trattate in maniera razionalmente storica, infatti, come poteva una gran folla di persone ascoltare quello che Gesù diceva? Certamente, c'era qualcuno che "riportava" ai più lontani le parole di Cristo, magari non arrivava "Beati i panificatori" al posto di "Beati i pacificatori", come nella scena girata dai Monty Python, ma il problema dell'uditorio era reale. Vi è poi la scena in cui tra i seguaci di Brian avviene uno scisma e si creano il gruppo dei "zucchiani" e quello dei "sandaliani", ovviamente la divertente rappresentazione che viene fatta nel film è paradossale e parossistica, ma non era raro che la massa di allora, facilmente suggestionabile e piena di fanatismo si dividesse su questioni inutili capaci di farli distrarre dai veri problemi sociali del tempo.
Ad una lettura superficiale, il film appare come una serie di gag esilaranti e a volte sconclusionate (come ad esempio la scena in cui intervengono addirittura degli alieni a risolvere, quasi come un "Deus ex machina", una situazione altrimenti di difficile risoluzione); ma ad una lettura attenta e critica, si possono trovare numerosi spunti di riflessione sulla religione, la religiosità, la società moderna e la "società storica" di 2000 anni fa.
"Se provi a criticare un artista popolare come Spencer Tunick sei inevitabilmente accusato di snobberia, ma voglio chiarirlo subito: non credo che nessuno possa confondere il suo sensazionalismo per arte.
Tunick è appena riuscito a persuadere 18'000 persone a spogliarsi per lui a Città del Messico per l'ultima della serie di sue fotografie di nudi di massa in giro per il mondo. Bene, buon per lui. Ne avrà pubblicità, e i partecipanti sicuramente si son divertiti, e magari lo hanno pure trovato un atto terapeutico.
E allora? Il lavoro di Tunick non è arte, e nessuno che lo ha davvero cosiderato tale per un momento continuerà a sostenere che lo era davvero: non c'è un "pensiero" davvero interessante sotto il suo lavoro, nè si tratta di una sfida provocatoria a quello che rappresenta il mondo dell'arte. Le sue prodezze fotografiche si posizionano allo stesso livello di una scema campagna pubblicitaria: trovo davvero spregevole il modo in cui Tunick viene acclamato per qualcosa di così chiassosamente cinico.
[...]
Penso che molte persone segretamente odino l'arte. Non molto tempo fa era perfettamente rispettabile esprimere questo odio, almeno per l'arte moderna o contemporanea, ma oggi l'arte recita un ruolo così importante nella nostra cultura che tutti si sentono obbligati a creditarle servizio incondizionato... malgardo ciò l'ancestrale odio sopravvive sotto le ceneri..."
In effetti è vero, Spencer Tunick è molto chiassoso, è un po' come Christo senza averne la classe, ma, nonostante la sua sfacciataggine e la sottiliezza della sua visione del mondo, non mi dispiace il suo semplice messaggio di armonia fra l'uomo ed il suo paesaggio urbano.
Condivido invece in pieno la sentenza sul servilismo verso l'arte che pervade certi ambienti, e mi risuona addirittura un po' demagogico il restringerlo unicamente all'arte moderna (o contemporanea), quando invece risale alla notte dei tempi, alla irresolvibile questione della definizione dell'arte.
John Giorno (nato a New York nel 1936) è uno dei più noti poeti e performance artist dell'area sperimentale americana. Nel 1968 fondò il Giorno Poetry System Institute, una struttura destinata a promuovere lo sviluppo della comunicazione tra poeti e pubblico, e l'anno successivo avviò, presso il Modern Art Museum di New York ed in numerose altre sedi, un servizio denominato Dial-A-Poem, attraverso il quale, componendo alcuni numeri telefonici, era possibile ascoltare cinque minuti di poesia. Un'interessante iniziativa parallela a questa è stata Dial-A-Poem Poets, una vera e propria "rivista orale" costituita da una collana di dischi in vinile che presentava, tra l'altro, il meglio del panorama internazionale della poesia sonora.
Ha realizzato programmi radiofonici, pubblicato versi su scatole di fiammiferi, magliette, tendine da finestra, tavolette di cioccolata, ecc. Performer di notevole impatto sul pubblico per la sua presenza scenica e le sue qualit vocali, svolge anche attivit di attore. Nel 1963 ha lavorato nel film di Andy WarholSleep, ed ha collaborato anche con William Burroughs. E' anche un attivista a favore della lotta contro l'AIDS.
On a day when you're walking down the street and you see a hearse with a coffin, followed by a flower car and limos, you know the day is auspicious, your plans are going to be successful; but on a day when you see a bride and groom and wedding party, watch out, be careful, it might be a bad sign.
Just say no to family values, and don't quit your day job.
Drugs are sacred substances, and some drugs are very sacred substances, please praise them for somewhat liberating the mind.
Tobacco is a sacred substance to some, and even though you've stopped smoking, show a little respect.
Alcohol is totally great, let us celebrate the glorious qualities of booze, and I had a good time being with you.
Just do it, just do it just don't not do it, do it.
Christian Fundamentalists, and fundamentalists in general, are viruses, and they're killing us, multiplying and mutating, and they destroying us, now, you know, you got to give strong medicine to combat a virus.
Who's buying? good acid, I'm flying, slipping and sliding, slurping and slamming,
I'm sinking, dipping and dripping, and squirting inside you; never fast forward a cum shot; milk, milk, lemonade, round the corner where the chocolate's made; I love to see your face when you're suffering.
Do it with anybody you want, whatever you want, for as long as you want, any place, any place, when it's possible, and try to be safe; in a situation where you must abandon yourself completely beyond all concepts.
Just say no to family values.
We don't have to say No to family values, cause we never think about them; just do it, just make love and compassion.
"The Human condition in Crisis" è il titolo dell'ultima dura collezione antologica di immagini del fotogiornalista americano Stanley Greene. La si può visitare nell'interessante ORGANISMuseum, museo virtuale allestito con grafica 3d da organism media.
Il reportage, alle volte, richiede coraggio. Il coraggio di partire ma anche quello di tornare. Il coraggio di documentare ma anche quello di rispettare. Il coraggio di fermare in un'immagine il più fermo degli istanti, la morte. Le fotografie di Stanley narrano di un mondo scomodo, spesso volutamente celato. E del suo coraggio.. Un'esposizione composta da quaranta immagini alle quali si addice un unico aggettivo: vere. Dall'uragano Katrina all’ Iraq, da Haiti alla Cecenia, Stanley ferma per tutti noi ciò che il suo cuore vede e spesso ciò che vede è di una violenza disarmante, motivo per cui consigliamo la visione di questa mostra ad un pubblico adulto.
Il Museo Virtuale di ORGANISM è innanzitutto un'ottima idea, ed è poi ben realizzato, anche se è necessario installare il plugin 3d Life Player che permette la simulazione in grafica 3d degli ambienti di una galleria d'arte moderna.
