Di seguito gli articoli e le fotografie che contengono le parole richieste.
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 Le città post moderne, lontane anni luce dalla zone di Apollinaire o dalla banlieu di Baudelaire, assomigliano sempre più a grandi, infiniti ammassi urbani, dove periferia, grosse arterie e centro urbano si aggrovigliano senza soluzione di continuità fino a diventare indistinguibili. Proprio come in film quali True Stories, Blade Runner o anche Arancia Meccanica.
Davide Gazzotti, NO EXIT, DARC - Roma (2006) In questi giorni è uscito un mio nuovo reportage: "Taipei City, Kowloon and Hong Kong". Una selezione si trova cliccando qui.
 PHOTO DAVIDE GAZZOTTI 2007
 PHOTO DAVIDE GAZZOTTI 2007
 PHOTO DAVIDE GAZZOTTI 2007
 PHOTO DAVIDE GAZZOTTI 2007
E' successo. Ed è successo sul mio sito. Incredibile, ma assolutamente vero: almeno stando a quanto mi riporatano i sistemi si registrazione statistica degli accessi su tutto l'archivio accumulato on-line, negli ultimi mesi la galleria sulla utopica Città Buzziana della "Scarzuola" ha costantemente superato in popolarità la galleria del Millenium Calendar.
 DAVIDE GAZZOTTI - Millennium Calendar n°4 (1999)
 DAVIDE GAZZOTTI - La Scarzuola - Cover (2003)
Chi l'avrebbe mai detto? L'architettura, la più fisica delle arti visuali, che supera l'eros di più bassa e popolare fattura!
In realtà la realizzazione del milanese Tommaso Buzzi rappresenta una delle mete del turismo culturale fai-da-te più ricercate e snob del momento: acquistato nel 1956 il convento francescano della Scarzuola, nei verdi meandri dell’Umbria, l’architetto Tommaso Buzzi lo trasformò in vent’anni di lavoro nella Città Buzziana: una “autobiografia in pietra” composta di edifici compiuti o frammentari, evocati o appena accennati, inventati o ricordati, il cui filo conduttore, a detta dello stesso progettista, sembra essere che nella vita “tutto è teatro”. [Tratto dal n° 155 di FMR 12/2002]
 Non sto parlando del cuore emotivo, che, dopo il brutto "infarto" di un paio di anni fa, si è già perfettamente ripreso, anche di dimensioni minori di un tempo. Parlo proprio del mio cuore biologico: ora batte più lentamente, con calma serafica, e potente. Posso correre per ore, posso respirare a pieni polmoni, posso riprendere a vivere a 60 o a 160 battiti per minuto ed anche oltre. Quando serve. Solo se ne vale la pena. Come disse Lester in American Beauty, dopo essere riuscito a cambiare la sua vita, ma pochi attimi prima di morire ammazzato dalla cieca furia del suo vicino di casa: "Sto da dio - lunga pausa - sto da dio".
PHOTO DAVIDE GAZZOTTI
I had always heard that your entire life flashes before your eyes the second before you die. Only that one second, isn't a second at all, it seems to stretch out forever like an ocean of time. For me it was lying on my back at boy scout camp, watching falling stars. And the maple trees that line our Street. Or my grandmother's hands, and how her skin seemed like paper. And the first time I saw my cousin Tony's brand new Firebird. And Janey. And my last thought was of Carolyn. I guess I could be pretty pissed off about what happened to me, but it's hard to be angry when there's so much beauty in the world. Sometimes, I feel like I'm seeing it all at once, and I can't take it. My heart swells up like a balloon that's about to burst. But then I remember to relax, and stop trying to hold onto it. And then, it flows through me like rain and I feel nothing but gratitude for every single moment of my stupid little life. You have no idea what I'm talking about, I'm sure. But don't worry. You will someday. (Lester Burnham, American Beauty.)
