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di davide del 06/09/2010 in Blogging,  124761 link
DSLR
Il 2010 è l'anno in cui la Reflex Digitale diventa fenomeno consumer di massa. Ecco perchè sempre più spesso amici e conoscenti proprio quest'anno mi fanno sempre la stessa domanda: "quale reflex digitale cosigli per iniziare?". Quasi tutti provengono dall'esperienza con fotocamere digitali compatte, e pochi da fotocamere "super-zoom".
Di seguito elenco alcune reflex digitali (DSLR) sotto i 1000 Euro con ottica a corredo. Hanno tutte autofocus efficace, scatto immediato, mirino ottico con visione attraverso l'obiettivo, sensore di grandi dimensioni (formato "APS-C", poco meno delle dimensioni della pellicola formato "35mm" tradizionale) con nitidezza e sensibilità molto superiori alle fotocamere compatte, dotate di sensore di dimensioni inferiori. Lo schermo posteriore serve quasi esclusivamente a rivedere le immagini già scattate, non a inquadrarle. Forniscono tutte ottimi file codificati direttamente in formato standard JPEG, ma possono scattare anche in un formato proprietario di alta qualità (detto RAW), che rappresente l'equivalente digitale del negativo dei tempi della pellicola: è possibile "sviluppare" manualmente i file RAW mediante appositi software su PC in modo da ottenere risultati personalizzati, sempre in formato JPEG (lo standard per la visualizzazione su PC e la stampa fotografica).

Di Canon:
Canon EOS 550D:
oppure (da ottobre), la sorella maggiore con mirino migliore, AF e scatto più veloce, e più facile da usare in manuale:
Canon EOS 60D:
Di Nikon:
Nikon D3100 (appena uscita):
oppure, la sorella maggiore con mirino e schermo LCD migliori, AF e scatto più veloce, e più facile da usare in manuale:
Nikon D90 (sarà sostituita dalla D7000 da ottobre):

Alternativa Olympus:
Olympus E620:
che offre qualità analoghe alle più blasonate Nikon e Canon, in un corpo macchina più compatto e leggero (grazie al sensore formato "4 terzi", lievemente più piccolo di quello in formato "APS-C" delle altre DSLR sopra elencate).

Qualità: Pixel e Obbiettivi
Più o meno tutte hanno fra i 12 e 17 MegaPixel, ma non fa tanta differenza a questi livelli perchè da 10Mpix in su (di una Reflex) si è già superata la qualità di pellicola+scansione (i MPix di una compatta, essendo il sensore di dimensioni ridottissime, non sono confrontabili con quelli di una Reflex di grandi dimensioni come queste). Più differenza la fanno gli obiettivi, e quelli standard di dimensioni ridotte a corredo con le reflex citate sono ovviamente modelli base, ma sufficienti per iniziare a fare le cose seriamente. 
L'obiettivo standard per le reflex digitali in formato APS-C come queste è in genere uno zoom 18-55mm (da grandangolare a piccolo tele, equivalente su pellicola al classico zoom 28-80mm) con luminosità limitata (f/3.5-5.6). A Volte vengono proposti un abbinamento con uno zoom più spinto verso il tele (es. 18-135mm), oppure abbinamento con coppia di ottiche 18-55 e un teleobiettivo vero e proprio (es. 55-200m f/4.5-5,6): l'accoppiata di 2 zoom ha qualità e prestazioni superiori al singolo zoom più spinto, ma ha l'inconveniente di richiedere il cambio obiettivi.
L'obiettivo che utilizzo per il 90% degli scatti ha una focale di 17-55mm analoga a quelli degli zoom compatti di serie con le reflex di cui sopra, ma ha una luminosità doppia o tripla (f/2.8), ed è per questo che è così pesante e di grandi dimensioni.
Altra prestazione delle ottiche utile sul campo è il sistema di riduzione vibrazioni (Canon la battezza "IS", Nikon "VR", Sony incorpora la funzione nel corpo macchina).

Conclusioni
Tutto sommato, per quanto è disponibile oggi 6 settembre 2010 nei negozi (o online), la macchina più aggiornata per cominciare a fare le cose seriamente e con il miglior rapporto prezzo/prestazioni è la Canon EOS 550D con un ottica "IS". Oppure la Nikon D90 con un ottica "VR" (qualche megapixel in meno, ma ergonomia e precisione superiori).

Il mercato
Altro marchio emergente (azienda che spinge sia con innovazioni che con strategie di marketing aggressive) è la Sony, che ha rilevato un paio d'anni fa il business delle macchine fotografiche di Minolta.  Le Panasonic, Samsung e Olympus hanno solo prodotti entry level, anche ottimi (Oly e Panasonic), e/o dal marketing molto aggressivo (Samsung), mentre Pentax è in grossa crisi di identità (e di mercato), dopo l'acquisizione del settore "photo" da parte di Hoya/Tokina. Il resto del mercato è fatto da una miriade di prodotti compatti di fascia bassa, o da soluzioni esoteriche per fotoamatori super-tecnofili, dal rapporto prezzo prestazioni decisamente dubbio, e di fatto raramente utilizzate davvero dai professionisti nel campo del reportage, advertising o fashon.

Negozi fisici
I negozi fisici, rispetto a quelli online, garantiscono un livello di servizio (consulenza e assistenza) altrimenti impossibile da ottenere, al costo di davvero solo pochi euro in più.
Un negozio in centro a Bologna dove sono molto forniti e hanno un supporto specialistico dedicato alle reflex digitali è l'Immagine di Via Manzoni 6: http://www.limmaginefotocine.it/ ma ne esistono anche altri più storici o meno.

Le FAQ:
1) sono macchine "professionali" quelle consigliate?
     Sono macchine posizionate nel segmento "consumer", ma che possono offrire risultati del tutto analoghi a quelli delle macchine "professionali", soprattutto sfruttando utilizzando al meglio le ottiche e scattando nel formato RAW. Ecco perchè sono tutte DSLR di successo, molto diffuse.
2) cosa ha in più una DSLR del segmento "professionale" rispetto ad una DSLR "consumer"?
     - qualche pixel in più, ma non è detto in quanto 12/14 sono sufficienti per molte applicazioni professionali.
     - un sensore ancora più ampio dell'APS-C, ad esempio il pieno formato della pellicola "35mm", per maggiore sensibilità e migliore resa generale, ma non è detto perchè i fotografi di sport e naturalistici preferiscono i sensori APS-C che meglio sfruttano le ottiche esistenti per inquadrare soggetti lontani.
     - un mirino più preciso, più ampio e più luminoso, per inquadrature più facili anche al buio.
     - un autofocus più veloce e con più punti sensibili dell'inquadratura.
     - uno scatto a raffica ancora più veloce, ma i 3 fotogrammi al secondo delle macchine consigliate non sono pochi.
     - una carrozzeria in lega di metallo e non in plastica, magari con guarnizioni stagne a prova di pioggia. Di contro è più ingombrante e più pesante.
     - possibilità di usare doppie batterie e doppie schede di memoria per aumentare a dismisura l'autonomia in campo, ma già la durata delle batterie e delle schede oggi disponibili sulle macchine consigliate è sufficiente per moltissimi usi.
3) Molte Reflex recenti (e tutte quelle consigliate esclusa la Olympus) possono registrare spezzoni video in HD. E' una funzione utile?
     E' una funzione molto utile, ma che non sostituisce una telecamera dedicata (compatta o professionale) per registrare falcilmente molti video di alta qualità. Comunque realizzare video è molto diverso dallo scattare foto, sia in sede di ripresa, che in sede di post- produzione. E' un gadget simpatico, e permette la realizzazione di filmati di alta qualità video e ottica, grazie al parco ottiche diponibili per le reflex e all'effetto sfocata molto cinematografico possibile solo con sensori di grandi dimensioni come gli APS-C.

