Esattamente trent'anni fa usciva un disco memorabile. Non stiamo parlando dell'elettronico Trans-Europa-Express dei Kraftwerk, o del melodico Hotel California degli Eagles, e neanche di Animals dei Pink Floyd. Non di Love you live degli Stones o del per altro noioso Before and after science di Brian Eno. Belle cose in hit parade nel 1977, eh? No, è dello start-up della New Wave che stiamo parlando, di quel fertile periodo che ha rivoluzionato la musica rock per portala fino al nuovo millennio. Due sono le pubblicazioni che rappresentano le spinte post-lisergiche più importanti di quell'iniziale periodo post-punk: il successo di 77 dei Talking Heads e la spinta di The Modern Dance dei Pere Ubu. I primi mio amore fin da piccolo, mentre i Pere Ubu li ho ascoltati per la prima volta in vita mia questa sera. Buon trentesimo compleanno Pere Ubu!
Difficile spiegare cosa passasse per la loro testa prima che entrassero negli studi per registrare una delle più grandi opere musicali di tutti i tempi. So però con certezza che al primo ascolto si intravedeva da un lato tutta la rabbia e l'ebbrezza del garage degli anni '60, condito con spezie beefheartiane e con un pizzico di Red Crayola, musica free-form, avanguardia e teatro dell'assurdo. E si riusciva, di scorcio, anche a leggere tra i versi di Thomas l'apocalisse e la sua bellezza tragica. C'era un non so che di altro tra i solchi, ma nell'ineffabilità del momento estetico il tutto svaniva per far posto a un silenzio di fondo, dove riposano i nostri abissi più intimi e inaccessibili. Questa è musica che merita un ascolto attento e devoto, insomma. Musica totale, nel senso che allora come oggi, più che un semplice disco, The Modern Dance è un vero è proprio saggio sulla decadenza del nostro tempo, un poema sulla distanza spirituale che ci separa dal mondo e dall' estasi eternizzante dell'"Aperto" rilkiano. In 36 minuti e 20 secondi, i Pere Ubu riuscirono a condensare l'essenza di un'epoca pregna di nichilismo, devoluzione, irrazionalismo, meccanizzazione e paura.
E alla fine del 2006, col loro Why I hate women, i Pere Ubu hanno rinverdito la loro Danza moderna. Rubo 30 secondi per pubblicarli qui, ma visitate un negozio di dischi per ascoltarli: ne vale davvero la pena
E' vero che dalle finestre
non riusciamo a vedere la luce
perché la notte vince sempre sul giorno
e la notte sangue non ne produce,
è vero che la nostra aria
diventa sempre più ragazzina
e si fa correre dietro
lungo le strade senza uscita,
è vero che non riusciamo a parlare
e che parliamo sempre troppo.
E' vero che sputiamo per terra
quando vediamo passare un gobbo,
un tredici o un ubriaco
o quando non vogliamo incrinare
il meraviglioso equilibrio
di un'obesità senza fine,
di una felicità senza peso.
E' vero che non vogliamo pagare
la colpa di non avere colpe
e che preferiamo morire
piuttosto che abbassare la faccia, è vero
cerchiamo l'amore sempre
nelle braccia sbagliate.
E' vero che non vogliamo cambiare
il nostro inverno in estate,
è vero che i poeti ci fanno paura
perché i poeti accarezzano troppo le gobbe,
amano l'odore delle armi
e odiano la fine della giornata.
Perché i poeti aprono sempre la loro finestra
anche se noi diciamo che è
una finestra sbagliata.
E Siamo noi a far ricca la terra
noi che sopportiamo
la malattia del sonno e la malaria
noi mandiamo al raccolto cotone, riso e grano,
e noi piantiamo il mais
su tutto l'altopiano.
Noi penetriamo foreste, coltiviamo savane,
le nostre braccia arrivano
ogni giorno più lontane.
Da noi vengono i tesori alla terra carpiti,
con che poi tutti gli altri
restano favoriti.
E siamo noi a far bella la luna
con la nostra vita
coperta di stracci e di sassi di vetro.
Quella vita che gli altri ci respingono indietro
come un insulto,
come un ragno nella stanza.
Riprendiamola in mano, riprendiamola intera,
riprendiamoci la vita,
la terra, la luna e l'abbonDanza.
E' vero che non ci capiamo
che non parliamo mai
in due la stessa lingua,
e abbiamo paura del buio e anche della luce, è vero
che abbiamo tanto da fare
e che non facciamo mai niente.
E' vero che spesso la strada sembra un inferno
o una voce in cui non riusciamo a stare insieme,
dove non riconosciamo mai i nostri fratelli.
E' vero che beviamo il sangue dei nostri padri,
che odiamo tutte le nostre donne
e tutti i nostri amici.
Ma ho visto anche degli zingari felici
corrersi dietro, far l'amore
e rotolarsi per terra.
Ho visto anche degli zingari felici
in Piazza Maggiore
ubriacarsi di luna, di vendetta e di guerra.
Ho visto anche degli zingari felici
corrersi dietro, far l'amore
e rotolarsi per terra.
Ho visto anche degli zingari felici
in Piazza Maggiore
ubriacarsi di luna, di vendetta e di guerra.
Dallo spettacolo "Salviamo la terra, o tutti giù per terra" di Stefania Chiarioni e Veronica Lenzi, uno dei video facenti parte dello spettacolo. Elisa Biondi e Veronica Lenzi le interpreti del movimento accompagnate dalla mano proiettata sopra di loro.
Titolo: Creation
Coreografia: Veronica Lenzi
Regia: Veronica Lenzi
Fotografia: Davide Gazzotti
Riprese e montaggio video: Davide Gazzotti
Model: Rocco D'Elia
Musica: "Lovesong" dei Cure nella versione di String Quartet
Prima rappresentazione nel teatro "Arena del Sole" di Bologna, il 12 Maggio 2006.
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