Dopo l'antologica VERTIGOinaugurale, il MAMbodedica lo spazio espositivo a una raccolta di opere egoriferitamente dedicate alla concezione dello spazio espositivo, del museo d’arte contemporanea, tramite l'arte contemporanea. Dimenticata la ressa di inizio maggio, sabato 1 dicembre solo veri appassionati, studenti e addetti del settore si ritrovano all 17 per godere comodamente delle 4 installazioni a tema, espressamente concepite o specificamente riallestite per il MAMbo.
All’ingresso la gradita sorpresa romanticamente pop di Adam Chodzko: "M-path and Hole" è un concept di facile effetto sul mettersi, tramite l’arte, nei panni di un altro. Entrando nel museo il visitatore è invitato a scambiare le proprie scarpe con quelle di un ignaro abitante di un quartiere periferico cittadino che le ha appositamente lasciate all’artista.
Adam Chodzko: "M-path and Hole"
Adam Chodzko: "M-path and Hole"
Troppo sottile il concetto della “mossa del cavallo” e davvero troppo banale la realizzazione di Eva Marisaldi. “Jumps” tradisce la metamorfosi emotiva di una donna che diventa madre più che delineare percorsi di scoperta attraverso l’esposizione di ostacoli a misura di pargoletto.
Diego Perrone: “La mamma di Boccioni in ambulanza e la fusione della campana”
Interessante l’”Already Vanishing” di Bojan Šarcevic che sfrutta la singolare contrapposizione fra geometrie architettoniche e carne appena macellata per ibridizzare il film a 16mm con la scultura Moderna. Davvero pregevole l’allestimento curato da Andrea Viliani su precise indicazioni del giovane artista.
In sordina oggi ha inaugurato anche la biblioteca del MAMbo, che offre dalle10 alle 17.30 (domeniche e lunedì esclusi) accesso a tutti i più importanti cataloghi in possesso del museo d'arte contemporanea bolognese. Simpatica la realizzazione (edizione Skira/MAMbo)dei quattro mini-cataloghi per le installazioni di Chodzko-Marisaldi-Perrone-Sarcevic per questa Step2, e bello anche format e realizzazione grafica. Peccato solo il prezzo: 20 Euro ognuno, ovvero 80 Euro per la serie dei 4 mini-cataloghi che a stento sostituiscono un vero e proprio catalogo di alto livello di una grande esposizione. 15 Euro erano più che sufficienti...
Esattamente trent'anni fa usciva un disco memorabile. Non stiamo parlando dell'elettronico Trans-Europa-Express dei Kraftwerk, o del melodico Hotel California degli Eagles, e neanche di Animals dei Pink Floyd. Non di Love you live degli Stones o del per altro noioso Before and after science di Brian Eno. Belle cose in hit parade nel 1977, eh? No, è dello start-up della New Wave che stiamo parlando, di quel fertile periodo che ha rivoluzionato la musica rock per portala fino al nuovo millennio. Due sono le pubblicazioni che rappresentano le spinte post-lisergiche più importanti di quell'iniziale periodo post-punk: il successo di 77 dei Talking Heads e la spinta di The Modern Dance dei Pere Ubu. I primi mio amore fin da piccolo, mentre i Pere Ubu li ho ascoltati per la prima volta in vita mia questa sera. Buon trentesimo compleanno Pere Ubu!
Difficile spiegare cosa passasse per la loro testa prima che entrassero negli studi per registrare una delle più grandi opere musicali di tutti i tempi. So però con certezza che al primo ascolto si intravedeva da un lato tutta la rabbia e l'ebbrezza del garage degli anni '60, condito con spezie beefheartiane e con un pizzico di Red Crayola, musica free-form, avanguardia e teatro dell'assurdo. E si riusciva, di scorcio, anche a leggere tra i versi di Thomas l'apocalisse e la sua bellezza tragica. C'era un non so che di altro tra i solchi, ma nell'ineffabilità del momento estetico il tutto svaniva per far posto a un silenzio di fondo, dove riposano i nostri abissi più intimi e inaccessibili. Questa è musica che merita un ascolto attento e devoto, insomma. Musica totale, nel senso che allora come oggi, più che un semplice disco, The Modern Dance è un vero è proprio saggio sulla decadenza del nostro tempo, un poema sulla distanza spirituale che ci separa dal mondo e dall' estasi eternizzante dell'"Aperto" rilkiano. In 36 minuti e 20 secondi, i Pere Ubu riuscirono a condensare l'essenza di un'epoca pregna di nichilismo, devoluzione, irrazionalismo, meccanizzazione e paura.