"Non è pornografico, non è volgare. E' creare nuove forme con i nostri corpi" Spencer Tunick
Ottenuto il Bachelor of Arts nel 1988, il newyorkese Spencer Tunick cominciò a fotografare nudi nelle vie di New York nel 1992, ed è molto conosciuto proprio per le sue fotografie che ritraggono folti gruppi di persone nude in contesti urbani o paesaggistici insoliti, non solo negli Stati Uniti, ma anche in tutto il mondo. Le sue non sono semplici fotografie in posa, ma complesse installazioni con le quale Tunick, loro regista, vuole celebrare la bellezza artistica della pura nudità, al di là della taglia o del colore della pelle, quando ci si è spogliati di abiti e di pudore, e magari ci si è sdraiati sull’asfalto della nostra città.
"Generalmente lavoro alle prime ore dell'alba perché le persone sono più distese, meno violente, e poi non amo la luce piena del giorno, preferisco colori come il blu inchiostro o il grigio. Per le mie foto non capita mai che selezioni le persone in base a criteri di bellezza fisica, ritraggo solo chi me lo chiede espressamente" E così l’artista invade gli spazi metropolitani e naturali componendo strade, architetture e paesaggi di nudo umano. Nelle sue foto centinaia di corpi nudi, si costituiscono come parte del paesaggio. I nudi di Spencer Tunick non hanno niente a che fare con le rivendicazioni di ideali comunitari d'amore libero su modello Woodstockiano: la sua finalità è quella di restituire al corpo umano, nella sua imperfezione, la sua inalienabile dignità.
Le immagini scattate da Spencer Tunick raccontano di centinaia di centinaia di corpi che denudati perdono le loro differenze. Simmetrico, patinato, perfetto, è questo il corpo che la gran parte dei media c'impongono. Su questo stereotipo culturale riflette il lavoro di Tunick, immagini dove i corpi perdono, le loro caratteristiche corporali per acquisire quelle di forme astratte in un paesaggio metropolitano. Ma c’è anche qualcosa di più. Le sue foto descrivono paesaggi epici, antichissimi o forse di un futuro in cui sarà accaduto qualcosa di bellissimo o di terribile, ma comunque irreparabile. Da cui non si torna indietro.
Nel suo sito Tunick raccoglie le immagini archiviandole come "temporary site-related installations" e non si dilunga sulla "filosofia" che guida le sue composizioni: in poche righe riassume il suo punto di vista mentre, al contrario, racconta più dettagliatamente la battaglia legale affrontata per far valere il proprio diritto di esprimersi in base al primo emendamento della costituzione americana. Dopo anni di attività ha proseliti in tutto il mondo, ma ancora nessuno è riuscito a oscurare la sua fama e il formidabile attivismo. In cambio, il suoi modellli non chiedono assolutamente nulla: sono "volontari" chiamati attraverso la rete o con un passaparola in grado di solcare gli oceani pronti a posare in quel determinato luogo e a quell'ora, naturalmente senza nemmeno un braccialetto. Diventare "tunickomani" è facilissimo: è sufficiente indicare i propri dati nel form "sign to pose" ("firma per posare") e indicare la tonalità di colore della propria pelle. Quindi inviare. Spencer non richiede la "bella presenza", ma l'adesione al suo progetto che oggi si chiama "Naked World".
Esilarante, ironica, audace o impudente e triviale? Una nuova frontiera dell’arte figurativa o un’offesa al pubblico decoro? Oppure semplicemente un'altra storia di ordinaria follia? Non solo ai posteri l’ardua sentenza, se consideriamo che Spencer Tunick alla fine è uscito vincitore da tutte le battaglie legali e che le sue fotografie si sono guadagnate un posto in prima fila nei musei d’arte contemporanea. Nudi e crudi, come mamma ci ha fatto. Di tutte le taglie, di ogni colore. E' così che ci vuole Spencer Tunick, spogliati di abiti e di pudore magari sdraiati sull’asfalto delle nostre città. Ma il fine è nobile e sublime: la celebrazione della "bellezza artistica della pura nudità”. Una proposta troppo indecente? Dipende. Certamente sì per Rudolph Giuliani, ex sindaco di New York, che fece arrestare Tunick nel 1999 per aver fatto distendere 50 corpi nudi a Times Square. Assolutamente no per il governo del Canada che lo ha invitato come ospite d’onore, o in Russia dove lo stesso direttore di un grande museo ha posato senza veli, o in Australia e Spagna con le adesioni trionfali di 4500 e 7000 volontari con i glutei gioiosamente al vento. E' dal 1994 che Tunick realizza scene di nudo di massa e ritratti. E’ stato in tutti e sette i continenti, reclutando migliaia di volontari in oltre 50 città del mondo, da Montreal a San Pietroburgo, da Santiago del Cile a Parigi, da Barcellona a Basilea, da Buenos Aires a Londra, da New York a Roma. Definisce le sue opere artistiche “installazioni di nudo su larga scala”, una forma surreale di collage umano dove i tasselli sono i corpi spogliati e utilizzati come elementi di nuove forme. E così l’artista invade gli spazi metropolitani e naturali componendo strade, architetture e paesaggi di nudo umano. A Roma in Piazza Navona, a New York in Times Square e Central Park, in Nevada nel deserto. E ogni volta puntualmente fornisce materiale di disquisizione non solo a studiosi d’arte ma anche a psicologi sociali e ad ospiti di talk show. Vi è per caso venuta la voglia di partecipare al prossimo happening di nudo su larga scala? Potrebbe essere il vostro momento di gloria. Il modulo d’iscrizione è on line.
Proprio in questo week-end Spencer Tunick sta realizzando un'altra delle sue installazioni a Città del Messico. Sarà un altro record di presenze?
UPDATE 6 maggio 2007: Leggo su Repubblica.it che nella piazza principale di Città del Messico l'ultima installazione di Spencer Tunick ha superato il record precedente stabilito a Barcellona. Ecco alcune foto dell'evento che ha raccolto circa ventimila persone, così come sono state rimbalzate dalle agenzie di stampa:
Davvero splendide le luci, le inquadrature e le sfocature della Taranto e dei personaggi di questa tenera storia di provincia nelle riprese del bravo Paolo Carnera sotto la direzione di Edoardo Winspeare.
...quello del regista nato a Klagenfurt, ma che da sempre vive nel Salento, era sicuramente uno dei film più attesi. Winspeare conferma le sue doti di regista di talento e di profondo conoscitore della terra in cui vive e dalla quale trae ispirazioni e sentimento. Sensazioni tradotte con capacità nelle aeree visioni di insieme dei paesaggi e dei personaggi che si fondono in attraenti panorami. Sensazioni espresse nel gusto del dettaglio o nelle morbide carrellate che aprono scenari e si allargano fino a scoppiare in grandangoli chiarissimi e luminosissimi, così atipici nel cinema di casa nostra. Il tutto per riprendere una tipica città del nostro Meridione. Una città tanto sensuale nel suo cuore pulsante quanto brutale ai suoi confini epidermici, periferie di metano ed acciaio dove fumeggiano ostili le ciminiere. Stiamo parlando di Taranto, dove Winspeare ambienta la sua storia. Una storia, in verità, piccola piccola, che racconta di un miracolo che solo in alcuni luoghi del mondo può accadere.