 
Locandina de La Sconosciuta di Giuseppe Tornatore E' un film violento, a Volte ingenuo, ma venato di suspence questo "La sconosciuta" di Giuseppe Tornatore, con tratti del cinema di genere, e con un crescendo molto intenso. E' la storia di Irena, giovane donna ucraina che fa la donna delle pulizie. In un bel palazzo dove vivono molte famiglie di orafi, Irena riesce a diventare amica della tata di casa Venacher e poi a sostituirla. Tutto per stare vicino a Tea, una bella bambina che ha i suoi stessi riccioli castani, ma il suo passato di abusi e prostituzione continua a tormentarla, e torna a fare capolino...
"Il dna del film deriva da un fatto di cronaca, letto tanti anni fa su un giornale e che ho ritagliato, come fanno tanti registi. Era la storia di una donna che in complicità con il marito partoriva figli da vendere. Poi la storia è andata in un'altra direzione. Ho scelto il registro del mistero perché non avevo intenzione di fare un film di denuncia, se si vuole denunciare qualcosa si fa un esposto in polizia".
[Da un intervista a G. Tornatore]

Bravissima la bella e sconosciuta ucraina Xsenia Rappoport, e al meglio, per un film interamente italiano, anche il cast, che comprende Pierfrancesco Favino e Claudia Gerini nel ruolo del padre e della madre di Tea, Piera Degli Esposti in quello della prima tata di casa Venacher, Alessandro Haber viscido portiere del palazzo e Michele Placido nei terribili panni di "Muffa", il protettore violento e vendicativo di Irena. [Visto solo]
 
Rockstar di Luigi Milani (sx) e Kurt Cobain (dx) Leggere “Rockstar†di Luigi Milani è un piacevole rientro alle atmosfere del grunge dei primi anni '90, quell'ibridazione rock che finalmente spedì nel dimenticatoio i suononi yuppistici di troppo pop anni '80.
L'inizio degli anni '90 musicalmente è stato dominato da loschi capelloni che indossavano jeans sdruciti e camicie di flanella a quadrettoni. Erano gli anni del grunge, dei riff di chitarre distorte ad accompagnare voci roche ed esistenzialiste.
Il romanzo ruota attorno alla precoce scomparsa di Phil Summers, leader dei Chaos Manor, nei sobborghi londinesi.
Dopo anni di successi interstellari, la rapida caduta, dovuta alla morte della sua tanto amata Marie, anch'essa leader di un gruppo rock.
Ma sarà davvero morto? In fondo del suo corpo sono state trovate solo un mucchio di ossa incenerite. A questa domanda cerca di dare risposta Kathy Lexmark, ex vee-jay in cerca di identità.
[da booksblog]

Se è fin troppo facile identificare Phil Summers nel mediaticamente iper-compianto Kurt Cobain, il tenebroso Frank Colan, il fotografo di tutta la musica Rock, ricorda l'Anton Corbijn che ha fotografato e ripreso tutti, ma proprio tutti, i tratti somatici della musica pop, almeno dagli anni ottanta in poi. Un uomo indurito dall'aver continuamente dovuto affrontare il vertiginoso bilico fra l'essere e l'apparire. In difficoltà con la propria vita ancor prima di dover affrontare la prova definitiva, quella della malattia.


PHOTO ANTON CORBIJN

U2 - PHOTO ANTON CORBIJN

Depeche Mode - PHOTO ANTON CORBIJN
Depeche Mode - PHOTO ANTON CORBIJN

Davvero notevole la prosa nei momenti a forte impatto emozionale, nei quali vi è perfetta simbiosi fra personaggio, ambiente circostante, accadimento e descrizione dell'autore. Altre Volte il lessico, forse inframezzato da alcuni tecnicismi di troppo, tradisce il background dell'autore, ma non toglie scorrevolezza ad una narrazione che fin dal principio trascina il lettore alla scoperta di una verità su di una realtà di vita che è invece influenzata da sogni e dal paranormale.

Per chi, come il sottoscritto, ha seguito molto da vicino, o addirittura dal di dentro, i meccanismi dello show-business, “Rockstar†ripropone la semplice verità che esiste dietro ogni impresa commerciale, ovvero che l'espressività, l'emozione, l'arte... lasciano il posto all'intrattenimento, a qualsiasi costo. Musica, teatro, arte contemporanea che sia.

Chi è Luigi Milani
Luigi MilaniLuigi Milani è nato a Roma, città dove vive e lavora, nel 1963. Scrive di musica e tecnologia da oltre un decennio. Ha collaborato con le riviste M Macintosh Magazine e Virtual, occupandosi, tra l’altro, di recensioni letterarie e di interviste a personaggi del mondo dell’arte e dello spettacolo. Negli stessi anni ha curato per Agorà Telematica e MIX on Line la gestione di diverse aree tematiche. Attualmente scrive per Applicando, rivista leader della comunità Apple, e collabora con alcuni siti Web a carattere musicale. Sul finire degli anni Novanta ha realizzato i testi dei siti Web di alcuni noti personaggi del mondo dello spettacolo. In veste di sceneggiatore e consulente tecnico ha collaborato con una piccola società di produzione cinematografica di Roma. È autore di un blog molto frequentato, False Percezioni.
Compare con tre racconti nell’antologia “XIIâ€, il primo volume di racconti scritti da dodici autori italiani indipendenti incontratisi nella Rete, pubblicato con il sistema print on demand dell’editore statunitense Lulu.
[da Livia Bidoli su La Repubblica/Roma]

Link al libro su Lulu: http://www.lulu.com/content/600141
Blog di Luigi Milani: http://falsepercezioni.blogspot.com/

 
Il suo patinato formalismo è agli antipodi rispetto al mio modo a Volte "sporco" di vedere il reportage in modo fotogiornalistico. Malgrado ciò, non si può negare che Monte Zucker fosse forse il più noto e il più imitato dei fotografi del "matrimonio tutto in posa, in cui sembrare bellissimi".
Scolastico proprio fino alla morte: poco prima di morire aveva tramutato il suo scolastico modo di trasformare con la luce la realtà in qualcosa di leggero e possibile, in una istituzione educativa per futuri emuli del suo classicismo ritrattistico. Delle sue facili tecniche di posa e ripresa ha lasciato anche qualche appunto on-line.
Ho letto solo oggi su washingtonpost.com che è venuto a mancare questa celebrità molto glocal.
Adieu Monte. Tutti i principianti del mondo sentiranno la tua mancanza.