E alla fine del 2006, col loro Why I hate women, i Pere Ubu hanno rinverdito la loro danza Moderna. Rubo 30 secondi per pubblicarli qui, ma visitate un negozio di dischi per ascoltarli: ne vale davvero la pena
La prima personale in un museo italiano di Christopher Williams (Los Angeles, 1956) celebra anche la chiusura della vecchia sede della Galleria d’Arte Moderna di Bologna (1975-2007). Concepita come l’ultima mostra da tenere in questo spazio espositivo, l’intervento di Williams costituisce un progetto che collega il layout della mostra con la sua cornice rappresentata dall’architettura della stessa costruzione e dai suoi tre decenni di mostre: questa è la prima (ed ultima) volta in 15 anni che il visitatore ha accesso al museo dal suo ingresso originario, così riscopre gli itinerari e la disposizione delle masse (e della luce) come erano al tempo in cui il museo fu aperto (1° maggio 1975). E questa, secondo me, è decisamente la parte migliore della visita.
Christopher Williams, Kiev 88, 4.6 Ibs. (2.1 Kg) Manufacturer: Zavod Arsenal Factory, Kiev, Ukraine. Date of production: 1983-87 Douglas M. Parker Studio, Glendale, California. March 28, 2003 (NR. 1, 2, 3)
Il lavoro artistico di Williams si posizione in un punto di incontro ideale fra l’Arte Concettuale degli anni ’60 e ’70, preoccupata di decostruire criticamente gli strumenti e il contesto dell’azione artistica, e il recupero di strategie neo-concettuali tipico delle recenti generazioni di artisti che hanno cominciato ad emergere all’inizio degli anni ’90. Questa è la definizione accademica del suo lavoro, ma costituisce anche l’imperdonabile limite di questa mostra piuttosto piatta: appesa fra concetti decontestualizzati e estetismi architetturali, ogni singolo suo elemento è solo un altro noioso passo verso l’intero assieme, ovvero una camminata integralmente noiosa fra gli altrimenti mozzafiato corridoi progettati originariamente dal grande architetto Leone Pancaldi.
Davide Gazzotti - I corridoi della Galleria D'Arte Moderna di Bologna - Gennaio 2007
[Visitata alla GAM di Bologna con Alessia, Angela, Eva and Francesca on January 25th 2007]
Oggi ho trovato per caso un'intervista-lampo dell'artista americano Chuck Close pubblicata sul Guardian mesi fa, accompagnata da alcuni minuscoli ritratti mozzafiato. Si tratta di immagini che, pur nella loro forma fotograficamente non innovativa, risultano violente e d'effetto, sornione ed impietose al contempo, come se l'autore avesse voluto farci anche solo per un attimo com-patire la vita di chi, come lui, è stato toccato dalla grande irreversibile sfortuna di rimanere paralizzato.
PHOTO CHUCK CLOSE
Tecnicamente si tratta di dagherrotipi di formato medio-piccolo, ma non è la tecnica antiModerna che colpisce, sono gli occhi, gli sguardi, compiaciuti o terrorizzati come nel ritratto della irriconoscibile quando struccata Kate Moss. Si può davvero affermare dire che, pur con tecniche diverse, la grandezza nella lunga carriera artistica di Chuck Close stia proprio nel riprodurre le espressioni nei ritratti.
