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Dopo l'antologica VERTIGO inaugurale, il MAMbo dedica lo spazio espositivo a una raccolta di opere egoriferitamente dedicate alla concezione dello spazio espositivo, del museo d’arte contemporanea, tramite l'arte contemporanea.
Dimenticata la ressa di inizio maggio, sabato 1 dicembre solo veri appassionati, studenti e addetti del settore si ritrovano all 17 per godere comodamente delle 4 installazioni a tema, espressamente concepite o specificamente riallestite per il MAMbo.

All’ingresso la gradita sorpresa romanticamente pop di Adam Chodzko: "M-path and Hole" è un concept di facile effetto sul mettersi, tramite l’arte, nei panni di un altro. Entrando nel museo il visitatore è invitato a scambiare le proprie scarpe con quelle di un ignaro abitante di un quartiere periferico cittadino che le ha appositamente lasciate all’artista.


Adam Chodzko: "M-path and Hole"


Adam Chodzko: "M-path and Hole"

Troppo sottile il concetto della “mossa del cavallo” e davvero troppo banale la realizzazione di Eva Marisaldi. “Jumps” tradisce la metamorfosi emotiva di una donna che diventa madre più che delineare percorsi di scoperta attraverso l’esposizione di ostacoli a misura di pargoletto.

Grandioso l’allestimento de “La mamma di Boccioni in ambulanza e la fusione della campana” di Diego Perrone che sfrutta la verticalità dello spazio espositivo dell’ex forno del pane.


Diego Perrone: “La mamma di Boccioni in ambulanza e la fusione della campana”

Interessante l’”Already Vanishing” di Bojan Šarcevic che sfrutta la singolare contrapposizione fra geometrie architettoniche e carne appena macellata per ibridizzare il film a 16mm con la scultura moderna. Davvero pregevole l’allestimento curato da Andrea Viliani su precise indicazioni del giovane artista.


Bojan Šarcevic: ”Already Vanishing”

Simpatiche infine le esplorazioni temporali su video di Loulou Cherinet e Kjersti Sundland dalla prima selezione per la TIME CODE inaugurata quindici giorni fa.

In sordina oggi ha inaugurato anche la biblioteca del MAMbo, che offre dalle10 alle 17.30 (domeniche e lunedì esclusi) accesso a tutti i più importanti cataloghi in possesso del museo d'arte contemporanea bolognese.
Simpatica la realizzazione (edizione Skira/MAMbo) dei quattro mini-cataloghi per le installazioni di Chodzko-Marisaldi-Perrone-Sarcevic per questa Step2, e bello anche format e realizzazione grafica. Peccato solo il prezzo: 20 Euro ognuno, ovvero 80 Euro per la serie dei 4 mini-cataloghi che a stento sostituiscono un vero e proprio catalogo di alto livello di una grande esposizione. 15 Euro erano più che sufficienti...

 
Inutile negare che la vita non è equa nel distribuire le sue fortune, pertanto, vivendo dalla nostra parte del mare, bisogna assolutamente fare qualcosa di concreto per aiutare gli altri. In ausilio a noi, in genere perennemente soggiogati dalle ansie del sistema produttivo, vengono svariate ONLUS che possono servire ad alleviare il pur giusto senso di colpa.
Per questo ho aggiunto al blog i link ad alcune ONG che stimo particolarmente utilizzando un servizio interessante: Bloggers for Equity.
Il Progetto prende il nome di “Bloggers for equity”, e nasce con lo scopo di rendere più visibili e più facilmente accessibili i metodi di donazione economica verso varie associazioni umanitarie. Al Progetto possono aderire tutti i proprietari di spazi Web che lo desiderano e - manco a dirlo - l’adesione è del tutto gratuita, come lo è l’intera operazione. Gli unici movimenti economici saranno le donazioni che verranno effettuate dai visitatori degli spazi Web dei Soci tramite i box di “Bloggers for equity”, che non passeranno per la nostra organizzazione; tali donazioni andranno direttamente dal donatore alle organizzazioni umanitarie sponsorizzate nei siti dei Soci. Il Progetto è sostanzialmente una vetrina per le associazioni umanitarie. “Bloggers for equity” si fonda su un doppio sistema di sicurezza e trasparenza:
* la scelta delle organizzazioni umanitarie da inserire nel Progetto è subordinata alla valutazione dell’operato della singola organizzazione umanitaria candidata da parte del Comitato Direttivo del Progetto, sulla base dei criteri della serietà e dell’affidabilità;
* il singolo Socio di “Bloggers for equity”, al momento di esporre il “Box for equity” nel proprio spazio Web, effettuerà un’ulteriore selezione, scegliendo quali e quante organizzazioni coinvolgere nel box personale dal novero di quelle a priori scremate dal Comitato Direttivo, sulla base del criterio soggettivo. In questo modo, ad un primo controllo fondato maggiormente sull’affidabilità oggettiva dell’organizzazione umanitaria se ne aggiunge un secondo che fa leva sulle inclinazioni soggettive del singolo Socio, che potrà scegliere in piena autonomia - sulla base di convinzioni personali - a quali delle organizzazioni umanitarie offrire una visibilità sul proprio spazio Web, sicuro che nel novero dal quale sceglie si troveranno solo organizzazioni verificate. Il Comitato Direttivo non suggerirà né limiterà in alcun modo questa scelta; si limiterà - se richiesto dal Socio - a fornire un parere sul singolo caso.