 Il bello dei portali video è che, sull'onda della loro novità, in barba a tutte le leggi che tutelano il diritto di copia e di sfruttamento delle produzioni multimediali, molti appassionati digitalizzano e ripubblicano materiale d'annata altrimenti perduto. Un esempio è il documentario di John Szarkowski su Garry Winogrand, autore della fondamentale raccolta di Street photography The Man in the Crowd: The Uneasy Streets of Garry Winogrand, che rappresenta la summa della sua produzione, pubblicata postuma nel 1998.
Questo è il video notato su 2point8:
Garry Winogrand on Vimeo
Sempre su 2point8 è anche presentata la trascrizione delle interviste, dalle quali cito alcuni passaggi significativi della valenza estetica del lavoro di Winogrand, e del suo "pensiero artistico" dal valore concettualmente davvero molto relativo.
I am surprised that my prints sell. They’re not pretty, they’re not those kind of pictures that people easily put on their walls, they’re not that window onto a nice landscape or something. They aren’t.
I don’t have pictures in my head, you know. Look, I am stuck with my own psychology. With my own, uh, with me. So I’m sure that there’s some kind of thread, whatever, but I don’t have pictures in my head. Per decenza mi astengo da ogni ulteriore commento
Spiando l’intimità delle persone, questo libro documenta il brusio e le vibrazioni di una delle più ammirate città del mondo. Le persone ritratte in questa galleria non sono frammenti dell’immaginazione dell’autore, ma sono gente reale: nella città che pulsa non esistono eroi ed eroine, ma solo uomini e donne alle prese con la loro vita, e con la necessità di superare limiti e difficoltà.
Spingendo la fotografia documentaristica oltre i suoi confini, queste strade claustrofobiche raccontano il respiro della vita nella scomoda era della Grande Recessione del 2009, dove l’ansia e l’incertezza incombono su una versione decadente del Sogno Americano. I personaggi calcano frenetici il più seducente palcoscenico mai realizzato, cullati dai fianchi slanciati e inarrivabili di New York.
 Per tre mesi è andato in giro per Copenaghen e New York fermando passanti per chiedere ad ognuno cosa gli passava per la testa, e per scattargli una foto. Il risultato di The Thought Project del fotografo danese Simon Høgsberg è una collezione di 55 ritratti frontali, ma molto espressivi, ognuno dei quali è accompagnato dalla trascrizione esatta dei pensieri dei passanti che Høgsberg ha minuziosamente riportato dalle registrazioni effettuate in strada.
 PHOTO SIMON HOEGSBERG - THE THOUGHT PROJECT
Molto coerente l'attenzione dedicata alla luce ed all'uso dello sfocato, piuttosto grafico ed evocativo. Semplici, immediati, ma assolutamente centrati, gli strumenti espressivi con cui Simon Høgsberg restituisce sguardi perplessi e pensierodi. Merita visitare il resto della galleria di ritratti di THE THOUGHT PROJECT. Bravo Simon.