Sostiene Chuck "non sono interessato nei dagherrotipi perchè si tratta di un processo antico; mi piacciono perchè, dal mio punto di vista, la fotografia non ha mai ottenuto niente di meglio da quello che era nel 1840". Piuttosto discutibile la sentenza di Chuck, ma noi lo possiamo perdonare ugualmente, anche solo per questi semplici ritratti che seguono: nessuno avrebbe potuto realizzarli nel 1840. Non certo perchè non c'erano i mezzi (sono gli stessi utilizzati da Close in queste immagini che risalgono al 2003), ma piuttosto perchè mancava tutta la cultura dell'immagine che si sarebbe creata solo con l'inevitabile susseguirsi della storia successiva...
Una fotografia di Roger Ballen non è qualcosa che si guarda e si dimentica in fretta: possiede contemporaneamente una intensa bellezza formale ed una forza espressiva non comune, che affascina e colpisce diritto allo stomaco. La recente intervista commissionata da American PHOTO a Jörg Colberg, pubblicata anche sul suo blog Conscientious, mi ha riportato alla mente il mio personale e folgorante incontro con l’immaginifico mondo visuale di Roger Ballen, con Outland, esposizione alla GAM di Bologna del 2002.
Nato a New York nel 1950, Roger Ballen studia geologia all’università di Berkley e si laurea in Economia Mineraria presso l’università del Colorado. Dopo la laurea si stabilisce in Sud Africa dal 1984, dove lavora per una compagnia mineraria. Da questa esperienza professionale il primo importante progetto artistico, Chambers, che porta la documentary photography direttamente verso l’arte.
PHOTO ROGER BALLEN
La forza espressiva delle sue immagini è spesso introdotta dallo sguardo fermo e diretto dei suoi soggetti, che ci guardano, ci colpiscono, ci straniscono. Ballen ha preferito vedere il Sud Africa dal punto di vista della gente bianca povera che vive hai margini della società, in ambienti squallidi, sporchi e fatiscenti ma con la volontà di rendere a volte gioiosa una situazione disperata attraverso una sorta di humour e riuscendo perfettamente ad interagire ed ad entrare in empatia con i suoi soggetti, creando un punto di contatto tra il loro mondo e il suo inconscio. A livello formale, invece, nella sua opera esiste un’organicità, un equilibrio dove le singole parti interagiscono tra loro, ottenendo, così, immagini pulite, formalmente e visivamente chiare e semplici. Il filo conduttore delle opere di Ballen sta proprio qui, nella dicotomia tra la pura forma e il suo interno, saturo di difetti, fatto di gente con caratteristiche inusuali, deformi, persone logorate dal tempo e dal degrado, mostri che vivono in ambienti miseri, sterili, infelici e abbandonati. La sua opera si allontana dall’ipotesi di una semplice denuncia sociale e va ben oltre l’intento documentaristico: ogni immagine è introspezione, in grado di rivelare la natura più intima dell’artista; quel che emerge dalle sue fotografie sono "autoritratti".
Vertigo Il secolo di arte off-media dal Futurismo al web 6 Maggio - 4 novembre 2007 a cura di Germano Celant con Gianfranco Maraniello MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna - Via Don Minzoni 14 Opening 5 maggio 2007
Sabato prossimo inaugura con questa esposizione che promette forse troppo l'attesissimo MAMbo (Museo di Arte Moderna), successore dopo 32 anni di servizio della GAM (Galleria di Arte Moderna) di Bologna, destinata invece a chiudere i battenti in quanto tale, mentre l'edificio di Leone Pancaldi sarà riciclato non so come dalla proprietà (l'Ente fiera di Bologna, ancora presieduto da Luca Cordero di Montezemolo). Alle 19, solo su invito purtroppo, l'inaugurazione. Poi cena di gala per i VIP, oppure festa danzereccia per gli altri. La prossima settimana vi faccio sapere cosa è successo davvero. Il resto lo potete leggere dai comunicati stampa o sui media tradizionali .