Francesco Minciotti
Riguardo l'affidabilità oggettiva delle ONLUS non dimentichiamoci infatti che l'uomo è uomo, ed è intrinsecamente diffettoso anche quando si concede, per "fare la carità", una qualsiasi forma organizzativa. Purtroppo, esistono anche situazioni potenzialmente imbarazzanti, come riportato ad esempio dalla trasmissione del 6 dicembre di Radioanch'io, approfFondimento giornalistico del GR1 RAI condotto dal bravo Stefano Mensurati:
06/12/2006

CHE FINE FANNO I SOLDI DEGLI AIUTI UMANITARI?
Ascolta la puntata Ascolta
Che fine fanno i finanziamenti statali della cooperazione allo sviluppo, gli aiuti umanitari dei privati al Terzo mondo, le donazioni alle campagne di raccolta Fondi per la ricerca, le offerte alla miriade di piccole associazioni no profit che spuntano come funghi nel nostro Paese? Quanto arriva a destinazione e quanto si perde per strada? E soprattutto, chi controlla? A Radioanch'io accenderemo i riflettori su di un settore dove la straordinaria abnegazione e onestà di tanta gente perbene è talvolta offuscata da una gestione dei soldi poco trasparente e tutt'altro che parsimoniosa.
L'iniziativa B4= va proprio nella direzione di un utilizzo responsabile anche dei servizi degli operatori umanitari, anche perchè è difficile in genere reperire informazioni sulla trasparenza dei bilanci e sulla effettiva percentuale di risdistribuzione dei proventi delle elargizioni volontarie incassate dalle organizzazioni Non profit.

Qundi andate sul sito di B4= ed aderite numerosi all'iniziativa facendo le vostre scelte, e, mi raccomando, occhi ben aperti, e casco sempre ben allacciato ; - )
 
Dopo l'eccellente "Amores perros", girato e prodotto nel suo Messico, anche nel successivo "21 grammi" (primo film hollywoodiano di Iñárritu) è un terribile incidente stradale ad incrociare il destino di due uomini e una donna che non si conoscono, ma che finiranno tutti schiacciati dall'enormità delle proprie colpe.
La temporalità è di nuovo magistralmente sfalsata e la fotografia ruvida e coinvolgente, ma questa volta sono tanti, troppi gli argomenti trattati (senso di colpa, dolore, lutti, droghe, trapianti, fede, peccato e redenzione, vendetta, educazione, destino) senza la minima possibilità di approfFondimento.
Dalle recensioni del sito Gli Spietati estraggo:
Avanti e indietro nel tempo, la frammentazione dei fatti per non dare allo spettatore tutte le coordinate per orizzontarsi subito in un dramma che dice che la vita, puntando dritto alla morte, incrocia il dolore; dopo l'esalazione dell'ultimo respiro l'uomo perde 21 grammi: il peso dell'anima? Inàrritu usa immagini sgranate, handycam, un montaggio studiatissimo e un certo mestiere per buttarsi addosso a tre personaggi addolorati di diverso dolore, pompa ogni singola linea narrativa fino allo spasimo, fino all'eccesso, fino alla noia. Non convince l'esasperazione tramica, il rigiramento ipertragico di una sceneggiatura che coglie tutte le occasioni per gonfiarsi di lacrime, per arrossire occhi, per adornarsi di lamenti e recriminazioni. 21 GRAMS - migliore la prima parte - è troppo lungo, troppo pensato, di ispirazione posticcia: ...leggi il seguito su Spietati.it
[Visto con Cecco, Fabbri, Paolino, Simona, Vero, Zago]
 