PHOTO DAVIDE GAZZOTTI


PHOTO DAVIDE GAZZOTTI

 
Roberto Bozzetti - DJ Pappa Rodriguez - in 'Paris, Dabar'
Bologna, Via del Pratello: una quarantina di persone si sfidano in una gara mitica che nel suo percorso attraversa quattro bar. Ogni tappa, un bicchiere. Ogni bicchiere, un tot di punti. Vincerà chi, in quattro ore, riuscirà a totalizzare più punti o, molto più realisticamente, a rimanere in piedi.

Il film si snoda come una specie di documentario tra le personalità dei concorrenti. Ma se guardiamo più a fondo il film è effettivamente un documentario, infatti molte delle persone coinVolte nel progetto sono artisti, poeti, dj e tant'altro, e nel film non fanno che interpretare sé stessi.
Di tutti i personaggi che partecipano alla gara, il film deve ovviamente fare una cernita, ed è per questo che i caratteri "pienamente" sviluppati, sono meno di una decina. Naturalmente la trama è soltanto un pretesto: qui l'unica cosa che conta sono le vite "diverse", le speranze, i dubbi di tutti loro.
La città rappresentata in questo film ricorda quella Bologna viva degli anni settanta, con i suoi raduni, i centri sociali, gli Skiantos, così come l'ho sempre immaginata. In più c'è da aggiungere quell'atmosfera alla Ligabue di "Radio Freccia" (tra l'altro nel film c'è Radio K che trasmette in diretta la gara).
Ma se torniamo ai personaggi, possiamo osservare come alcuni siano perfettamente descritti, altri un pò meno. Una menzione speciale la meritano il Pappa (Roberto Bozzetti, che nella vita fa il dj) che, se vincesse vorrebbe solo per un attimo riabbracciare la madre; Osvaldo (Osvaldo Caracciolo, nella vita è un attivista politico nonché marinaio) che è una sorta di Guccini all'ennesima potenza e dulcis in fundo il Trippo (Guido Cristini, co-sceneggiatore del film) personaggio mitico che sembra continuamente "fatto", ma che è assolutamente straordinario. In confronto a questi tre (forse potremmo aggiungervi il Zani e Mario, che nella vita sono artista e poeta, e nel film sono eccezionali!), gli altri personaggi passano un pò in secondo piano. Essendo alcuni personaggi molto riusciti, altri meno, il film alterna momenti alti e momenti bassi. Nel complesso però si sente una sincerità di fondo che non può far altro che piacere (un vero film indipendente!).
Alla fine, più che il premio in palio, l'importante è il farsi capire, poter spiegare quello che si sente dentro di modo che esca fuori ciò che è veramente importante: la "normale" poesia di tutti i giorni.

Renato Massaccesi su filmp.com

Al 47esimo minuto di film, apparivo per errore anch'io subito dietro un trombettista in strada: macchina fotografica al collo, ovviamente... solo un pelo più magro, col ciuffetto, e qualche sogno in più. : - )
 

La prima cosa che colpisce del lavoro del fotografo Ceco Jan Saudek è che le persone nelle sue fotografie di nudi sono gente comune, persone della porta accanto, e non supertop da copertina. La seconda che molte delle sue immagini sono divertenti: ricordo ancora il pomeriggio della fine deglia anni 90 in cui, in una libreria in centro, con un amica e un'avventore causale, girammo assieme le pagine di uno dei suoi primi libri sbellicandoci dalle risate.

Le sue immagini esplorano più i sogni che la realtà, sebben fortemente caratterizzate dalla sanguigna personalità sempre espressa dalla persona ritratta, e dall'uso della colorazione manuale dell'immagine che produce per se un effetto onirico e non realistico, anche se, ad onor del vero, la scelta di Jan fu dettata dalla accidentale difficoltà di reperire pellicole e sviluppi a colori. Le sue immagini sono contemporaneamente un pugno nello stomaco ed un gioioso inno alla vita, sprizzano forza da tutti i pori, a Volte in modo divertente, a Volte pateitco, o altre Volte un pelo volgare... proprio come la vita vera.

Da un paio di anni Jan Saudek si è dotato di un grandioso sito internet con quasi 400 sue immagini online, ed anche alcune della sua modella/musa/moglie Sarah. Obbligatoria la vista, senza fretta, e la riflessione: sulla vita in genere e sul modo tutto particolare di Jan e Sarah di comunicarla.

 
Sàra incinta


2 Big 4 U
1981


Rainbow


Espada
1996


Parabellum


Sonho alusivo
1976


Untitled
1987


Luisa
1987


Phorographer as Jesus
1991



TV Lovers
1991



A conquista do Paraíso
1995


Shy Congratulators
1996



Pieta
1997


Vendedor de carne branca
1997





Rapariga checa cantando
1990


Ida
1990



Untitled
2003


La tecnica di Jan Saudek

Jan Saudek è uno di questi, egli è considerato uno dei principali artisti cecoslovacchi contemporanei, è un grande fotografo, un eccellente pittore e fine calligrafo. Nato nel '35 è sopravvissuto alla deportazione nazista mangiando erba e dentifricio. Durante gli anni del regime Saudek, che ancora non era conosciuto come artista, lavorava in fabbrica (e lo ha fatto per 32 anni) ma durante il tempo libero coltivava la sua passione per l'arte e la fotografia nell'umida cantina di casa sua.

In questo modo la sua personalità artistica diventa sempre più forte e sempre più definita. Le sue immagini parlano di maternità, di esibizionismo, di feticismo ma anche di parodia del corpo umano, con uno stile assolutamente unico e inimitabile.

Le modelle sono, in genere, sue amiche o conoscenti, come la sua bella compagna e altrettanto valida artista Sára Saudková, che fotografa spesso insieme alla sua amica Olga. Nelle foto di Saudek appare un unico uomo: egli stesso. Dice che non lo fa per narcisismo ma per semplificarsi la vita perchè gli uomini quando devono posare nudi sono sempre impacciati e imbarazzati così fotografa se stesso e risolve il problema.