Bambini sempre piu' saggi e adulti sempre piu' fragili in una Taranto insolita, valorizzata dalla suggestiva fotografia di Paolo Carnera. Edoardo Winspeare, anglo-tedesco di origini ma salentino di adozione, racconta, al ritmo di una pizzica contaminata da sonorita' orientali, l'incontro di due solitudini: Tonio, un bambino che dopo un incidente sente di avere acquisito il dono di guarire chi sta male e Cinzia, la problematica ragazza che lo ha investito con l'automobile. Il regista adotta uno stile asciutto, non si perde in fronzoli, evita facili leziosita' e costruisce personaggi in cui e' facile credere. Ad alcuni momenti riusciti (il rapporto tra il giovane protagonista e il suo buffo compagno di scuola, la caratterizzazione dei genitori) se ne alternano altri meno efficaci (il determinante primo incontro tra Tonio e Cinzia, che finisce per suonare un po' falso, la critica scontata alla televisione spazzatura) e dopo una prima parte compatta e coinvolgente il film sembra incartarsi, fino a un finale che non convince.
Non saprei come presentare questo concorso di street photography chiamato “HYPE“, che ha la giuria diretta nientepopodimeno che dal presidente della Magnum Photos Stuart Franklin. Sembra l'ennesimo modo furbo per la HP di raccogliere adepti qualificati, promettendo l'opportunità di esibire i loro lavori al rinomato foto festival Recontres d’Arles nel luglio 2007 ben stampati dalle loro ink-jet. Cosa presentare? Ecco i pleonastici loro consigli:
A spray-painted fence, a wall flaky with peeling stucco, a paper bag in the wind, a broken sign: strange, moving, disturbing, witty, banal, or anywhere in between.
Esistono altri significativi archivi on-line di street photography, ad esempio il sito in-public. Anche in questo caso però, la quantità supera di gran lunga la qualità. Sarà questo l'inevitabile trend al ribasso dell'user-generated contet?
Attenzione: la navigazione del sito Hype è sperimentale: intrigante, ma complessa.
Articolo/comunicato stampa sul concorso si trovano QUI.
[Letto ancora una volta sull'ottimo blog di street photography 2point8]
La superficialità e la chiassosità del fotografo americano David LaChapelle sono la sua vera forza. E' sempre così dichiaratamente e volutamente provocatorio che non gli si può dire nulla: lui, quando comunica, non parla, ma URLA. Ultimo vero baluardo della culura pop degli anni 70, è diventato uno dei più acclamati fotografi dello show-business. Nel suo sito però, soprattuto tra i portrait, ci sono fotografie che sono veri e propri capolavori di espressività, molte delle quali gli hanno guadagnato, oltre al successo commerciale, anche fama nel mondo della fotografia d'arte.
The Last Supper
LaChapelle è un fotografo, anzi è il fotografo, ha fotografato TUTTI. Se vi viene in mente il nome di una star dello show business, una QUALUNQUE, una che conti almeno qualcosa, state certi che lui l’ha fotografata, perchè se conti qualcosa nella torbida valle di Hollywood non puoi non avere una foto di David. E per David si intende proprio lui LaChapelle. Roba che Courtney Love dovrebbe baciare la terra su cui lui cammina e ringraziarlo a vita per le foto che le ha fatto a quella sciamannata con il mascara sempre sbavato, gli NSYNC dovrebbero genuflettersi per quella foto in cui hanno per la prima e probabilmente l’ultima volta nella loro vita uno spessore artistico. Perfino Tori Spelling sembra possedere un qualche tipo di fascino e di mistero.
Madonna
David, il cappellaio matto, il prestigiatore delle star, riesce a far apparire tutti stupendi e speciali in qualche modo. E’ riuscito a far sembrare le tette di Pamela Anderson giustificabili dal punto di vista artistico. E il bello è che lui non trasforma la persona che ha davanti, non la cambia, ma solo la ESPANDE, prende il lato migliore e lo esagera fino a farlo sembrare irresistibile per chiunque guardi, per lui, come per mia nonna quando cucina, niente è mai troppo.
Paris Hilton
Quando ero piccola mi raccontavano una favola su di un anello che se lo indossavi faceva innamorare tutti di te, ecco, secondo me David possiede quell’anello, ma invece di tenerselo solo per se, lo presta alla persona che deve fotografare, ma per poco, giusto il tempo dello scatto, poi possono continuare a fare la loto, banale, noiosa vita da star. I colori sono ovviamente saturi, si sparano diretti nel cervello, alla base del sistema nervoso di chi guarda. Se è eccessivo è lui. Se è colorato è lui. Se vi sembra pornografia di bassa lega e coi colori sbagliati è lui. Se vi sembra che qualcuno stia urlando mentre guardate una foto è sempre lui.
Angelina Jolie
L’espressione GENIO sembra essere stata coniata apposta per lui, ma nel senso di diavoletto, di genietto ‘platonico’ e malizioso, un Daemon, un Satiro che scorrazza nel dorato mondo di Hollywood, un Puck contemporaneo che sparge la polvere magica dello scandalo sugli occhi della gente.
Britney Spears
Ha girato video musicali, ha girato spot pubblicitari che voi vedete ogni giorno quando accendete la televisione, ha fatto le copertine di innumerevoli dischi che voi probabilmente possedete (Maria Carey spero di no), ha firmato le copertine di praticamente qualsiasi settimanale sia uscito negli ultimi dieci anni in ogni parte del mondo. Gael Garcia Bernal non sapeva di essere Gael Garcia Bernal prima di essere fotografato da LaChapelle, o pensavate che fosse tutto merito di quella motocicletta scarcassata che guidava? LaChapelle è intorno a voi e voi neanche ve ne accorgete, e ne avrete ancora e ancora finchè LaChapelle avrà vita.
Se ancora non vi basta, qualsiasi cosa si sia anche accidentalmente frapposta tra l’obbiettivo fotografico di quest’uomo e la realtà negli ultimi dieci anni è probabilmente arte. LaChapelle è America, è come uno di quei mega barattoli di maionese o di burro di arachidi che qui in Italia non esistono. LaChapelle è un Big Mac, ipercalorico, coloratissimo, grande, eccessivo, immangiabile.
Definire fotografia l'opera di LaChapelle è sicuramente una semplificazione, le sue sono immagini dove realtà, sogno e dissacrante surrealismo, si fondono in una rappresentazione che lascia sconcertati e affascinati. Nasce a Farmington Connecticut nel 1963, nel 1978 si trasferisce a New York cominciando la sua avventura artistica con Andy Warhol, per la rivista INTERVIEW fino al 1987, anno della scomparsa del grande artista. A 24 anni David è già una grande firma del fotogiornalismo con servizi per VOGUE, VANITY FAIR, THE FACE (fra le più importanti riviste di moda e costume). Nel 1996 vince il premio come fotografo dell'anno, inoltre il suo primo libro fotografico "LaChapelle Land" va a ruba, nel 1999 il secondo libro di immagini "Hotel LaChapelle" si conferma un best seller.