Quello che gli uomini non dicono / Selon Charlie (2006)"Un boomerang segna la sua traiettoria in cielo e, a seconda di come viene lanciato, torna indietro oppure no." Ai protagonisti di Selon Charlie (2006), film corale dell'attrice e regista Nicole Garcia, quello che non torna è il bilancio della propria vita: tutti devono affrontare i propri fallimenti, anche quelli che per anni si speravano rimossi. Fallimenti personali, sentimentali, famigliari, emotivi, sociali, sportivi e professionali: tanti i temi abbozzati, come oggi va di moda fare, troppi per analizzare in proFondità personaggi in situazioni di passione, non-amore, carriera, politica, malavita, consolazione, spiritualità e religione, omosessualità...
Solo alla fine tutto torna: c'è un bambino che ha il coraggio di svelare la verità rendendo evidente quello che gli adulti facevano finta di non vedere, e, nell'ultima sequenza, riesce a far ritornare il boomergang.

Locandina QUello che gli uomini non dicono

Criticato come pretenzioso e troppo esplicitamente metaforico (la scoperta dell'uomo preistorico Dirk, che pone domande sulla solitudine dell'uomo, la parabola del boomerang che infine torna indietro, etc.), in definitiva noioso, a me questo film invece è davvero piaciuto molto.
Se ci dimentichiamo di nuovo delle solite superficiali traduzioni della distribuzione italiana, col terribile titolo utilizzato (leggi anche di The Eternal Sunshine of The Spotless Mind), e con l'ancor più disarmante pay-off "il film che tutte le donne dovrebbero vedere", in realtà le piccole storie di questi piccoli personaggi di provincia non sono tristi, anzi ci vorrebbero indicare come semplici, ma intense, sono le vere gioie della vita. Il presonaggio più stupefacente? Severine, la bella giovane amante del sindaco, che ha la sfrontatezza di dire sempre le cose come stanno e di soggiogare con dolcezza e femminilità il suo superficiale uomo.
In conclusione, magari ci fosse in Italia un'industria del cinema della qualità di quella francese, che, anche quando sforna film che non saranno capolavori assoluti, riesce a colpire al cuore con intensità e sensibilità. Il cinema di casa nostra, invece, si deve accontentare di sovraesporre gli adolescenziali Muccino, Brizzi e Scamarcio, o, alla meglio, il solito ripetitivo buon Ozpetek.
Ci vorrebbe più poesia anche nel nostro cinema, più Crialese per tutti, insomma.
 
Vertigo
Il secolo di arte off-media dal Futurismo al web
6 Maggio - 4 novembre 2007
a cura di Germano Celant con Gianfranco Maraniello
MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna - Via Don Minzoni 14
Opening 5 maggio 2007


Sabato prossimo inaugura con questa esposizione che promette forse troppo l'attesissimo MAMbo (Museo di Arte Moderna), successore dopo 32 anni di servizio della GAM (Galleria di Arte Moderna) di Bologna, destinata invece a chiudere i battenti in quanto tale, mentre l'edificio di Leone Pancaldi sarà riciclato non so come dalla proprietà (l'Ente fiera di Bologna, ancora presieduto da Luca Cordero di Montezemolo).
Alle 19, solo su invito purtroppo, l'inaugurazione. Poi cena di gala per i VIP, oppure festa danzereccia per gli altri.
La prossima settimana vi faccio sapere cosa è successo davvero. Il resto lo potete leggere dai comunicati stampa o sui media tradizionali ; - ).

 
Cartellone a San FranciscoSfruttando la giustificata paura di devastanti terremoti, la Croce Rossa espone per le strade di San Francisco demagogiche immagini di distruzione del paesaggio retrostante per colpire i passanti e aiutare la raccolta di Fondi.
"Cosa dobbiamo fare per avere la tua attenzione? Preparati". Con questo messaggio scioccante e delle istallazioni che sfruttano illusioni ottiche, la Croce Rossa di San Francisco cerca di sensibilizzare la popolazione sul pericolo terremoti in una zona ad elevato rischio sismico come la Bay Area.

da Repubblica.it
Cartellone a San Francisco

 
PHOTO MARTIN PARR/MAGNUM PHOTOS

Nell'ambito del progetto artistico WeAreAllPhotographersNow!, sul blog dell'iniziativa il Musée dell'Elysée di Losanna pubblica un'intervista a Martin Parr che sta facendo il giro del mondo per via di alcune sue previsioni sul futuro della fotografia.