Non sempre è soddisfatto delle proprie opere ma ammette che se vedesse le sue foto fatte da qualcun altro morirebbe di invidia. Dichiara in un intervista rilasciata in occasione della pubblicazione di un suo libro: "Se una fotografia non racconta una storia non è una fotografia. Forse è la storia di tutti i nostri pensieri, quelli che diventano pubblici e sfidano i luoghi comuni e quelli che per pudore restano confinati".

Le sue foto, in origine erano in bianco e nero o virate seppia, poi decise di sottoporre alcuni amici ad un test: mostrò loro tre versioni di una stessa foto, una in bianco e nero, una virata seppia ed una colorata a mano, tutti scelsero quest'ultima, così prese la decisione di colorare manualmente i suoi scatti in bianco e nero con colori trasparenti ad acqua dando vita a capolavori di straordinaria bellezza.

Le riprese, durante i suoi primi anni di carriera artistica, venivano effettuate in una cantina, usando come sfondo un muro scrostato dall'umidità che era perfetto per sfumature e tonalità di grigio che restituiva alle foto. Ora può permettersi diversi appartamenti anche lussuosi ma in tutti ha riprodotto quello stesso muro che ha usato tante Volte in gioventù.

[di Annamaria da sestazona.it]
 
E' vero, dopo Cristicchi questa è proprio la conferma della ruffiana deriva pseudo-social nella musica pop italiana e non solo. Da Mello leggo addirittura che Fabrizio Moro non sembra neppure una cima, ma, malgrado tutto, anche a me piace “Pensa”. Ecco il buon video di Marco Risi e, a seguire, il testo
Ci sono stati uomini che hanno scritto pagine
Appunti di una vita dal valore inestimabile
Insostituibili perché hanno denunciato
il più corrotto dei sistemi troppo spesso ignorato
Uomini o angeli mandati sulla terra per combattere una guerra
di faide e di famiglie sparse come tante biglie
su un'isola di sangue che fra tante meraviglie
fra limoni e fra conchiglie... massacra figli e figlie
di una generazione costretta a non guardare
a parlare a bassa voce a spegnere la luce
a commententare in pace ogni pallottola nell'aria
ogni cadavere in un fosso
Ci sono stati uomini che passo dopo passo
hanno lasciato un segno con coraggio e con impegno
con dedizione contro un'istituzione organizzata
cosa nostra... cosa vostra... cos'è vostro?
è nostra... la libertà di dire
che gli occhi sono fatti per guardare
La bocca per parlare le orecchie ascoltano...
Non solo musica non solo musica
La testa si gira e aggiusta la mira ragiona
A Volte condanna a Volte perdona
Semplicemente
Pensa prima di sparare
Pensa prima di dire e di giudicare prova a pensare
Pensa che puoi decidere tu
Resta un attimo soltanto un attimo di più
Con la testa fra le mani
Ci sono stati uomini che sono morti giovani
Ma consapevoli che le loro idee
Sarebbero rimaste nei secoli come parole iperbole
Intatte e reali come piccoli miracoli
Idee di uguaglianza idee di educazione
Contro ogni uomo che eserciti oppressione
Contro ogni suo simile contro chi è più debole
Contro chi sotterra la coscienza nel cemento
Pensa prima di sparare
Pensa prima di dire e di giudicare prova a pensare
Pensa che puoi decidere tu
Resta un attimo soltanto un attimo di più
Con la testa fra le mani
Ci sono stati uomini che hanno continuato
Nonostante intorno fosse tutto bruciato
Perché in fondo questa vita non ha significato
Se hai paura di una bomba o di un fucile puntato
Gli uomini passano e passa una canzone
Ma nessuno potrà fermare mai la convinzione
Che la giustizia no... non è solo un'illusione
Pensa prima di sparare
Pensa prima di dire e di giudicare prova a pensare
Pensa che puoi decidere tu
Resta un attimo soltanto un attimo di più
Con la testa fra le mani
Pensa.

Fabrizio Moro - Pensa
 
Luigi Milani di False Percezioni pubblica una chiacchierata con Antonella Beccaria intitolata L'informazione tradita. Diversi gli argomenti affrontati: il modo in cui i giornali hanno tratto il caso di Rignano Flaminio, l'atteggiamento dei blog di fronte a storie di straordinaria isteria a mezzo stampa, pressioni e attendibilità su web e altro ancora.
(via Antonella Beccaria)
Fa scandalo Sex Crimes and the Vatican, un documentario della BBC sui preti pedofili. Se ne parla molto anche in Italia perchè è stato finalmente pubblicato sul web coi sottotitoli in italiano. Dura tre quarti d'ora. Solo ieri è stato visto 60'000 Volte.
(via Generazione Blog)
 
A quasi quarant'anni dai "Manicomi" di Gianni Bernego Gardin e Carla Cerati, non innova ma continua ad emozionare il reportage sociale di Francesco Cocco, anche lui della scuderia Contrasto, in mostra da ieri fino al 30 marzo alla Sala Santa Rita di Roma.
Gianni Berengo Gardin stesso, nell'introduzione della ristampa del suo storico lavoro, sostiene che: "Spesso non è necessario mostrare foto agghiaccianti per raggiungere un obiettivo. A Volte può essere più efficace una fotografia più, come dire, coinvolgente dal punto di vista umano. Che stabilisca un rapporto emotivo e di solidarietà tra il soggetto fotografato e chi guarda la fotografia. Un atteggiamento, uno sguardo un'espressione. Altrettanto importante è non inflazionare i mezzi di comunicazione con fotografie di violenza poiché, come è già stato detto e scritto, la gente non reagisce più e si verifica una sorta di assuefazione" (leggi l'intervista su informatissimifotografia.it).
E le immagini di Cocco sono ottima prova di quanto sono vere queste parole.


PHOTO FRANCESCO COCCO/CONTRASTO
Da Repubblica.it di oggi:

ROMA - Istantanee scattate nelle celle e nei corridoi delle carceri italiane. Un viaggio insolito, per ritrarre quello che comunemente rimane nascosto: l'esistenza quotidiana dei detenuti. Uomini e donne che si sono fatti ritrarre dal fotografo Francesco Cocco e che parlano, attraverso questi scatti.
Le immagini, raccolte nella mostra "Prisons" promossa dal Comune di Roma in collaborazione con "Contrasto", sono visibili a Roma alla sala Santa Rita fino alla fine di marzo.
[...]
Sono immagini scarne, a tratti dolorose e impietose, che non cercano abbellimenti. Le fotografie, in bianco e nero, sono state realizzate tra il 2001 e il 2005 nelle carceri di Milano, Modena, Palermo, Bologna, Trani, Roma, Messina, Prato, Torino, Cagliari, Alghero, Pisa e sono state raccolte nell'omonimo volume "Prisons" pubblicato in Italia da Logos nel 2006, con testi di Adriano Sofri e Renata Ferri.
Scatti che testimoniano un mondo a parte, di cui conosciamo l'esistenza ma che non vediamo, e di cui raramente ci occupiamo.
E' uno specchio duro e oscuro, ma vale la pena di affrontarlo. Anche perché in queste immagini c'è, come nella migliore fotografia, tanto racconto. "Alla fine del libro – scrive Renata Ferri – vorremmo saperne di più, vorremmo conoscere ogni storia dietro ogni volto, vorremmo sognare un lieto fine per ognuno di loro". Come nelle favole.