Pubblicità Motorola
Il genio creativo, esplode in tutta la sua virulenza espressiva, quando LaChapelle esce dagli angusti limiti del genere ritrattistico o giornalistico. Le sue creazioni falsamente astratte, anzi di un simbolismo deflagrante e volutamente blasfemo, sono il prodotto di una ricerca tanto lucida quanto visionaria. Si tratta di immagini pensate e costruite con senso del grottesco e dell'impossibile, in una miscela esplosiva di colori violenti, ironia, sensualità, oltraggio. Il tutto però non è gratuito, ma vuole essere una satira della vacuità, dell'edonismo, del vuoto apparire privo di contenuti del nostro tempo, ma senza drammatizzazioni e anzi con una visione divertita e disincantata. Quella di David LaChapelle è poi una ricerca di sperimentazione pura, essendo le sue opere frutto di elaborazione e fotoritocco digitale, dello stesso autore.
“Cerco il brutto nel bello e il bello nel kitsch. I miei scenari preferiti sono i McDonald's e le auto da poco, all'inizio oziavo in questi posti, ora li fotografo. Mi allontano deliberatamente dalla realtà di tutti i giorni, la vita è troppo triste. La comicità è una forma di bellezza: guardate John Belushi, lui era bello perché era buffo”
LaChapelle in fondo con la sua arte cerca il grottesco del quotidiano e il bello dove proprio non c'è.
Newspapers yesterday reported that in the UK the Advertising Standards Authority (ASA) said it had received dozens of complaints from people who objected to seeing the banner ads from the latest campaign by Domenico Dolce e Stefano Gabbana, since they are considered too violent for a general public: http://www.kataweb.it/multimedia/media/522278
Images from the 2006/2007 campaign are visible navigating through here: http://ita.dolcegabbana.it/dolcegabbana.asp (click slideshow). They are really boring modern reinterpretations of uninspiring classics from the 19th century, depicting murders and suicides. I don't actually know if those pictures were taken by the great photographer Steven Meisel based on directions from Domenico Dolce himself as the gay-friendly underwear campaign last year, but the overall concept of the 2007 campaign is far from being original, even though it has been perfectly and proficiently executed.
It is an undoubted fact that those dull artworks are hung at least all over Europe, but a public moaning of supposed violence incitation is reported only in the UK so far. Yes, those pictures possess their own visual coherence and an impact which fit them well inside their own series, but we are definitively not in face of such a memorable piece of creativity, if not because of that same censure attitude from Great Britain.
All this reminds me of a leading creative and second-rate photographer whose name is Oliviero Toscani. Less than ten years ago he stated his own decline by challenging the American way of thinking. Through his usual dull photographic style, he managed to obtain the final brave combination of social matters and pullovers by portraiting the human expressions of death sentenced men waiting their day in the death row (http://www.repubblica.it/online/societa/toscani/toscani/toscani.html). That campaign raised so many protests that some federal states sued Luciano Benetton in person, and even sensitive (or desperate?) housewives fell in love of the portraited jail-birds... Then, it was not censure but Luciano himself who immediately withdrew the ads, he surely hardly hit himself in his guts, and he finally understood that in order to continue to seriously affect the Italian economy he should have diversified his businesses. Thus he ended with buying Societ� Autostrade (the national motorway company)� now on sale.
I do sincerely hope that our dear D&G will have a brighter future, so they won't reinvent their business ruining, let's say, Trenitalia o Alitalia which is actually on sale now as well�
Sono passati quasi quarant'anni dalla costruzione di uno dei più orrendi mostri industriali italiani, il polo siderurgico/petrolchimico di Taranto (a lato, PHOTO DAVIDE Gazzotti), che ha causato direttamente ed indirettamente centinaia, anzi miliaia di vittime, quando finalmente qualcuno, per vendere un paio di copie in più (visto che ora tutto ciò fa audience come non succedeva 10 o 20 anni fa) sparge fiumi di inchiostro sull'argomento. "La Puglia dei Veleni" è il titolo dell'approfondimento di G. Riva su L'espresso ora in edicola.
Taranto è ultima per la classifica del 'Sole 24 Ore' in quanto ad ambiente. I 1.200 decessi annui per neoplasie la collocano nettamente sopra la media nazionale. Insomma c'erano tutti i motivi per dichiararla città ad alto rischio ambientale
In realtà, dopo le mille battaglie perse contro i signori dell'industria pesante e dell'energia italiani che disperdono nell'ambiente da Taranto a Brindisi tonnellate di sostanze cancerogene l'anno, il protocollo di Kyoto è forse rimasto l'ultimo spauracchio che potrebbe far cambiare le cose. Da L'espresso:
Primo, secondo e terzo posto, podio tutto pugliese nella classifica dei dodici impianti italiani che producono più anidride carbonica, responsabile dell'effetto serra e dunque del surriscaldamento del Pianeta. Nell'ordine: centrale termoelettrica Enel di Brindisi sud 15.340.000 tonnellate l'anno di CO2; Ilva di Taranto 11.070.000; centrali termoelettriche Edison di Taranto 10.000.000.
Io, che per storia personale la Puglia conosco ad amo, poco ho da aggiungere al tanto sbraitare, se non qualche sbiadito romantico ricordo d'infanzia in banco e nero, sperando sempre che non succeda, magari proprio con in carica un governo di sinistra, che il Protocollo di Kyoto venga disatteso legalmente da tutti perchè dichiarato inapplicabile per decreto.
Taranto fu una nobile capitale della Magna Grecia incastonata fra le acque, una città di laguna, una Venezia delle Puglie, con lo splendido borgo antico dietro il castello aragonese e il quartiere ottocentesco stretti fra Mare Piccolo e Mare Grande, che nell'ultimo secolo ha subito colossali invasioni barbariche. Prima l'Arsenale del Regno, poi la Base Navale, la prima nel Mediterraneo, quindi la Fabbrica. Ora la città non è più né bella né brutta. E' una tavolozza impazzita, un impasto violento di luce, acqua, cemento, fuoco e acciaio, con angoli d' incanto e squarci spaventosi.
Da ogni punto incombe l'ultimo grande paesaggio industriale d' Italia, la riserva indiana del fordismo. L'Ilva, ex Italsider, ora gruppo Riva, sovrasta la città, la domina con le sue ciminiere e si mangia ancora due terzi del gigantesco porto. E' il primo impianto siderurgico d' Europa, un dinosauro più grande di Mirafiori, tre volte più esteso di Taranto città, dieci milioni di tonnellate d' acciaio all'anno, duecentocinquanta chilometri di ferrovia interna, altiforni imponenti come dolmen, distese di tubi a perdita d' occhio. Da quarant' anni i tarantini la chiamano il Mostro. Da quarant' anni distribuisce vita e morte, e non è un modo di dire. Oggi ci lavorano quindicimila operai ed erano trentamila ai tempi dell'industria di Stato.
Nella sua storia si contano centottanta caduti sul lavoro, ottomila invalidi, dieci o forse ventimila morti di cancro e leucemie, dipende dalle stime. Il gioco dei bambini del rione Tamburi, a ridosso del Mostro, è svegliarsi e indovinare di quale colore è il cielo del mattino. Di rado è blu, a volte arancione o viola, più spesso di un rosso mattone, uguale a quello ormai incrostato ai tetti delle case e sulla strada del cimitero.