Esattamente 8 anni fa scrivevo una pagina del mio personale diario proprio su ArteFiera, e la "pubblicavo" su un proto-blog realizzato tramite una mailing-list di amici, artisti e creativi che ruotavano attorno ad un sito open e ai "suoi" progetti...
DAVIDE GAZZOTTI - Pavimentazione affollata a tratti ad ArteFiera 2007
...e, non inaspettatamente, molte delle considerazioni fatte allora si possono traslare in quello che è successo in questi anni all'arte, alle fiera, ad ArteFiera, ed al sottoscritto Differenze da allora? Beh, innanzitutto la scomparsa definitiva delle gallerie innovative che noleggiavano gli spazi espositivi nel sovrariscaldato piano superiore perchè più economici, poi la drastica riduzione di arte Moderna (fino alla pop inclusa), per dare spazio a più realizzazioni contemporanee. Non che con questo la qualità delle emozioni provabili barcollando per un tale mercatino ne guadagni, anzi... non è che forse sto invecchiando io?
Uno dei momenti più elevati e creativi l'ho vissuto durante la illuminata performance estemporanea di Lilia e Paolo, che ha attirato l'attenzione di svariati visitatori ed ha segnato un notevole aumento di presenze allo stand utilizzato come scenario:
Paolo e Lilia - Una di queste opere ritratte ad ArteFiera 2007 è un falso. Quale?
Infine, per memoria storica, riporto lo scritto a cui mi riferivo in principio, recuperato in qualche dimenticato meandro del mio archivio elettronico. See you later, d.
----- Original Message ----- From: Gazzotti Davide Sent: Monday, February 01, 1999 3:08 PM Subject: [aciderror] Diario a caldo di un profano nella tana dei mercanti dell'arte
ArteFiera99: potrei enumerare i nuovi spazi espositivi, oppure decantare statistiche di visitatori e numero d'opere esposte in costante crescita, ma questo compito è svolto egregiamente dagli organi d'informazione ufficiale. Invece quello che voglio raccontare è l'improbo tormento di voler provare il brivido di una sensazione nella tana dei mercanti dell'arte. Unica notevole novità è lo spazio per le installazioni artistiche di grandi dimensioni, in cui, fra i vari Argan e i neoclassici dozzinali, fa bella mostra di sè lo stand promozionale di una premiata fonderia bolognese. La sempre presente mostra fotografica è quest'anno sponsorizzata da una nota casa di lingerie: la galleria sensoriale, che ospita immagini di Parisotto Vay, mi ha regalato il primo sospirato brivido. Sarà stato merito dell'impressionante impianto luci o della mistica musica di sottofondo, ma le già ben note curve, dinamiche e al tempo stesso statuarie, immortalate da Parisotto evocano la componente più classica e onirica dell'universo femminile restituendo ugualmente sipido dinamismo e modernità che sempre urgono nella vita dell'uomo contemporaneo. Ma se non siete riusciti a visitarla entro il lunedì sera di chiusura dei battenti, potete comunque ammirare molto di questo materiale fra i "-50%" della prossima fiera del libro. Il padiglione dei galleristi più classici, soffocandomi con un clima antitetico a quello stagionale, fuga qualsiasi altro tentativo di involontario irrigidimento cutaneo. Un affollamento senza precedenti, nella mia breve carriera di profano di arte ad una fiera, in cui risalta più la pasta di cui è fatta la gente presente che la poeticità e talvolta modernità delle molte opere spesso mal assortite ad ammassate negli spazi espositivi. Rari, in questa zona, gli studenti e i veri amanti dell'arte; diffusi, invece, i collezionisti fighetti ed i mercanti in genere. Potrei ricordare che questo non è più l'anno boom di Galliani, ma quello di Valentini (con cui i due terzi dei galleristi millantano esclusiva collaborazione). Oppure potrei notare l'imponente apparato propagandistico dedicato al presunto ritrovamento di alcune vecchie matrici di cinque litografie di un anziano artista