dal n°63 di Golem l'Indispensabile
 
di davide del 13/08/2006 in Blogging,  1412 link
Oggi mi hanno telefonato per offrirmi un lavoro importante. Avevo più Volte lavorato per "loro" in passato, e con soddisfazione reciproca. Poi interessi particolaristici avevano fatto scegliere qualcun'altro al mio posto....
In questo momento, buon per me, mi trovo a Dublino (Irlanda) con ben altro da fare. Peccato ; - )
 
La Gapminder di Hans Rosling ha sviluppato un innovativo software per visualizzare dati statistici con video animazioni: è in grado di rappresentare dati multidimensionali mediante accattivanti rappresentazioni animate che vanno oltre le tradizionali tecnologie di OLAP e reporting attualmente diffuse sul mercato. Hans in questo intervento alla TED Conference dimostra una bravura narrativa degna dell'Adriano De Zan dei tempi d'oro come ci fa notare Luca De Biase:

Il prof. svedese ha portato i suoi concept in giro per il mondo con comunicazione tanto efficace che è del 18 marzo la notizia che Google compra Gapminder.

Da venturebeat leggo:
Google buys Gapminder, a graphical display company
By Matt Marshall 03.19.07 7:58 AM

Google has acquired Swedish non-profit company Gapminder that produces visually attractive graphics to display facts, figures, and statistics in presentations.
See the site's new home page for an example of what it does, which includes moving graphics and other effects. Hans Rosling, a scientist who led the company, gives an entertaining presentation of the company's offerings at TED. He explains how important public data from UN, government institutions and universities has been hidden in the basement of databases, but that it not been available on the Web in a search format, and that is what Gapminder, as a non-profit had been trying to pursue. The TED audience was clearly moved, and we can only assume some Googlers in the audience likely recommended the purchase. Notably, only software and the Web site were sold to Google, and Rosling apparently didn't get a dime.
Swivel, you'll recall is another San Francisco start-up that lets users play with statistics, and encourages the use of graphics. The company launched last year, after working on its technology for a year. Depending on what Google does with this, Swivel may be forced to focus on its paid version, for sale to companies that want to keep their data private.

Da hebig invece leggo:
Hans Rosling selling Gapminder to Google
posted on 19. March 2007 at 08:47 PM

Venture Beat has the story: Google buys Gapminder.
This is cool. Gapminder was founded by the very smart and entertaining Hans Rosling who has delivered outstanding presentations at several high-level conferences including TED and WEF. Loic also invited Rosling to speak at the LeWeb3 conference in Paris where I was so fortunate to see him present live. At the recent TED07 he even swallowed a sword on stage; I guess that impressed the Google founders who were also present at the conference. Note that Rosling didn't cash in with this transaction as Gapminder (the software) is developed by a non-profit foundation. More details on the story here.

Io non so se essere contento o meno della notizia della cessione. Di certo sono contento per il fatto che forse fra pochi mesi/anni avremo un servizio "gratuito" e facilitato di analisi visuale dei dati multidimensionali.
Ma se, dopo quella dei GIS, anche la nicchia della Business Intelligence, forse una delle poche ancora galoppanti nell'asfittico panorama dell'IT, venisse banalizzata ed in parte fagocitata da Google? E' ormai storia che con il servizio "maps" prima, ed "earth" poi, realizzati a suon di analoghe annessioni, Google ha messo a disposizione di tutti gli utenti e gli sviluppatori web un'insieme di servizi cartografici molto limitato che ha puntato sulla gradevolezza dell'interazione utente e su ruffiane foto aeree per sfondare in un mondo molto più attento all'apparenza che alla reale qualità dei servizi. Infatti, pur riconoscendo l'innovatività della semplice ed usabile interfaccia utente realizzata per GoogleMaps, e l'efficienza della consolidata architettura a server distribuiti tipica delle soluzioni made in Google, la qualità e accuratezza delle cartografie servite non arriva alla sufficienza per molti utilizzi che vanno al di là del trovare la pizzeria da asporto più vicina a casa. Malgrado ciò, grazie all'innovativo marketing di Google, GoogleMaps e GoogleEarth sono il nuovo punto di riferimento nell'area delle applicazioni GIS. Succederà così anche per le tecnologie acquisite da Gapminder?

La mia morale sulla Google-mania pervasiva è:
- Pro: vulgarizzare servizi vuol dire diffondere democraticamente conoscenza in modo gratuito, o quasi.
- Contro: banalizzare tecnologie a Volte causa l'impoverirne l'accuratezza informativa.
- Devastante: fornire tutto ciò nominalmente "gratis" (in realtà secondo un modello di business alternativo) significa rivoltare il mercato come un calzino.

Infatti, offrendo "gratis", pur con qualità inferiori, servizi che altrimenti hanno una complicazione ed un costo non banali, succederà che: da una parte gli operatori del settore (come la Swivel citata da Matt Marshall, ma anche molti altri specializzati in soluzioni di alto profilo anche se più glocal) dovranno fornire un valore aggiunto ancora maggiore per differenziarsi da un prodotto di base molto accattivante disponibile gratis, dall'altra i prezzi scenderanno e i margini (esigui) si ridurranno ulteriormente, e, infine, qualche altro operatore dell'IT chiuderà i battenti. La legge del libero mercato, si dirà. E, col liberismo, la democratica diffusione della conoscenza per tuttri coincide paradossalmente proprio con il declino della pluralità tecnologica e l'affermazione dei giganti dell'industria informatica? Fra Google e Microsoft, IBM e Oracle, Sun e SAP... proprio non saprei quale fra i "monopolisti" mi sta più antipatico... Ah, dimenticavo Apple, il monopolista dei lettori mp3 ; - )
Sarà un bene? Chissà... intanto sembra proprio che l'informatica sia sulla stessa strada che fu dell'automotive un secolo fa: dai tempi pionieristici in cui qualsiasi mente lucida (o qualsiasi officina famigliare) poteva contribuire al progresso producendo qualcosa di innovativo e di pregevole, ai tempi in cui sono rimasti solo 7 grandi nomi che, d'accordo con 7 sorelle, detengono il monopolio globale del know-how e soprattutto delle risorse per sostenere la ricerca e sviluppo ai soli propri fini. Ai restanti solo piccole cose, e alle microimprese solo servizi di manutenzione programmata... in franchising, ovviamente.
Per fortuna che oggi, grazie alla relativa economicità del mondo digitale rispetto a quello dell'industria pesante, abbiamo l'opzione offerta dalle tecnologie Open. Basterà?
 