Da sola l'Ilva sputa nell'aria di Taranto il 10,2 per cento di tutto l'ossido di carbonio prodotto in Europa. Ma fino a dodici anni fa, in cambio di tanto dolore, la Fabbrica garantiva almeno il mito del "posto sicuro" nella cuccia calda dell'impresa di Stato. Nel '95 l'Ilva è stata privatizzata dal governo Dini, peraltro a un prezzo un po' troppo basso (1.700 miliardi di lire) ed è arrivato un padrone bresciano, Emilio Riva, ben deciso a imporre nella città-stato tarantina la legge del mercato, con le buone o con le cattive. Ma quasi sempre con le cattive.
In un decennio Riva ha mandato via la metà degli operai, spezzato le reni al sindacato, quadruplicato gli utili e collezionato una serie di processi e condanne, l'ultima di tre anni per mancate misure di sicurezza e inquinamento. E' rinviato a giudizio per una pessima storia di mobbing divenuta celebre, quella della "palazzina Laf", una specie di baracca dov' era rimasto confinato per mesi un pugno di sindacalisti ostinati, senza lavoro e senza una sedia o un tavolo. La privatizzazione dell'Ilva ha segnato lo spartiacque nella vita cittadina. Gli operai licenziati si sono messi a fare gli artigiani e a "coltivare il mare" da vecchi contadini mai diventati marinai. Ogni palo di cozze a Mare Piccolo è un ex operaio dell'Ilva. Le imprese dell'indotto siderurgico prima si sono rivolte fuori, verso il boom di Bari e del Salento, poi si sono spente, una dopo l'altra. Gli operai tarantini avevano costruito la piattaforma del ponte fra Danimarca e Svezia, ma anche la Belleli ha chiuso i battenti due anni fa.
"Senza più posto fisso, la città ha finito per attaccarsi alle ultime mammelle di Stato, la sanità e il Comune, fino a succhiare l'ultimo euro". E' l'analisi del presidente della Provincia, Giovanni Florido, ex sindacalista dell'Ilva e più probabile candidato del centrosinistra alla poltrona di futuro sindaco, nelle elezioni di primavera. Si è trattato di scegliere fra il fallimento della pubblica amministrazione e la bancarotta delle famiglie ed è andata com'era facile immaginare.
Ora la città aspetta che qualcuno faccia "il Miracolo". Ma come nel bellissimo film di Edoardo Winspeare girato nella città vecchia, è un miracolo che soltanto la volontà dei tarantini può compiere.
Era il 1936, e la fotografa amercana Dorothea Lange stava lavorando per uno dei progetti voluti dall'amministrazione di Franklin Delano Roosvelt al fine di verificare e documentare lo stato dell'economia rurale di un paese duramente provato dalla crisi economica seguito al crollo del 29.
In questo contesto la Lange scattò la sua fotografia più famosa e più sopravvalutata. D'altra parte, con questi progetti si stava segnando la nascita del fotoreportage, o fotografia documentaristica che dir si voglia... eravamo giustappunto nel 1936, e finalmente erano disponibili apparecchi trasportabili: era la prima volta che la macchina fotografica era vista come strumento di documentazione di importante valore sociale e politico, esattamente come affermato oltre 70 anni più tardi da James Natchwey nel suo discorso di accettazione del TED Prize 2007. Quello che forse passerà alla storia come l'orazione funebre della documentary photography.
Sono quasi certo che l'avete vista prima... si intitola Migrant Mother ed è una delle più famose fotografie americane. Quando scattò questa foto, Dorothea Lange si dimenticò di annotare il nome della donna (o altri dettagli utili al suo progetto di documentazione) così la sua identità rimase anonima anche se la foto si apprestava a diventare un simbolo della Grande Depressione.
"I wish she hadn't taken my picture. I can't get a penny out of it. [Lange] didn't ask my name. She said she wouldn't sell the pictures. She said she'd send me a copy. She never did."
Oltre a non aver registrato il nome della donna, la Lange ha anche sbagliato un'altra cosa: la Thompson e la sua famiglia non erano affatto i tipici migranti della Grande Depressione, ma erano stanziali in California da più di 10 anni. Come tutte le fotografie, Migrant Mother non è nè realtà nè finzione, piuttosto qualcosa di intermedio...
Dal 16 marzo è on air il nuovo spot Chanel per la promozione di un rossetto.
La regista Bettina Rheims ha voluto omaggiare lo stupendo film di Jean-Luc Godard “Il disprezzo” (1963), che aveva come protagonista Brigitte Bardot, oggi re-interpretata dalla modella svizzera Julie Ordon.
La scena “ricalcata” è quella d’apertura del film dove BB chiede, piccolina piccolina, al suo uomo (Michel Piccoli) se ama la sua bocca, le sue gambe...
E a seguire ecco proprio la scena di apertura originale da Le Mépris di Godard (audio in tedesco), dove la splendida fotografia di Raoul Coutard è molto più intima e toccante rispetto alla ruffiana sparata di "fanaloni" utilizzata per lo spot in stile molto fashion realizzato per Chanel:
Il direttore artistico di Chanel, Jacques Helleu, ha scelto proprio la Rheims perchè una delle più apprezzate fotografe di ritratto femminile, nonchè regista: sarà anche, come richiesto, riuscita a cogliere la femminilità e la sensualità senza alcuna volgarità, però lo ha fatto semplicemente citando senza pathos quella splendida scena del "disprezzo" di Jean-Luc Godard. Anche la musica è la stessa del film, composta da Georges Delerue.
Peccato, di Bettina Rheims avevo parlato soltanto bene sin'ora...
AGGIORNAMENTO: Chanel aveva già realizzato uno spot, questa volta filmograficamente stupefacente, citando un famoso film anche nella scorsa stagione. Allora era toccato a Nicole Kidman interpretare se stessa nella versione brandizzata da 30 secondi del Moulin Rouge! di Baz Luhrmann del 2001.
La misurabilità è paradossalmente il male di Internet
, allo stadio attuale. A questi numeri impressionanti non è possibile purtroppo contrapporre quanti lettori/telespettatori leggono/guardano riviste e televisioni a luci rosse in un dato momento o nell'arco di un mese, come è invece possibile con Internet.
Se fosse possibile fare queste misurazioni, chi ci dice che Internet si rivelerebbe invece un medium né più, né meno uguale agli altri, se non meno invaso dal porno? Tutto sommato ad Internet accede una popolazione decisamente inferiore a quella che può guardare tv o andare in edicola, no?
Ovvero l'evoluzione della percezione della propria bellezza... grazie alle moderne tecniche di produzione d'immagine, dal trucco al ritocco finale. Encomiabile l'iniziativa, pur di una fondazione sponsorizzata, che ha il fine di educare i giovanissimi (e le giovanissime) al valore relativo della bellezza, rispetto ai modelli propugnati come assoluti dai media.