lusitano. Oppure, ancora, potrei elencare la quantità di "classici" invenduti (De Chirico, Sassu, Mirò...) che molti galleristi non hanno avuto neppure l'accortezza di montare in posizione diversa da quella che occupavano nell'edizione dell'anno passato. A questo punto le vampate di aria viziata e le bombe sensoriali a cui i miei occhi curiosi sottopongono le già stanche meningi mi costringono ad un disordinato barcollare da uno stand all'altro alla ricerca disperata di quel tanto sospirato brivido che, in fondo, è il sale della vita. Salgo le lunghe scale mobili nella speranza che il padiglione dei moderni, degli innovatori, mi riservi qualche sorpresa. Non resto deluso, malgrado l'apparente eccessiva ricerca di impatto visivo a tutti i costi, spesso a scapito della poesia, che pervade le produzioni artistiche più recenti. L'unica frustrazione qui mi è riservata dallo stand che espone foto e statuette di pessimo gusto, ma con sfondo sessuale, che, grazie a ciò, riceve un immeritato climax di visitatori, evidentemente molti più profani di me. Ammiro i purtroppo scadenti Wharol di un gallerista fiammingo, fuggo nauseato dai diffusi scempi altrui del Donzelli, rivedo volentieri le belle fotografie istoriate di un autore arabo il cui nome, ovviamente, mi sfugge, rimango incantato di fronte ai poetici volti e alle mani rappresentate da una giovane artista padana, e trattengo un conato davanti all'esteticamente irrilevante quadro che documenta il parto di un ermafrodita... Prima di uscire mi tolgo una curiosità: domando il prezzo di un dolcissimo angelo di Omar Galliani, in realtà già marchiato con il bollino di "venduto", in modo da evitare la potenziale insistenza del venditore. Più di 8 delle mie mensilità nette! Meno male, tanto la vera arte è bello fruirla e non possederla. Quando la compri a così caro prezzo la stai violentando, la stai rinchiudendo in una prigione, dietro sbarre che ne tarpano le ali: non può più volare in alto nel cielo, non può più regalare a nessun altro che a te il brivido che egoisticamente stavi cercando. Di ritorno verso l'automobile mi chiedo cosa voleva comunicare quell'artista che ha incollato una serie mainboard di vecchi PC ad una tavola e poi ci ha colato un po' di plastica nera sopra... Lascio perdere, giro la chiave e pago il parcheggio quasi soddisfatto della mia domenica pomeriggio, ma con un unico groppo in gola: peccato che i mercanti dell'arte mi abbiano costretto all'esborso di 20mila di ingresso e 6milae5 di parcheggio, prezzo invero in linea con altre esposizioni commerciali. Per una fiera così mercantile, per farmi visitare il mercato delle pulci dei grandi artisti, potevano però essere più generosi, soprattutto immergendomi nei panni dello studente universitario interessato all'arte e alle nuove tendenze, ma, evidentemente, questa fiera non è a lui dedicata. Davide mailto:davide@davidegazzotti.com acid your life: http://www.acidlife.com/ ------------------------------------------------------------------------
[Visitata 1 settimana fa alla Fiera di Bologna con Lilia e Paolino]
Nel 1985 usciva una pellicola filmograficamente di qualità piuttosto mediocre, ma dai contenuti decisamente arguti ed ancora attuali. Era stata scritta e diretta da Luciano De Crescenzo, ed era tratta dall'omonimo romanzo del 1977 dell'autore napoletano: "Così parlò Bellavista". La scena più bella è forse poprio quella sull'infinita diatriba di cosa "è arte" e cosa "non è arte" in ambito moderno e contemporaneo. Così, partendo dalle attese dell'italo-argentino Lucio Fontana, per arrivare alla pop-art del day-by-day di Tom Wesselmann, l'autore napoletano ci fa ridere amaramente, ma di gusto:
Ecco lo scultore (pittore?) argentino Lucio Fontana ritratto durante una dei suoi innumerevoli soggiorni italiani con un'istantanea spettacolare da nientepopodimenochè Ugo Mulas:
Ecco la fine di uno dei film del gruppo di comici inglese Monty Python: Brian di Nazareth (1979), un film che in effetti è teologicamente più profondo di quanto si possa pensare a prima vista:
Paradossalmente Life of Brian è più fedele, dal punto di vista storico, a quello che realmente accadeva a quei tempi in Giudea di tutti gli altri film girati sulla vita di Cristo. Ad esempio, la presenza di decine di "presunti" messia è una realtà storica, ragion per cui non è blasfemia, ma al limite sarcasmo, mostrare una strada piena di aspiranti messia che raccontano le storie più fantasiose e mostrare che il passante poteva scegliere chi ascoltare. Anche le "Beatitudini" sono trattate in maniera razionalmente storica, infatti, come poteva una gran folla di persone ascoltare quello che Gesù diceva? Certamente, c'era qualcuno che "riportava" ai più lontani le parole di Cristo, magari non arrivava "Beati i panificatori" al posto di "Beati i pacificatori", come nella scena girata dai Monty Python, ma il problema dell'uditorio era reale. Vi è poi la scena in cui tra i seguaci di Brian avviene uno scisma e si creano il gruppo dei "zucchiani" e quello dei "sandaliani", ovviamente la divertente rappresentazione che viene fatta nel film è paradossale e parossistica, ma non era raro che la massa di allora, facilmente suggestionabile e piena di fanatismo si dividesse su questioni inutili capaci di farli distrarre dai veri problemi sociali del tempo.
Ad una lettura superficiale, il film appare come una serie di gag esilaranti e a volte sconclusionate (come ad esempio la scena in cui intervengono addirittura degli alieni a risolvere, quasi come un "Deus ex machina", una situazione altrimenti di difficile risoluzione); ma ad una lettura attenta e critica, si possono trovare numerosi spunti di riflessione sulla religione, la religiosità, la società Moderna e la "società storica" di 2000 anni fa.
"Se provi a criticare un artista popolare come Spencer Tunick sei inevitabilmente accusato di snobberia, ma voglio chiarirlo subito: non credo che nessuno possa confondere il suo sensazionalismo per arte.
Tunick è appena riuscito a persuadere 18'000 persone a spogliarsi per lui a Città del Messico per l'ultima della serie di sue fotografie di nudi di massa in giro per il mondo. Bene, buon per lui. Ne avrà pubblicità, e i partecipanti sicuramente si son divertiti, e magari lo hanno pure trovato un atto terapeutico.
E allora? Il lavoro di Tunick non è arte, e nessuno che lo ha davvero cosiderato tale per un momento continuerà a sostenere che lo era davvero: non c'è un "pensiero" davvero interessante sotto il suo lavoro, nè si tratta di una sfida provocatoria a quello che rappresenta il mondo dell'arte. Le sue prodezze fotografiche si posizionano allo stesso livello di una scema campagna pubblicitaria: trovo davvero spregevole il modo in cui Tunick viene acclamato per qualcosa di così chiassosamente cinico.
[...]
Penso che molte persone segretamente odino l'arte. Non molto tempo fa era perfettamente rispettabile esprimere questo odio, almeno per l'arte Moderna o contemporanea, ma oggi l'arte recita un ruolo così importante nella nostra cultura che tutti si sentono obbligati a creditarle servizio incondizionato... malgardo ciò l'ancestrale odio sopravvive sotto le ceneri..."
In effetti è vero, Spencer Tunick è molto chiassoso, è un po' come Christo senza averne la classe, ma, nonostante la sua sfacciataggine e la sottiliezza della sua visione del mondo, non mi dispiace il suo semplice messaggio di armonia fra l'uomo ed il suo paesaggio urbano.
Condivido invece in pieno la sentenza sul servilismo verso l'arte che pervade certi ambienti, e mi risuona addirittura un po' demagogico il restringerlo unicamente all'arte Moderna (o contemporanea), quando invece risale alla notte dei tempi, alla irresolvibile questione della definizione dell'arte.