Una fotografia di Roger Ballen non è qualcosa che si guarda e si dimentica in fretta: possiede contemporaneamente una intensa bellezza formale ed una forza espressiva non comune, che affascina e colpisce diritto allo stomaco.
La recente intervista commissionata da American PHOTO a Jörg Colberg, pubblicata anche sul suo blog Conscientious, mi ha riportato alla mente il mio personale e folgorante incontro con l’immaginifico mondo visuale di Roger Ballen, con Outland, esposizione alla GAM di Bologna del 2002.

Nato a New York nel 1950, Roger Ballen studia geologia all’università di Berkley e si laurea in Economia Mineraria presso l’università del Colorado. Dopo la laurea si stabilisce in Sud Africa dal 1984, dove lavora per una compagnia mineraria. Da questa esperienza professionale il primo importante progetto artistico, Chambers, che porta la documentary photography direttamente verso l’arte.


PHOTO ROGER BALLEN
La forza espressiva delle sue immagini è spesso introdotta dallo sguardo fermo e diretto dei suoi soggetti, che ci guardano, ci colpiscono, ci straniscono. Ballen ha preferito vedere il Sud Africa dal punto di vista della gente bianca povera che vive hai margini della società, in ambienti squallidi, sporchi e fatiscenti ma con la volontà di rendere a Volte gioiosa una situazione disperata attraverso una sorta di humour e riuscendo perfettamente ad interagire ed ad entrare in empatia con i suoi soggetti, creando un punto di contatto tra il loro mondo e il suo inconscio. A livello formale, invece, nella sua opera esiste un’organicità, un equilibrio dove le singole parti interagiscono tra loro, ottenendo, così, immagini pulite, formalmente e visivamente chiare e semplici. Il filo conduttore delle opere di Ballen sta proprio qui, nella dicotomia tra la pura forma e il suo interno, saturo di difetti, fatto di gente con caratteristiche inusuali, deformi, persone logorate dal tempo e dal degrado, mostri che vivono in ambienti miseri, sterili, infelici e abbandonati. La sua opera si allontana dall’ipotesi di una semplice denuncia sociale e va ben oltre l’intento documentaristico: ogni immagine è introspezione, in grado di rivelare la natura più intima dell’artista; quel che emerge dalle sue fotografie sono "autoritratti".

Roger Ballen Photography

Clicca qui per accedere ad una galleria di immagini di Roger Ballen su popphoto.com
 
E' gelida ma sempre bellissima la Venezia del mio giorno ai Giardini della 52a. Biennale d'Arte Contemporanea. E' Venezia: un fenomeno, non una città, se non in un senso tutto surreale e Calviniano del termine.

Pensa con i sensi - Senti con la mente. L'arte al presente” è il pay-off dell'edizione 2007 della più importante mostra di mostre d'arte contemporanea d'Europa, o, in inglese, “Think with senses – Feel with mind” senza il “the” di troppo, come mi ha fatto notare un amico filologo.


Se anche all'Arsenale spesso scarseggiano importanti novità e forti emozioni, le selezioni dei tradizionali padiglioni nazionali dei Giardini rappresentano un vero e proprio inno alla importanza della catena produttiva più che ai contenuti: lo sforzo creativo di light designer, installatori, curatori e esperti di comunicazione supera troppo spesso la qualità o l'innovatività delle opere, che troppe Volte risultano deja-vue, o addirittura appaiano come derivative delle produzioni anni 80 o 90 in modo alquanto imbarazzante.


Molte le “cose belle” viste, ma mi hanno emozionato davvero pochi padiglioni. Non voglio citare la pregevole e osannata da critica e pubblico “Abbi cura di te” della francese Sophie Calle, perchè uno sopra tutti ha presentanto il mio personale modo di vedere con le immagini: la cinematografica video installazione “Le donne che non conosciamo” del regista catalano José Luis Guerin, all'interno della reinterpretazione del “Paradiso Spezzato” di Ezra Pound voluta dalla curatoria spagnola.




Interessante anche la mercificazione dell'opera d'arte ben rappresentata dalla curatoria - manco a dirlo - americana che ha scelto le opere del già visto Felix Gonzales-Torres: gli avventori, invitati a portarsi a casa uno o più poster, diventano propagini viventi dell'installazione, e, sparsi per tutta Venezia, riconoscibili per i rotoli cartacei sotto braccio, incarnano la realizzazione del consumismo alla “take away”, che, infine, trova pace nel cestino delle pattumiere o dei nostri ingordi stomaci.



Troppo didascalica e davvero fuori tema l'opera fotografica presentata nel padiglione del Venezuela. Troppo rifinito invece il sottile concept della poetica del complesso di inferiorità nel “The Homo Species” del koreano Hyungkoo Lee.


Su quest'ennesima VERTIGO installativa non mi dilungo oltre, ma mi auguro solo che ogni tanto più ampia parte dei budget milionari che servono a produrre eventi del genere siano dedicati alla scoperta di nuovi e più inesplorati territori della comunicazione emotiva.


L'intero diario fotografico si trova qui.

Update 24/11/2007: interessante il commento ai "Giardini della Biennale" di Nadia, che si trova qui.

Update 28/11/2007: Paola mi segnala l'interessante video-installazione "I wil die" di Yang Zhenzhong:
 
di davide del 03/02/2007 in Blogging,  2133 link
UPDATE 25 Aprile 2007: Tolgo il codice che replica le facce dei 2000 bloggers con i 2000 link perchè falsa i risultati puramente quantitativi di un meccanismo di ranking user-generated come quello di Technorati.
Questa è la pagina originale di Sid05 con le 2000 nostre facciotte:

Ecco il viral post del duemila..... e sette:
[...snip...]
Ciao a tutti!
 