Sdoganata anche dalle corti di giustizia, la popolare espressione "vaffanculo" non è più da considerarsi offensiva, e il "V-day" è uscito dal blog di Beppe Grillo e dal web per esplodere nelle piazze italiane, con decine di migliaia di fan in carne ed ossa con le dita della mano messe a "V". Semplici cittadini che avrebbero la sacrosanta e semplice esigenza di vivere in un "un paese più pulito" e che in due mesi hanno organizzato l'evento del V-day partendo dal basso, partendo dal web.
L'iniziativa, in un pericoloso bilico fra populismo e politica, fra demagogia e spettacolo, è stata lanciata il 26 giugno a Bruxelles davanti al Parlamento europeo, e in pochissime ore ha raccolto più di 300 mila firme per una legge che faccia uscire dal Parlamento i 25 deputati condannati in via definitiva, e più in generale impedisca l'ingresso e la permanenza quasi a vita in Parlamento di politici di professione che autoreferenzialmente rappresentano solo la casta di cui fanno parte. Il V-day organizzato da Grillo è la dimostrazione che oggi esiste, e ha una sua forma fisica, il partito dell'antipolitica: persone comuni, per lo più giovani, che invadendo Bologna (e altre decine di piazze italiane e straniere) lanciano un segnale importante di disagio sociale.
Beppe Grillo compare sornione come solito verso le quattro e mezzo, si dà un'occhiata intorno e dice: "Questa è una nuova Woodstock, la Woodstock della gente per bene". Poi snocciola uno per uno i nomi dei 25 deputati "da cacciare immediatamente da Camera e Senato", ed è un trionfo.
Il filo conduttore degli interventi di Grillo è: un paese più pulito, la politica che "deve tornare in mano ai cittadini e non ai segretari di partito", la ricerca di energie compatibili, "la necessità di aprire il tombino e fare uscire la puzza". L'ambiente e l'abolizione dei privilegi della classe politica, soprattutto.
Sul palco si alternano artisti come Ligabue, Alessandro Bergonzoni e Biagio Antoniacci che gli dicono: "Non fermarti". E giornalisti come Massimo Fini e Marco Travaglio a fornire importanti informazioni che non possono circolare sui media mainstream. Ma ci sono anche interventi tragi-comici come quello della brava Sabina Guzzanti. Lo appoggiano, a distanza, i ministri Di Pietro (che ha già presentato una legge simile a quella che chiede il popolo di Grillo) e Alfonso Pecoraro Scanio che ha messo a disposizione EcoTV per la diretta da piazza Maggiore: l'unico canale televisivo che trasmette l'evento arrivato fin qui, va detto, nella quasi totale indifferenza dei mezzi di comunicazione.
A margine, la polemica dell'assessore cittadino agli Affari istituzionali, l'ex magistrato Libero Mancuso: "Ho lasciato la piazza perché hanno insultato il nome e la memoria di Marco Biagi e di altri esponenti politici". La verità è invece che è stata fischiata, assieme la video che segue, la legge che porta il nome di una vittima innocente del terrorismo, non certo la memoria di un uomo che ha tragicamente pagato con la vita le sue sacrosante opinioni e le sue apprezzabili attività di giuslavorista. Ma è facile strumentalizzare certe situazioni per prendere subito le distanze da un evento forse troppo scomodo...
O vogliono dirci che non si può fischiare una legge sbagliata per l'Italia dell'inizio del terzo millennio solo perchè il suo autore è stato barbaramente ucciso in un omicidio di stato?
Alla fine Grillo parla di "evento straordinario". Il ministro "per l'attuazione del programma" Giulio Santagata lo accusa: "sta organizzando un suo partito, una sua lista?" La risposta di Grillo è secca: "Non hanno capito niente. I partiti sono incrostazioni della democrazia. Bisogna dare spazio ai cittadini. Alle liste civiche. Ai movimenti. Viviamo in partitocrazia, non in democrazia" "Eppoi a che serve il 'ministero per l'attuazione del programma'? Metteteci una segretaria e risparmiateci questi inspiegabili sprechi...".
Almeno due dei tre punti in oggetto (negare ai condannati il diritto di rappresentare il popolo, impedire alle segreterie dei partiti di nominare di straforo i candidati senza passare attraverso il vaglio degli elettori) sono molto difficilmente liquidabili come "qualunquisti". Esprimono, al contrario, un'insofferenza per larga parte condivisibile e condivisa da milioni di italiani, molti dei quali (senza bisogno di vaffanculo) hanno appena fatto la coda per il referendum Segni contro questa indecorosa legge elettorale proprio perché non sopportano più il piglio castale e l'autoreferenzialità malata delle varie leadership di partito. E chiedono la partecipazione diretta dei cittadini alla scelta della propria classe dirigente.
Non stiamo a discutere la indicibile vergogna dei Centri di Permanenza Temporanea, veri e propri lager della porta accanto (leggi l’articolo
"La vergogna dei CPT, i nuovi lager italiani"
scritto da
Valerio Evangelisti
per
Carmilla Online e trovato tramite
Antonella Beccaria), ma piuttosto la mancanza di coordinazione e dialogo fra la sinistra (quella vera, quella che ora vogliono distingure in "radicale") e quella specie di grande centro in cui si è trasformata la reggenza governativa di
monsier
Romano Prodi.
Una sacrosanta manifestazione, che avrebbe semplicemente voluto portare alla ribalta ciò che accade all'interno dei CPT e di tutte le struttura analoghe presenti non solo in Italia, assume fin troppo facilmente posizioni che vanno al di là della "imbarazzata" linea di governo. Ma questa volta, ad una settimana dal misfatto dei ministri a Vicenza, e della conseguente caduta presidenziale, l'intera compagine governativa non si presenta, e la sinistra radicale dei nomi noti della cultura e dello spettacolo appoggia a parole, ma diserta nei fatti la manifestazione. Tanto, chissenefrega, quelli dentro i CPT mica votano o comprano dischi...
BOLOGNA, 3 MARZO 2007 - PHOTO DAVIDE Gazzotti
Imperdibile la parata per le strade di Bologna di una acerba gioventù (10000 per gli organizzatori, molti meno purtroppo in realtà) che è partita da un centro cittadino tutto indaffarato nell'immancabile shopping del sabato pomeriggio. Da analizzare separatamente invece, la pressochè totale mancanza di cittadini di origine straniera alla manifestazione.
I pochissimi soliti noti(?) lanciasassi non hanno poi evitato di aizzare all'assalto finale al muro vietato del CPT di via Mattei. Peccato per i 5 feriti e i 7 più facinorosi fermati dalla polizia, a cui non è riuscito di conquistare la ribalta nè della prima pagina di Repubblica.it nè di Corriere.it fra sabato e domenica. D'altra parte era il week-end di Sanremo! E d'altra parte, monsier Prodi, mentre quei quattro scalmanati tiravano sassi per una giusta causa, lo hanno visto sfilare fra le vetrine della zona più esclusiva del centro di Bologna, contorniato dal suo ormai enorme stuolo di accompagnatori, magari anche lui in preda al tipico shopping compulsivo da annoiato sabato pomeriggio centraiolo...
Proprio in concomitanza con la tanto sbandierata demagogica commemorazione del movimento del 77 (e delle sue vittime), sembra in realtà che sia cambiata un'epoca nella sinistra in questi 30 anni... ...ma se il sasso che lanci finisce in questa indifferenza pressochè totale, che senso ha continuare a tirarlo? Cosa si dovebbe fare invece? Bastasse urlare dai blog...