"The Human condition in Crisis" è il titolo dell'ultima dura collezione antologica di immagini del fotogiornalista americano Stanley Greene. La si può visitare nell'interessante ORGANISMuseum, museo virtuale allestito con grafica 3d da organism media.
Il reportage, alle volte, richiede coraggio. Il coraggio di partire ma anche quello di tornare. Il coraggio di documentare ma anche quello di rispettare. Il coraggio di fermare in un'immagine il più fermo degli istanti, la morte. Le fotografie di Stanley narrano di un mondo scomodo, spesso volutamente celato. E del suo coraggio.. Un'esposizione composta da quaranta immagini alle quali si addice un unico aggettivo: vere. Dall'uragano Katrina all’ Iraq, da Haiti alla Cecenia, Stanley ferma per tutti noi ciò che il suo cuore vede e spesso ciò che vede è di una violenza disarmante, motivo per cui consigliamo la visione di questa mostra ad un pubblico adulto.
Il Museo Virtuale di ORGANISM è innanzitutto un'ottima idea, ed è poi ben realizzato, anche se è necessario installare il plugin 3d Life Player che permette la simulazione in grafica 3d degli ambienti di una galleria d'arte Moderna.
Vengono davvero le vertigini a visualizzare quanta distanza intercorre fra il futurismo ed il web. A quanta arte, on- oppure off-media poi in fondo la cosa è opinabile, è trascorsa negli ultimi cento anni. E nella mostra inaugurale del nuovissimo "Museo di Arte Moderna di Bologna" (che qualcuno ha purtroppo abbreviato in uno sputtanato"MAMbo"), è lo spazio espositivo stesso, per la precisione la sua sala principale, il vero pezzo forte. Anche se a qualcuno potrebbe non piacere, è davvero affascinante riuscire a mescolare il contenuto con il contenitore, le opere col loro museo, così bene che in questo caso è l'avvincente allestimento a far passare in secondo piano la raccolta stessa.
Il roboante titolo promette quello che sarebbe stato difficile mantenere, o trasmettere, unicamente realizzando un'antologia ragionata del vertiginoso spazio artistico che collega un intero secolo di storia della creativit . Così, la gestione di Gianfranco Maraniello dell'arte Moderna bolognese è riuscita a sfornare una performance davvero lodevole in tutt'altro modo. Lodevole a cominciare dalla ruffiana grafica a stencil del logo dal sapore futuristico, alla raffinata eleganza dell'invito in prezioso cartoncino plastificato; da qualche rara simpatica incertezza organizzativa, alle inservienti che si sono fatte in quattro per permettere ai migliaia di Bolognesi e non che si sono accalcati allìingresso di riuscire ad accedere alla mostra; dalla lineare collezione antologica al ruffiano accostamento con gli strumenti tecnici della comunicazione, dal grammofono all'iPod, dal telegrafo al cellulare...
Biglietto d'Invito
Folla all'ingresso alle ore 19. Stampa e VIP avevano in buona parte gi concluso la loro visita.
La vera grande emozione che regala VERTIGO risiede nell'installazione, nella navata principale di questo ex- forno del pane, di una sequenza di instabili architravi realizzate mediante gonfiabili. Archi che fanno da ponte fra i due secoli percorsi nella mostra, travi che sostengono il concetto stesso di museo, ma instabili perchè in continua ridefinizione sotto l'effetto dei media, incarnati dalle videoproiezioni gettate su di essi. E' dall'altezza di questi tremolanti areostati che si prova la vertigine di vivere un intero secolo di arte sempre contemporanea.
Il contenitore supera il contenuto antologico comunque di pregio, inevitabilmente incompleto anche se impreziosito dai molti nomi altisonanti (Duchamp, Burri, Man Ray, ...). Il museo si mescola alle sue opere d'arte in un incesto concettuale davvero fruttuoso.