PHOTO SIMON HOEGSBERG - THE THOUGHT PROJECT
PHOTO SIMON HOEGSBERG - THE THOUGHT PROJECT
[Visto oggi su Repubblica.it]
 Cinque anni fa un commando delle Nuove BR, coordinato da Nadia Desdemona Lioce, commetteva un omicidio politico a sangue freddo. Un omicidio alla porta accanto. Marco Biagi, autore della bozza del testo di una contestatissima legge sul lavoro atipico che gli sarebbe stata intitolata nel 2003, malgrado la posizione politica e l'attaggiamento quantomeno discutibili, era solo un professore universitario che bazzigava le stanze del potere centrale, era un padre di famiglia, era un uomo. Bologna, 19 Marzo 2002, ore 20:34
L'auto dei carabinieri mi si infilò nello specchietto retrovisore come un lampo nella notte. La mia vita scorre a pochi passi da lì ed ero quasi arrivato, dopo una lunga giornata di lavoro, perso in inutili pensieri. Accostai come tutti nelle strette strade del centro di Bologna, e la vidi sparire urlando proprio nella mia stessa direzione. Pochi istanti dopo avrei purtroppo capito il perchè. Solo oggi, a dieci giorni di distanza, ho avuto la forza di girare l'angolo, e di raggiungere il suo portone di casa. Era la casa di un innocente che non conoscevo personalmente: si sa, nel caos delle nostre vite è difficile incrociarsi anche se si vive accanto o si insegna alla stessa università. Un unico filo insanguinato unisce le lacrime delle nostre città invisibili, da New York a Gerusalemme. Un filo di odio che dobbiamo impegnarci a spezzare promuovendo cultura e tolleranza. Quello era anche il mio angolo preferito di Bologna, il baricentro geografico ed emotivo di tutte le cose più belle della mia piccola vita. Per non piangere mi sono nascosto dietro un'inquadratura dell'ennesimo sogno violentato. (da A Murder Next Door di Davide Gazzotti, 2002)

John Giorno (nato a New York nel 1936) è uno dei più noti poeti e performance artist dell'area sperimentale americana. Nel 1968 fondò il Giorno Poetry System Institute, una struttura destinata a promuovere lo sviluppo della comunicazione tra poeti e pubblico, e l'anno successivo avviò, presso il Modern Art Museum di New York ed in numerose altre sedi, un servizio denominato Dial-A-Poem, attraverso il quale, componendo alcuni numeri telefonici, era possibile ascoltare cinque minuti di poesia. Un'interessante iniziativa parallela a questa è stata Dial-A-Poem Poets, una vera e propria "rivista orale" costituita da una collana di dischi in vinile che presentava, tra l'altro, il meglio del panorama internazionale della poesia sonora. Ha realizzato programmi radiofonici, pubblicato versi su scatole di fiammiferi, magliette, tendine da finestra, tavolette di cioccolata, ecc. Performer di notevole impatto sul pubblico per la sua presenza scenica e le sue qualit vocali, svolge anche attivit di attore. Nel 1963 ha lavorato nel film di Andy Warhol Sleep, ed ha collaborato anche con William Burroughs. E' anche un attivista a favore della lotta contro l'AIDS.
JUST SAY NO TO FAMILY VALUES
On a day when you're walking down the Street and you see a hearse with a coffin, followed by a flower car and limos, you know the day is auspicious, your plans are going to be successful; but on a day when you see a bride and groom and wedding party, watch out, be careful, it might be a bad sign.
Just say no to family values, and don't quit your day job.
Drugs are sacred substances, and some drugs are very sacred substances, please praise them for somewhat liberating the mind.
Tobacco is a sacred substance to some, and even though you've stopped smoking, show a little respect.
Alcohol is totally great, let us celebrate the glorious qualities of booze, and I had a good time being with you.
Just do it, just do it just don't not do it, do it.
Christian Fundamentalists, and fundamentalists in general, are viruses, and they're killing us, multiplying and mutating, and they destroying us, now, you know, you got to give strong medicine to combat a virus.
Who's buying? good acid, I'm flying, slipping and sliding, slurping and slamming, I'm sinking, dipping and dripping, and squirting inside you; never fast forward a cum shot; milk, milk, lemonade, round the corner where the chocolate's made; I love to see your face when you're suffering.
Do it with anybody you want, whatever you want, for as long as you want, any place, any place, when it's possible, and try to be safe; in a situation where you must abandon yourself completely beyond all concepts.
Just say no to family values.
We don't have to say No to family values, cause we never think about them; just do it, just make love and compassion. John Giorno, 1995
Non saprei come presentare questo concorso di Street photography chiamato “HYPE“, che ha la giuria diretta nientepopodimeno che dal presidente della Magnum Photos Stuart Franklin. Sembra l'ennesimo modo furbo per la HP di raccogliere adepti qualificati, promettendo l'opportunità di esibire i loro lavori al rinomato foto festival Recontres d’Arles nel luglio 2007 ben stampati dalle loro ink-jet. Cosa presentare? Ecco i pleonastici loro consigli:
A spray-painted fence, a wall flaky with peeling stucco, a paper bag in the wind, a broken sign: strange, moving, disturbing, witty, banal, or anywhere in between.