Certe Volte non servono strumenti complessi o complicati per realizzare opere di pregio. Ad esempio, avendone le capacità, si può ridisegnare la Gioconda in un paio d'orette col solo MS Paint, e magari un PC molto cheap:
 
Il mio blog me lo sono prescritto alla fine di gennaio del 2007: ho installato sul mio sito vecchio di sette anni (e si vede) dblog, una piattaforma open, e riversato una dozzina di articoli scritti su myspace per gioco, e quindi ho cominciato a registrare irregolarmente, col tono un po' saputello del professorino mancato, parte di quello che mi capitava sotto gli occhi o dentro le meningi al solo scopo di autocelebrazione personale, senza nessuna velleità che la mia vena artistica o comunicativa fosse degna di qualsiasi attenzione o di pubblico. D'altra parte esistono blog di professionisti della comunicazione che invece meritano davvero visite e successo, per qualità e/o originalità dei contenuti.
Quasi subito trovo l'inziativa di sid05, che a sua volta riprendeva una analogo post virale dalla blogsfera anglofona, delle facce di 2000 blogger italiani. Subito mi iscrivo, entro in "lista" ma pubblico il post virale in questione solo con almeno una 20ina di giorni di ritardo, ma retrodatato.
Ieri leggo (non so più dove) che una piattaforma di nanoblogging (fenomeno di cui si parla in tutte le salse), tumblnr, è ancora altamente insatura. Quindi accendo l'account davidephoto.tumblnr.com e posto solamente 1 foto appena postata sul mio blog e i link al mio sito ed al mio blog. Succede che:
  • Raddoppiano i visitatori unici sul blog (da 70 a 150 visitatori al giorno)
  • Triplicano le pagine lette sul blog (da 120 a 450 al giorno)
  • Si moltiplicano a dismisura anche i link uscenti
  • Secondo Technorati ed altri tool di ranking la posizione in classifica del mio blog, per quello che vale, aumenta radicalmente ed immeritatamente in un paio di giorni soltanto
Progressioni del genere non le avevo ottenute neanche quelle 3 o 4 Volte che sono stato linkato da importanti blog di professionisti della comunicazione. La mia interpretazione:
  • Il solo essere presenti nelle social network globali, quando ai loro inizi sono poco popolate anche se inspiegabilemnte molto popolari perchè ne parlano tutti (come la semplice e poco abitata internet di 12 anni fa quando mi affacciai al web), anche se senza contenuti causa curiosità, e quindi traffico.
  • L'autocitarsi, i meme virali come "2000 bloggers" e molti altri, e i meccanismi sociali di commenti e controcommenti, esaltati dai tool di ranking come Technorati non determinano il successo (ovvero l'utilità sociale) di una pubblicazione. Tantomeno ne qualificano la qualità, che, per altro, è assolutamente soggettiva.
  • Il traffico ora iniettato sul mio blog dall'effetto contemporaneo "tumblnr + esposizione di un meme" è traffico "finto", ovvero fatto per lo più di blogger non interessati ai contenuti (di qualità discutibilissima) del mio blog. Calerà presto per tornare ai volumi precedenti.
  • Vantaggi per me? Nessuno.
Ho tralasciato qualche considerazione? Immagino di sì...
Buona festa della liberazione.
 
di davide del 08/04/2007 in Notizie e Stili di vita,  2234 link
Ecco la fine di uno dei film del gruppo di comici inglese Monty Python: Brian di Nazareth (1979), un film che in effetti è teologicamente più profondo di quanto si possa pensare a prima vista:

Estratto da "Brian di Nazareth" in Wikipedia:

Paradossalmente Life of Brian è più fedele, dal punto di vista storico, a quello che realmente accadeva a quei tempi in Giudea di tutti gli altri film girati sulla vita di Cristo. Ad esempio, la presenza di decine di "presunti" messia è una realtà storica, ragion per cui non è blasfemia, ma al limite sarcasmo, mostrare una strada piena di aspiranti messia che raccontano le storie più fantasiose e mostrare che il passante poteva scegliere chi ascoltare. Anche le "Beatitudini" sono trattate in maniera razionalmente storica, infatti, come poteva una gran folla di persone ascoltare quello che Gesù diceva? Certamente, c'era qualcuno che "riportava" ai più lontani le parole di Cristo, magari non arrivava "Beati i panificatori" al posto di "Beati i pacificatori", come nella scena girata dai Monty Python, ma il problema dell'uditorio era reale. Vi è poi la scena in cui tra i seguaci di Brian avviene uno scisma e si creano il gruppo dei "zucchiani" e quello dei "sandaliani", ovviamente la divertente rappresentazione che viene fatta nel film è paradossale e parossistica, ma non era raro che la massa di allora, facilmente suggestionabile e piena di fanatismo si dividesse su questioni inutili capaci di farli distrarre dai veri problemi sociali del tempo.

Ad una lettura superficiale, il film appare come una serie di gag esilaranti e a Volte sconclusionate (come ad esempio la scena in cui intervengono addirittura degli alieni a risolvere, quasi come un "Deus ex machina", una situazione altrimenti di difficile risoluzione); ma ad una lettura attenta e critica, si possono trovare numerosi spunti di riflessione sulla religione, la religiosità, la società moderna e la "società storica" di 2000 anni fa.
 