Martin Parr è uno dei migliori shooter istintivi al mondo: oltre che membro di Magnum Photos, è anche autore, fra le altre cose, di "Boring Postcards" e "Bliss: Postcards of Couples and Families". Nel suo intervento spiega come le comuni fotoricordo di famiglia rappresentino una qualche forma di propaganda, poi espone qualche sua opinione tecnica, e quali sono i suoi piani futuri. Infine pronostica la dismissione di Corbis e Getty a favore di flickr, e presenta quello che potrebbe essere il miglior business model per avere successo con la fotografia. Ma, soprattutto, ci ricorda di come sia terribile, piena di clichée sostanzialmente noiosa gran parte della fotografia amatoriale.

Una delle parti più sconcertanti è proprio quando Parr parla di un lavoro che il suo collega in Magnum Photos Bruce Davidson avrebbe perso in favore di Rebekka Guðleifsdóttir. Forse si riferisce a questo.

    “All the boundaries are collapsing. One of the things that’s interesting about flickr, is that it’s probably emerged as the most intelligent photo-sharing site - it’s become the brand leader. And what will happen with flickr is that within five years it will start licensing pictures. In other words, they’ll be part of the Getty Corbis machinery…the agencies are concerned about this. It’s something we discuss at Magnum…”

    “…within five years flickr will emerge as one of the major sources for licensing imagery…”

    “…the other point about flickr, is I can’t tell you how bad the most of the pictures are. I mean, we see this in the site up there (at Musee de L’Elysee) the noise of this contemporary photography is relentless and ultimately, nullifyingly boring.”

    “…we have this amazing interest, resurgence in photography, a renaissance, but boy do we have to wade through a lot of rubbish in order to get to anything half-decent.”

    “…the best business model is to have fantastic pictures, that have a unique vision and say something different. And you get away from the turgid quantities of cliches and propaganda which we see not only surrounding our lives, but we also see in the exhibition here.”

    “…I’m totally in favor of flickr. I haven’t spent enough time trawling through flickr to find the new stars who may be emerging on flickr itself…”

    “… but the last thing I’m going to do - is looking at flickr for my stars of the future.”

    “I come back to this individual voice in homogenized times. Connecting with a subject matter, doing it with passion, resolving a set of pictures, coming out with a personal statement - there’s always going to be room for that, because we still, whatever the process, whatever the method, we still need stories that touch us as human beings.”

Scarica l'intervista in formato mp3

Ovviamente lui ad un business model basato su flickr per i suoi lavori non ci crede. E' facile parlare a ruota libera senza approFondire alcunché, vero Martin?

(via 2point8.whileseated.org)
 
Sono passati quasi quarant'anni dalla costruzione di uno dei più orrendi mostri industriali italiani, il polo siderurgico/petrolchimico di Taranto (a lato, PHOTO DAVIDE GAZZOTTI), che ha causato direttamente ed indirettamente centinaia, anzi miliaia di vittime, quando finalmente qualcuno, per vendere un paio di copie in più (visto che ora tutto ciò fa audience come non succedeva 10 o 20 anni fa) sparge fiumi di inchiostro sull'argomento. "La Puglia dei Veleni" è il titolo dell'approFondimento di G. Riva su L'espresso ora in edicola.
Taranto è ultima per la classifica del 'Sole 24 Ore' in quanto ad ambiente. I 1.200 decessi annui per neoplasie la collocano nettamente sopra la media nazionale. Insomma c'erano tutti i motivi per dichiararla città ad alto rischio ambientale
In realtà, dopo le mille battaglie perse contro i signori dell'industria pesante e dell'energia italiani che disperdono nell'ambiente da Taranto a Brindisi tonnellate di sostanze cancerogene l'anno, il protocollo di Kyoto è forse rimasto l'ultimo spauracchio che potrebbe far cambiare le cose. Da L'espresso:
Primo, secondo e terzo posto, podio tutto pugliese nella classifica dei dodici impianti italiani che producono più anidride carbonica, responsabile dell'effetto serra e dunque del surriscaldamento del Pianeta. Nell'ordine: centrale termoelettrica Enel di Brindisi sud 15.340.000 tonnellate l'anno di CO2; Ilva di Taranto 11.070.000; centrali termoelettriche Edison di Taranto 10.000.000.
Io, che per storia personale la Puglia conosco ad amo, poco ho da aggiungere al tanto sbraitare, se non qualche sbiadito romantico ricordo d'infanzia in banco e nero, sperando sempre che non succeda, magari proprio con in carica un governo di sinistra, che il Protocollo di Kyoto venga disatteso legalmente da tutti perchè dichiarato inapplicabile per decreto.