Esistono altri significativi archivi on-line di Street photography, ad esempio il sito in-public. Anche in questo caso però, la quantità supera di gran lunga la qualità. Sarà questo l'inevitabile trend al ribasso dell'user-generated contet?
Attenzione: la navigazione del sito Hype è sperimentale: intrigante, ma complessa.
Articolo/comunicato stampa sul concorso si trovano QUI.
[Letto ancora una volta sull'ottimo blog di Street photography 2point8]
 Sono passati quasi quarant'anni dalla costruzione di uno dei più orrendi mostri industriali italiani, il polo siderurgico/petrolchimico di Taranto (a lato, PHOTO DAVIDE GAZZOTTI), che ha causato direttamente ed indirettamente centinaia, anzi miliaia di vittime, quando finalmente qualcuno, per vendere un paio di copie in più (visto che ora tutto ciò fa audience come non succedeva 10 o 20 anni fa) sparge fiumi di inchiostro sull'argomento. "La Puglia dei Veleni" è il titolo dell'approfondimento di G. Riva su L'espresso ora in edicola.
Taranto è ultima per la classifica del 'Sole 24 Ore' in quanto ad ambiente. I 1.200 decessi annui per neoplasie la collocano nettamente sopra la media nazionale. Insomma c'erano tutti i motivi per dichiararla città ad alto rischio ambientale
In realtà, dopo le mille battaglie perse contro i signori dell'industria pesante e dell'energia italiani che disperdono nell'ambiente da Taranto a Brindisi tonnellate di sostanze cancerogene l'anno, il protocollo di Kyoto è forse rimasto l'ultimo spauracchio che potrebbe far cambiare le cose. Da L'espresso:
Primo, secondo e terzo posto, podio tutto pugliese nella classifica dei dodici impianti italiani che producono più anidride carbonica, responsabile dell'effetto serra e dunque del surriscaldamento del Pianeta. Nell'ordine: centrale termoelettrica Enel di Brindisi sud 15.340.000 tonnellate l'anno di CO2; Ilva di Taranto 11.070.000; centrali termoelettriche Edison di Taranto 10.000.000.
Io, che per storia personale la Puglia conosco ad amo, poco ho da aggiungere al tanto sbraitare, se non qualche sbiadito romantico ricordo d'infanzia in banco e nero, sperando sempre che non succeda, magari proprio con in carica un governo di sinistra, che il Protocollo di Kyoto venga disatteso legalmente da tutti perchè dichiarato inapplicabile per decreto. PHOTO DAVIDE GAZZOTTI UPDATE 12 Aprile 2007 - Su Repubblica.it del 3 marzo 2007, nell'articolo Bancarotta e Fatalismo - Così muore Taranto leggo di Taranto parole accorate e disperate:
Taranto fu una nobile capitale della Magna Grecia incastonata fra le acque, una città di laguna, una Venezia delle Puglie, con lo splendido borgo antico dietro il castello aragonese e il quartiere ottocentesco stretti fra Mare Piccolo e Mare Grande, che nell'ultimo secolo ha subito colossali invasioni barbariche. Prima l'Arsenale del Regno, poi la Base Navale, la prima nel Mediterraneo, quindi la Fabbrica. Ora la città non è più né bella né brutta. E' una tavolozza impazzita, un impasto violento di luce, acqua, cemento, fuoco e acciaio, con angoli d' incanto e squarci spaventosi. Da ogni punto incombe l'ultimo grande paesaggio industriale d' Italia, la riserva indiana del fordismo. L'Ilva, ex Italsider, ora gruppo Riva, sovrasta la città, la domina con le sue ciminiere