E' giovane, è brava, ed ha un occhio particolare per l'universo femminile, ponendo le sue opere a cavallo fra ritrattistica, sperimentazione ed arte concettuale. Maud Fiori, francese di nascita ed estrazione, ma universale nel linguaggio visuale: le sue elaborazioni restituiscono un universo femminile frazionato fra estetica e consapevolezza, fra bellezza e razionalità...
Fate anche voi una visita al suo sito, così aumentate i contatori, l'autostima, ed il valore virtuale di una visione unica...
E' difficile riuscire a risultare originali sempre e comunque. Vale per tutti: per gli artisti, i fotografi, i creativi di ogni genere, ed anche per le migliori agenzie pubblicitarie al mondo. Anche volendo tralasciare l'analisi di un concept fin troppo semplice ed esplicito, constatiamo la realizzazione mediante lo stesso visual per tre motociclette diverse, da parte di tre grandi agenzie multinazionali diverse, in tempi non troppo diversi: la pubblicità realizzata per Aprilia dalla Bcube italiana, quella realizzata per Honda da Ogilvy (2004, Guatemala) e quella della TVS Motors realizzata da Saatchi&Saatchi (2004, India) condividono molto, forse troppo.
Niente di male, ovviamente, ma chiss se il committente davvero al corrente che spesso strapaga ai soliti noti nient'altro che il riciclo della solita idea?
Vengono davvero le vertigini a visualizzare quanta distanza intercorre fra il futurismo ed il web. A quanta arte, on- oppure off-media poi in fondo la cosa è opinabile, è trascorsa negli ultimi cento anni. E nella mostra inaugurale del nuovissimo "Museo di Arte Moderna di Bologna" (che qualcuno ha purtroppo abbreviato in uno sputtanato"MAMbo"), è lo spazio espositivo stesso, per la precisione la sua sala principale, il vero pezzo forte. Anche se a qualcuno potrebbe non piacere, è davvero affascinante riuscire a mescolare il contenuto con il contenitore, le opere col loro museo, così bene che in questo caso è l'avvincente allestimento a far passare in secondo piano la raccolta stessa.
Il roboante titolo promette quello che sarebbe stato difficile mantenere, o trasmettere, unicamente realizzando un'antologia ragionata del vertiginoso spazio artistico che collega un intero secolo di storia della creativit . Così, la gestione di Gianfranco Maraniello dell'arte moderna bolognese è riuscita a sfornare una performance davvero lodevole in tutt'altro modo. Lodevole a cominciare dalla ruffiana grafica a stencil del logo dal sapore futuristico, alla raffinata eleganza dell'invito in prezioso cartoncino plastificato; da qualche rara simpatica incertezza organizzativa, alle inservienti che si sono fatte in quattro per permettere ai migliaia di Bolognesi e non che si sono accalcati allìingresso di riuscire ad accedere alla mostra; dalla lineare collezione antologica al ruffiano accostamento con gli strumenti tecnici della comunicazione, dal grammofono all'iPod, dal telegrafo al cellulare...
Biglietto d'Invito
Folla all'ingresso alle ore 19. Stampa e VIP avevano in buona parte gi concluso la loro visita.
La vera grande emozione che regala VERTIGO risiede nell'installazione, nella navata principale di questo ex- forno del pane, di una sequenza di instabili architravi realizzate mediante gonfiabili. Archi che fanno da ponte fra i due secoli percorsi nella mostra, travi che sostengono il concetto stesso di museo, ma instabili perchè in continua ridefinizione sotto l'effetto dei media, incarnati dalle videoproiezioni gettate su di essi. E' dall'altezza di questi tremolanti areostati che si prova la vertigine di vivere un intero secolo di arte sempre contemporanea.
Il contenitore supera il contenuto antologico comunque di pregio, inevitabilmente incompleto anche se impreziosito dai molti nomi altisonanti (Duchamp, Burri, Man Ray, ...). Il museo si mescola alle sue opere d'arte in un incesto concettuale davvero fruttuoso.
Gunther Ueker - TV auf Tisch, 1963
Julian Schnabel - Martine, 1987
Matthew Barney - Creamaster1: The goodyear Waltz, 1995
Alcuni mezzi di comunicazione in mostra
Il lato romantico della sala a luci rosse
Shirin Neshat (in fondo al corridoio)
Anche se forse solo un terzo dei 9500 metri quadrati di spazio espositivo ricavato in questo ex- forno del pane sono gi sfruttati ed accessibili, anche se non c'è ancora traccia della collezione permanente che era della GAM ora dismessa, vale davvero la visita. Anche se si sono gi viste altrove buona parte delle opere o degli autori esposti, ed anche se si sono utilizzati negli anni buona parte degli strumenti di produzione artistica e comunicazione messi in vetrina.
Bologna meritava davvero uno spazio espositivo come questo. La precedente Galleria d'Arte Moderna (col più serio acronimo di GAM), era uno spazio annesso al palazzo dei congressi adiacente alla Fiera di Bologna. La bella realizzazione dell'architetto bolognese Leone Pancaldi, inaugurata nel maggio di 32 anni fa, e dismessa con la personale di Christopher Williams a inizio anno, è una preziosa testimonianza di architettura moderna, ma era diventata inadeguata alla crescita di un tale museo per una citt come Bologna. Inoltre, la posizione decentrata non ne facilitava l'accesso, anche se, per la regola del contrappasso, in questa nuova ubicazione a due passi dal pieno centro, sono i posti auto disponibili a difettare irrimediabilmente.
UPDATE 11 Maggio 2007: Dalla discussione seguita all'interessante "E allora MAMbo!!!" di lasima sullo "spettro" di Bologna, si scopre che lo spazio espositivo allestito al momento per VERTIGO (a parte un paio di sale vuote visibilmente transennate) è tutto lo spazio disponibile al MAMbo, quindi ora la collezione permanente si trova stivata nel magazzino del MAMbo, così come succedeva alla GAM quando veniva disallestita, inscatolata e stivata nel magazzino al piano terra. Ma:
- La GAM era 3200mq circa - Il MAMbo è 9500 mq circa
Malgrado ciò, il MAMbo, proprio come la GAM, non è in grado di esporre l'intera collezione permanente assieme ad una esposizione temporanea, quindi le opere stabili saranno esposte tra l'alternarsi di una mostra e l'altra, come riempitivo, e si costringono i curatori e gli allestitori ad un infinito ed inutile smonta e rimonta continuo, contemporaneamente privando il visistatore occasionale del patrimonio costituito dalle preziose acquisizioni operate dall'istituto.
Tanti metri quadri allora per cosa? Nei 9500 grandiosi metri quadrati ci sono anche gli enormi ingressi, gli scaloni inutili e i corridoi da macelleria...