PHOTO DAVIDE GAZZOTTI

UPDATE 12 Aprile 2007 - Su Repubblica.it del 3 marzo 2007, nell'articolo Bancarotta e Fatalismo - Così muore Taranto leggo di Taranto parole accorate e disperate:
Taranto fu una nobile capitale della Magna Grecia incastonata fra le acque, una città di laguna, una Venezia delle Puglie, con lo splendido borgo antico dietro il castello aragonese e il quartiere ottocentesco stretti fra Mare Piccolo e Mare Grande, che nell'ultimo secolo ha subito colossali invasioni barbariche. Prima l'Arsenale del Regno, poi la Base Navale, la prima nel Mediterraneo, quindi la Fabbrica. Ora la città non è più né bella né brutta. E' una tavolozza impazzita, un impasto violento di luce, acqua, cemento, fuoco e acciaio, con angoli d' incanto e squarci spaventosi.

Da ogni punto incombe l'ultimo grande paesaggio industriale d' Italia, la riserva indiana del fordismo. L'Ilva, ex Italsider, ora gruppo Riva, sovrasta la città, la domina con le sue ciminiere e si mangia ancora due terzi del gigantesco porto. E' il primo impianto siderurgico d' Europa, un dinosauro più grande di Mirafiori, tre volte più esteso di Taranto città, dieci milioni di tonnellate d' acciaio all'anno, duecentocinquanta chilometri di ferrovia interna, altiforni imponenti come dolmen, distese di tubi a perdita d' occhio. Da quarant' anni i tarantini la chiamano il Mostro. Da quarant' anni distribuisce vita e morte, e non è un modo di dire. Oggi ci lavorano quindicimila operai ed erano trentamila ai tempi dell'industria di Stato.

Nella sua storia si contano centottanta caduti sul lavoro, ottomila invalidi, dieci o forse ventimila morti di cancro e leucemie, dipende dalle stime. Il gioco dei bambini del rione Tamburi, a ridosso del Mostro, è svegliarsi e indovinare di quale colore è il cielo del mattino. Di rado è blu, a volte arancione o viola, più spesso di un rosso mattone, uguale a quello ormai incrostato ai tetti delle case e sulla strada del cimitero.

Da sola l'Ilva sputa nell'aria di Taranto il 10,2 per cento di tutto l'ossido di carbonio prodotto in Europa. Ma fino a dodici anni fa, in cambio di tanto dolore, la Fabbrica garantiva almeno il mito del "posto sicuro" nella cuccia calda dell'impresa di Stato. Nel '95 l'Ilva è stata privatizzata dal governo Dini, peraltro a un prezzo un po' troppo basso (1.700 miliardi di lire) ed è arrivato un padrone bresciano, Emilio Riva, ben deciso a imporre nella città-stato tarantina la legge del mercato, con le buone o con le cattive. Ma quasi sempre con le cattive.

In un decennio Riva ha mandato via la metà degli operai, spezzato le reni al sindacato, quadruplicato gli utili e collezionato una serie di processi e condanne, l'ultima di tre anni per mancate misure di sicurezza e inquinamento. E' rinviato a giudizio per una pessima storia di mobbing divenuta celebre, quella della "palazzina Laf", una specie di baracca dov' era rimasto confinato per mesi un pugno di sindacalisti ostinati, senza lavoro e senza una sedia o un tavolo. La privatizzazione dell'Ilva ha segnato lo spartiacque nella vita cittadina. Gli operai licenziati si sono messi a fare gli artigiani e a "coltivare il mare" da vecchi contadini mai diventati marinai. Ogni palo di cozze a Mare Piccolo è un ex operaio dell'Ilva. Le imprese dell'indotto siderurgico prima si sono rivolte fuori, verso il boom di Bari e del Salento, poi si sono spente, una dopo l'altra. Gli operai tarantini avevano costruito la piattaforma del ponte fra Danimarca e Svezia, ma anche la Belleli ha chiuso i battenti due anni fa.

"Senza più posto fisso, la città ha finito per attaccarsi alle ultime mammelle di Stato, la sanità e il Comune, fino a succhiare l'ultimo euro". E' l'analisi del presidente della Provincia, Giovanni Florido, ex sindacalista dell'Ilva e più probabile candidato del centrosinistra alla poltrona di futuro sindaco, nelle elezioni di primavera. Si è trattato di scegliere fra il fallimento della pubblica amministrazione e la bancarotta delle famiglie ed è andata com'era facile immaginare.

Ora la città aspetta che qualcuno faccia "il Miracolo". Ma come nel bellissimo film di Edoardo Winspeare girato nella città vecchia, è un miracolo che soltanto la volontà dei tarantini può compiere.
 

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