e si mangia ancora due terzi del gigantesco porto. E' il primo impianto siderurgico d' Europa, un dinosauro più grande di Mirafiori, tre volte più esteso di Taranto città, dieci milioni di tonnellate d' acciaio all'anno, duecentocinquanta chilometri di ferrovia interna, altiforni imponenti come dolmen, distese di tubi a perdita d' occhio. Da quarant' anni i tarantini la chiamano il Mostro. Da quarant' anni distribuisce vita e morte, e non è un modo di dire. Oggi ci lavorano quindicimila operai ed erano trentamila ai tempi dell'industria di Stato. Nella sua storia si contano centottanta caduti sul lavoro, ottomila invalidi, dieci o forse ventimila morti di cancro e leucemie, dipende dalle stime. Il gioco dei bambini del rione Tamburi, a ridosso del Mostro, è svegliarsi e indovinare di quale colore è il cielo del mattino. Di rado è blu, a volte arancione o viola, più spesso di un rosso mattone, uguale a quello ormai incrostato ai tetti delle case e sulla strada del cimitero. Da sola l'Ilva sputa nell'aria di Taranto il 10,2 per cento di tutto l'ossido di carbonio prodotto in Europa. Ma fino a dodici anni fa, in cambio di tanto dolore, la Fabbrica garantiva almeno il mito del "posto sicuro" nella cuccia calda dell'impresa di Stato. Nel '95 l'Ilva è stata privatizzata dal governo Dini, peraltro a un prezzo un po' troppo basso (1.700 miliardi di lire) ed è arrivato un padrone bresciano, Emilio Riva, ben deciso a imporre nella città-stato tarantina la legge del mercato, con le buone o con le cattive. Ma quasi sempre con le cattive. In un decennio Riva ha mandato via la metà degli operai, spezzato le reni al sindacato, quadruplicato gli utili e collezionato una serie di processi e condanne, l'ultima di tre anni per mancate misure di sicurezza e inquinamento. E' rinviato a giudizio per una pessima storia di mobbing divenuta celebre, quella della "palazzina Laf", una specie di baracca dov' era rimasto confinato per mesi un pugno di sindacalisti ostinati, senza lavoro e senza una sedia o un tavolo. La privatizzazione dell'Ilva ha segnato lo spartiacque nella vita cittadina. Gli operai licenziati si sono messi a fare gli artigiani e a "coltivare il mare" da vecchi contadini mai diventati marinai. Ogni palo di cozze a Mare Piccolo è un ex operaio dell'Ilva. Le imprese dell'indotto siderurgico prima si sono rivolte fuori, verso il boom di Bari e del Salento, poi si sono spente, una dopo l'altra. Gli operai tarantini avevano costruito la piattaforma del ponte fra Danimarca e Svezia, ma anche la Belleli ha chiuso i battenti due anni fa. "Senza più posto fisso, la città ha finito per attaccarsi alle ultime mammelle di Stato, la sanità e il Comune, fino a succhiare l'ultimo euro". E' l'analisi del presidente della Provincia, Giovanni Florido, ex sindacalista dell'Ilva e più probabile candidato del centrosinistra alla poltrona di futuro sindaco, nelle elezioni di primavera. Si è trattato di scegliere fra il fallimento della pubblica amministrazione e la bancarotta delle famiglie ed è andata com'era facile immaginare. Ora la città aspetta che qualcuno faccia "il Miracolo". Ma come nel bellissimo film di Edoardo Winspeare girato nella città vecchia, è un miracolo che soltanto la volontà dei tarantini può compiere.