Gunther Ueker - TV auf Tisch, 1963
Julian Schnabel - Martine, 1987
Matthew Barney - Creamaster1: The goodyear Waltz, 1995
Alcuni mezzi di comunicazione in mostra
Il lato romantico della sala a luci rosse
Shirin Neshat (in fondo al corridoio)
Anche se forse solo un terzo dei 9500 metri quadrati di spazio espositivo ricavato in questo ex- forno del pane sono gi sfruttati ed accessibili, anche se non c'è ancora traccia della collezione permanente che era della GAM ora dismessa, vale davvero la visita. Anche se si sono gi viste altrove buona parte delle opere o degli autori esposti, ed anche se si sono utilizzati negli anni buona parte degli strumenti di produzione artistica e comunicazione messi in vetrina.
Bologna meritava davvero uno spazio espositivo come questo. La precedente Galleria d'Arte Moderna (col più serio acronimo di GAM), era uno spazio annesso al palazzo dei congressi adiacente alla Fiera di Bologna. La bella realizzazione dell'architetto bolognese Leone Pancaldi, inaugurata nel maggio di 32 anni fa, e dismessa con la personale di Christopher Williams a inizio anno, è una preziosa testimonianza di architettura Moderna, ma era diventata inadeguata alla crescita di un tale museo per una citt come Bologna. Inoltre, la posizione decentrata non ne facilitava l'accesso, anche se, per la regola del contrappasso, in questa nuova ubicazione a due passi dal pieno centro, sono i posti auto disponibili a difettare irrimediabilmente.
UPDATE 11 Maggio 2007: Dalla discussione seguita all'interessante "E allora MAMbo!!!" di lasima sullo "spettro" di Bologna, si scopre che lo spazio espositivo allestito al momento per VERTIGO (a parte un paio di sale vuote visibilmente transennate) è tutto lo spazio disponibile al MAMbo, quindi ora la collezione permanente si trova stivata nel magazzino del MAMbo, così come succedeva alla GAM quando veniva disallestita, inscatolata e stivata nel magazzino al piano terra. Ma:
- La GAM era 3200mq circa - Il MAMbo è 9500 mq circa
Malgrado ciò, il MAMbo, proprio come la GAM, non è in grado di esporre l'intera collezione permanente assieme ad una esposizione temporanea, quindi le opere stabili saranno esposte tra l'alternarsi di una mostra e l'altra, come riempitivo, e si costringono i curatori e gli allestitori ad un infinito ed inutile smonta e rimonta continuo, contemporaneamente privando il visistatore occasionale del patrimonio costituito dalle preziose acquisizioni operate dall'istituto.
Tanti metri quadri allora per cosa? Nei 9500 grandiosi metri quadrati ci sono anche gli enormi ingressi, gli scaloni inutili e i corridoi da macelleria...
Folla per Vertigo, mostra di inaugurazione del MAMbo - Museo di Arte Moderna di Bologna - http://www.davidegazzotti.com/dblog/articolo.asp?articolo=116 ...
Architravi gonfiabili sono l'installazione più emozionante di Vertigo, mostra di inaugurazione del MAMbo - Museo di Arte Moderna di Bologna - http://www.davidegazzotti.com/dblog/articolo.asp?articolo=116 ...
29/05/2007 - Un museo d'arte Moderna virtuale dedicato alla fotografia - ORGANISMuseum
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Lo que me gusta de tu cuerpo es el sexo.
Lo que me gusta de tu sexo es la boca.
Lo que me gusta de tu boca ed la lengua.
Lo que me gusta de tu lengua es la palabra.
Avviso Questo blog non rappresenta una testata di nessun tipo, tanto meno giornalistica, in quanto viene aggiornato in modo scostante e discontinuo, come il suo autore.
Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale (e non potrebbe neanche fosse periodico) ai sensi della legge n.62 del 7.03.2001.
Watching Mostly French and Danish productions, all Stanley Kubrick's filmography, Wim Wenders, Woody Allen, Roman Polanski, Godard, Truffaut, Jim Jarmusch, Ken Loach, Kieslowsky...