Duane Michals è stato uno dei fotografi più innovativi ed influenti quando la fotografia, negli anni 60, era ancora dominata dagli stili documetaristico e ritrattistico dei vari Ansel Adams, Robert Frank, Irvin Penn, o, al limite, di Richard Avedon. Michals, invece, esplorava il medium fotografia con senso di libertà e sperimentazione, introducendo sequenze narrative di immagini per parlare di tematiche quali il desiderio, il tempo, la giovinezza o la morte. Ma non si considerava, nè si considera tuttora, un vero artista, non si autodefinisce un radicale. Il suo nuovo libro "Foto Follies: How Photography Lost Its Virginity on the Way to the Bank" è una graffiante satira del mondo della fotografia trainato dai soldi, sia si tratti di arte concettuale, che di fotografia commerciale. Al confronto con un libro fotografico tradizionale, si tratta di un antologico e godevole "libretto". Su photo-eye trovo scritto:
Di questo sguardo satirico sulla fotografia contemporanea, Duane Michals ha detto: "Più sei serio, più sciocco devi essere. Io ho una grande capacità per le sciocchezze. Ciò è essenziale." Sia che stia parodiando Wolfgang Tillmans o Andres Serrano, Sherrie Levine ("Una fotografia di Duane Michals di una fotografia di Sherrie Levine di una fotografia di Walker Evans") o Cindy Sherman ("Chi è Sydney Sherman?"), Michals usa la sua feroce arguzia e il suo buon occhio per creare immagini che risultano contemporaneamente umoristiche e profonde. Michals prende di mira i pregiudizi spesso percepiti come deliberatamente apposti per oscurare l'arte contemporanea, e nel fare ciò dimostra bravura sia nel campo visuale che con la parola scritta, riuscendo sempre ad produrre il piacere ancestrale di una buona risata.
SELF PORTRAIT - PHOTO DUANE MICHALS
"SYNCHRONICITY" ALBUM COVER (THE POLICE, 1983) - PHOTO DUANE MICHALS
Poi ho incrociato questo post su una presentazione di questo "mostro sacro" alla libreria Strand di New York - suThe View from the Edge of the Universe - e non ho resistito dal riportare alcune citazioni di Michals che, a 75 anni, dice pane al pane e vino al vino:
"I've always relied on the kindness of ideas"
"Everything you think makes sense doesn't. Get out of the fuckin' box."
"My gift to you is that I'm not you"
"As long as you believe in consensus reality, you will never experience true reality"
"What a cheap joint, I have to do my own slides" .... and .... "Jesus, what do I have to do to get fucked around here"
"You are the alpha, the omega. You are the event"
"You affect what you see through the participation of your observations"
"Have you ever thought about the not-nowness of now?"
"I love to photograph what cannot be seen"
"Reality is not a set of observable facts walking down the street."
"Photography is not about looking, its about feeling"
"Can you imagine defining your life so narrowly that Nirvana is sex with 72 virgins"
"Someone just paid $3 million for a Gursky. $2.5 million I can see, but 3?"
Nell'ambito della rinnovata verve della più nota agenzia di fotografi del mondo, la Magnum Photos, si colloca il progetto del sub-portale MagnumInMotion che pubblica interessanti produzioni audiovisive. Non potevano mancare documentari sui più imporanti fotografi della Magnum contemporanei, e, tanto per cominciare bene, segnalo il film su Steve McCurry, di cui avevo parlato in occasione della sua personale alla galleria ModenArt quest'inverno. E' davvero interessante rivedere il lavoro di una persona come Steve, commentato dalle sue stesse parole. Il vido-essay è incentrato sul più recente progetto di Steve McCurry riguardante il Tibet e il Buddhismo più in generale: "Non sono credente, ma se dovessi essere qualcosa, molto probabilmente sarei Buddhista".
Questa volta Oliviero Toscani ce l'ha contro la piaga dell'anoressia, e sfrutta superficialmente questo tema per promozionare Nolita, un brand per bambini fighetti. L'inventore del "pubblicizzare i maglioni con campagne (pseudo-)sociali" pubblica la sua ennesima campagna chock realizzata fotografando, come al solito in modo semplice e scontato, una magrissima modella anoressica, ritratta nuda. E' francese e si chiama Isabelle Caro, e da diversi anni è afflitta da una grave forma di anoressia che l'ha portata a pesare poco più di trenta chili. Fabiola De Clerq, presidente di Aba (Associazione per lo studio e la ricerca sull'anoressia, la bulimia e l'obesità): "L'utilizzo di questa immagine è suscettibile di indurre fenomeni di emulazione e non aiuta certo i diretti interessati né le loro famiglie: si accendono i riflettori e poi si spengono, e le famiglie si vedono sbattere le porte in faccia dai grandi ospedali".
Almeno il buon Oliviero sembra aver ritrovato la sua strada; quella che lo ha reso celebre e che sembrava aver perso negli ultimi tempi.
Folla per Vertigo, mostra di inaugurazione del MAMbo - Museo di Arte Moderna di Bologna - http://www.davideGazzotti.com/dblog/articolo.asp?articolo=116 ...
Ritratto del pittore Gioacchino Loporchio alla galleria RestArt a Bologna - Guarda anche la fotografia: http://www.davideGazzotti.com/dblog/fotografia.asp?fotografia=121 ...
Ritratto del pittore Gioacchino Loporchio alla galleria RestArt a Bologna - Guarda anche la fotografia: http://www.davideGazzotti.com/dblog/fotografia.asp?fotografia=122 ...
Ritratto del pittore Gioacchino Loporchio alla galleria RestArt a Bologna - Guarda anche la fotografia: http://www.davideGazzotti.com/dblog/fotografia.asp?fotografia=121 ...
Architravi gonfiabili sono l'installazione più emozionante di Vertigo, mostra di inaugurazione del MAMbo - Museo di Arte Moderna di Bologna - http://www.davideGazzotti.com/dblog/articolo.asp?articolo=116 ...
Lorenzo Pondrelli alla galleria Tamatete dopo aver vinto il Festival Iceberg 2007 per la Fotografia di Reportage - Leggi anche: http://www.davideGazzotti.com/dblog/articolo.asp?articolo=110 ...
Lorenzo Pondrelli alla galleria Tamatete dopo aver vinto il Festival Iceberg 2007 per la Fotografia di Reportage - Leggi anche: http://www.davideGazzotti.com/dblog/articolo.asp?articolo=110 ...
"Vergogna industriale" - Il polo siderurgico/petrolchimico di Taranto, che si estende per i 3/5 della superficie comunale, visto dal ponte girevole orientati verso il Mar Piccolo - http://www.davideGazzotti.com/dblog/articolo.asp?articolo=75 ...
D'interessante c'è che, secondo gli astronomi moderni, lo spazio è finito. E' un pensiero confortante, specie per chi non ricorda mai dove ha lasciato gli occhiali.
Avviso Questo blog non rappresenta una testata di nessun tipo, tanto meno giornalistica, in quanto viene aggiornato in modo scostante e discontinuo, come il suo autore.
Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale (e non potrebbe neanche fosse periodico) ai sensi della legge n.62 del 7.03.2001.
Watching Mostly French and Danish productions, all Stanley Kubrick's filmography, Wim Wenders, Woody Allen, Roman Polanski, Godard, Truffaut, Jim Jarmusch, Ken Loach, Kieslowsky...