Duane Michals è stato uno dei fotografi più innovativi ed influenti quando la fotografia, negli anni 60, era ancora dominata dagli stili documetaristico e ritrattistico dei vari Ansel Adams, Robert Frank, Irvin Penn, o, al limite, di Richard Avedon. Michals, invece, esplorava il medium fotografia con senso di libertà e sperimentazione, introducendo sequenze narrative di immagini per parlare di tematiche quali il desiderio, il tempo, la giovinezza o la morte. Ma non si considerava, nè si considera tuttora, un vero artista, non si autodefinisce un radicale. Il suo nuovo libro " Foto Follies: How Photography Lost Its Virginity on the Way to the Bank" è una graffiante satira del mondo della fotografia trainato dai soldi, sia si tratti di arte concettuale, che di fotografia commerciale. Al confronto con un libro fotografico tradizionale, si tratta di un antologico e godevole "libretto". Su photo-eye trovo scritto:  Di questo sguardo satirico sulla fotografia contemporanea, Duane Michals ha detto: "Più sei serio, più sciocco devi essere. Io ho una grande capacità per le sciocchezze. Ciò è essenziale." Sia che stia parodiando Wolfgang Tillmans o Andres Serrano, Sherrie Levine ("Una fotografia di Duane Michals di una fotografia di Sherrie Levine di una fotografia di Walker Evans") o Cindy Sherman ("Chi è Sydney Sherman?"), Michals usa la sua feroce arguzia e il suo buon occhio per creare immagini che risultano contemporaneamente umoristiche e profonde. Michals prende di mira i pregiudizi spesso percepiti come deliberatamente apposti per oscurare l'arte contemporanea, e nel fare ciò dimostra bravura sia nel campo visuale che con la parola scritta, riuscendo sempre ad produrre il piacere ancestrale di una buona risata.
SELF PORTRAIT - PHOTO DUANE MICHALS
 "SYNCHRONICITY" ALBUM COVER (THE POLICE, 1983) - PHOTO DUANE MICHALS
Poi ho incrociato questo post su una presentazione di questo "mostro sacro" alla libreria Strand di New York - su The View from the Edge of the Universe - e non ho resistito dal riportare alcune citazioni di Michals che, a 75 anni, dice pane al pane e vino al vino :
"I've always relied on the kindness of ideas"
"Everything you think makes sense doesn't. Get out of the fuckin' box."
"My gift to you is that I'm not you"
"As long as you believe in consensus reality, you will never experience true reality"
"What a cheap joint, I have to do my own slides" .... and .... "Jesus, what do I have to do to get fucked around here"
"You are the alpha, the omega. You are the event"
"You affect what you see through the participation of your observations"
"Have you ever thought about the not-nowness of now?"
"I love to photograph what cannot be seen"
"Reality is not a set of observable facts walking down the Street."
"Photography is not about looking, its about feeling"
"Can you imagine defining your life so narrowly that Nirvana is sex with 72 virgins"
"Someone just paid $3 million for a Gursky. $2.5 million I can see, but 3?"
"You should always be a beginner"
"I love ideas I've never thought of before"
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di davide del 09/11/2007 alle 23:44, 4569 link
Window collapsed in Taipei (TW) - Vedi anche l'intero reportage: http://www.davidegazzotti.com/ Street/taipeihongkong07bw/ ...
di davide del 14/02/2007 alle 22:21, 6767 link
La Scarzuola, citt utopica di Tommaso Buzzi - Montegabbione (Terni) - http://www.davidegazzotti.com/ Street/scarzuola/ ...
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14/04/2007 - La Home Page degli Street photographers - iN-PUBLiC
25/03/2007 - Una prospettiva a tutta apertura sulla Street photography - 2point8
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Dalla vetta non si va in nessun posto, si può solo scendere.
Mauro Corona
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Listening A little bit of all genres... from middle age music to deep techno house, passing through Pink Floyd and Rolling Stones ;-)
Reading Marquez, Kafka, Calvino, Gacia Lorca, Neruda, Suskind, Allende, Mc Ewan, Wilde, Capote, Poe, Salinger, Benni, ...
Watching Mostly French and Danish productions, all Stanley Kubrick's filmography, Wim Wenders, Woody Allen, Roman Polanski, Godard, Truffaut, Jim Jarmusch, Ken Loach, Kieslowsky...
30/11/2023 @ 02:36:49
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