Trovato in rete, mi ha fatto sorridere...
«Vorrei solo rendere "giustizia" a una generazione, quella di noi nati agli inizi degli anni '80 (o qualche anno più o anno meno).
Quelli che vedono la casa acquistata allora dai nostri genitori valere oggi 20 o 30 Volte tanto, e che pagheranno la propria fino ai 50 anni.
Noi non abbiamo fatto la Guerra, né abbiamo visto lo sbarco sulla luna, non abbiamo vissuto gli anni di piombo, né abbiamo votato il referendum per l'aborto e la nostra memoria storica comincia coi Mondiali di Italia '90. Per non aver vissuto direttamente il '68 ci dicono che non abbiamo ideali, mentre ne sappiamo di politica più di quantocredono e più di quanto sapranno mai i nostri fratelli minori e discendenti.
Babbo Natale non sempre ci portava ci che chiedevamo, per ci nonostante quelli che sono venuti dopo di noi sì che hanno avuto tutto, e nessuno glielo dice.
Siamo l'ultima generazione che ha imparato a giocare con le biglie, a saltare la corda, a giocare a lupo, a un-due-tre-stella, e allo stesso tempo i primi ad aver giocato coi videogiochi, ad essere andati ai parchi di divertimento o aver visto i cartoni animati a colori.
Abbiamo indossato pantaloni a campana, a sigaretta, a zampa di elefante e con la cucitura storta; la nostra prima tuta è stata blu con bande bianche sulle maniche e le nostre prime scarpe da ginnastica di marca le abbiamo avute dopo i 10 anni. E il bomber? Le All star? Le superga?Le clarks?
Andavamo a scuola quando il 1 novembre era il giorno dei Santi e non Halloween, quando ancora si veniva bocciati, siamo stai gli ultimi a fare la Maturità in sessantesimi e ad iscriversi alle lauree quadriennali (quelle che valgono veramente) e a finirle in sei. Alcuni sono anche i pionieri del 3+2...
Siamo stati etichettati come Generazione X e abbiamo dovuto sorbirci Sentieri e i Visitors, Twin Peaks e Beverly Hills ti piacquero per Candy-Candy, ci siamo innamorate dei fratelli di Georgie, abbiamo riso con Spank, ballato con Heather Parisi, cantato con Cristina D'Avena e imparato la mitologia greca con Pollon. Siamo una generazione che ha visto Maradona fare campagne contro la droga. Cresciuti col mito di Van Basten e che hanno visto San Siro cambiare per Italia'90.
Siamo i primi ad essere entrati nel mondo del lavoro come Co.Co.Co. e quelli per cui non gli costa niente licenziarci. Ci ricordano sempre fatti accaduti prima che nascessimo, come se non avessimo vissuto nessun avvenimento storico. Abbiamo imparato che cos'è il terrorismo, abbiamo visto cadere il muro di Berlino, e Clinton avere relazioni improprie con la segretaria nella Stanza Ovale; siamo state le più giovani vittime di Cernobyl.
Abbiamo imparato a programmare un videoregistratore prima di chiunque altro, abbiamo giocato a Pac-Man, odiamo Bill Gates e credevamo che internet sarebbe stato un mondo libero. Abbiamo visto prima di chiunque altro il compact disc, detto anche cd room ora semplice cd. Gli ultimi ad aver usato e posseduto un mangianastri.
Siamo la generazione di Bim Bum Bam, di Clementina-e-il-Piccolo-Mugnaio-Bianco e del Drive-in. Siamo la generazione che and al cinema a vedere i film di Bud Kamen, e gli ultimi a usare dei gettoni del telefono. Ci siamo emozionati con Superman, ET o Alla Ricerca dell'Arca Perduta.
Bevevamo il Billy e mangiavamo le Big Bubble, ma neanche le Hubba Bubba erano male; al supermercato le cassiere ci davano le caramelline di zucchero come resto. Siamo la generazione di Crystal Ball ("con Crystal Ball ci puoi giocare..."), delle sorprese del Mulino Bianco, dei mattoncini Lego a forma di mattoncino, dei Puffi, i Volutrons, Magnum P.I., Holly e Benji, Mimì Ayuara, l'Incredibile Hulk, Poochie, Yattaman, Iridella, He-Man, Lamù, Creamy, Kiss Me Licia, i Barbapapà, i Mini-Pony, le Micro-Machine, Big Jim e la casa di Barbie di cartone ma con l'ascensore.
La generazione che ancora si chiede se Mila e Shiro alla fine vanno insieme.
La generazione che non ricorda l'Italia Mondiale '82, e che ci viene un riso smorzato quando ci vogliono dare a bere che l'Italia di quest'anno è la favorita...
L'ultima generazione a vedere il proprio padre caricare il portapacchi della macchina all'inverosimile per andare in vacanza 15 giorni.
L'ultima generazione degli spinelli, delle canne...
Guardandoci indietro è difficile credere che siamo ancora vivi:
viaggiavamo in macchina senza cinture, senza seggiolini speciali e senza air-bag; facevamo viaggi di 10-12 ore. Non avevamo porte con protezioni, armadi o flaconi di medicinali con chiusure a prova di bambino. Andavamo in bicicletta senza casco né protezioni per le ginocchia o i gomiti. Le altalene erano di ferro con gli spigoli vivi e il gioco delle penitenze era bestiale.
Non c'erano i cellulari. Andavamo a scuola carichi di libri e quaderni, tutti infilati in una cartella che raramente aveva gli spallacci imbottiti, e tanto meno le rotelle!!
Mangiavamo dolci e bevevamo bibite, ma non eravamo obesi. Al limite uno era grasso e fine. Ci attaccavamo alla stessa bottiglia per bere e nessuno si è mai infettato. Non avevamo Playstation, Nintendo 64, videogiochi, 99 canali televisivi, dolby-surround, cellulari, computer e Internet, per ce la spassavamo tirandoci gavettoni e rotolandoci per terra tirando su di tutto; bevevamo l'acqua direttamente dalle fontane dei parchi, acqua non imbottigliata, che bevono anche i cani! E le ragazze si intortavano inseguendole per toccar loro il sedere e giocando al gioco della bottiglia o a quello della verità, non in una chat dicendo :P
Abbiamo avuto libertà, fallimenti, successi e responsabilità e abbiamo imparato a crescere con tutto ciò.
Congratulazioni a tutti coloro, che come me, hanno avuto la fortuna di crescere come bambini.»
Rendiamo giustizia ad una generazione
Alessandro Marcias
buncone@tiscali.it

 
PHOTO STANLEY GREENE"The Human condition in Crisis" è il titolo dell'ultima dura collezione antologica di immagini del fotogiornalista americano Stanley Greene. La si può visitare nell'interessante ORGANISMuseum, museo virtuale allestito con grafica 3d da organism media.
Il reportage, alle Volte, richiede coraggio. Il coraggio di partire ma anche quello di tornare. Il coraggio di documentare ma anche quello di rispettare. Il coraggio di fermare in un'immagine il più fermo degli istanti, la morte. Le fotografie di Stanley narrano di un mondo scomodo, spesso volutamente celato. E del suo coraggio..
Un'esposizione composta da quaranta immagini alle quali si addice un unico aggettivo: vere. Dall'uragano Katrina all’ Iraq, da Haiti alla Cecenia, Stanley ferma per tutti noi ciò che il suo cuore vede e spesso ciò che vede è di una violenza disarmante, motivo per cui consigliamo la visione di questa mostra ad un pubblico adulto.

PHOTO STANLEY GREENE

Molto forti e sensazionalistiche alcune delle immagini proposte da questa selezione, perfettamente in tema con quanto si discute riguardo l'amara ironia di un certo modo di documentare le crudeltà del mondo.

Il Museo Virtuale di ORGANISM è innanzitutto un'ottima idea, ed è poi ben realizzato, anche se è necessario installare il plugin 3d Life Player che permette la simulazione in grafica 3d degli ambienti di una galleria d'arte moderna.
 
Sono passati quasi quarant'anni dalla costruzione di uno dei più orrendi mostri industriali italiani, il polo siderurgico/petrolchimico di Taranto (a lato, PHOTO DAVIDE GAZZOTTI), che ha causato direttamente ed indirettamente centinaia, anzi miliaia di vittime, quando finalmente qualcuno, per vendere un paio di copie in più (visto che ora tutto ciò fa audience come non succedeva 10 o 20 anni fa) sparge fiumi di inchiostro sull'argomento. "La Puglia dei Veleni" è il titolo dell'approfondimento di G. Riva su L'espresso ora in edicola.
Taranto è ultima per la classifica del 'Sole 24 Ore' in quanto ad ambiente. I 1.200 decessi annui per neoplasie la collocano nettamente sopra la media nazionale. Insomma c'erano tutti i motivi per dichiararla città ad alto rischio ambientale
In realtà, dopo le mille battaglie perse contro i signori dell'industria pesante e dell'energia italiani che disperdono nell'ambiente da Taranto a Brindisi tonnellate di sostanze cancerogene l'anno, il protocollo di Kyoto è forse rimasto l'ultimo spauracchio che potrebbe far cambiare le cose. Da L'espresso:
Primo, secondo e terzo posto, podio tutto pugliese nella classifica dei dodici impianti italiani che producono più anidride carbonica, responsabile dell'effetto serra e dunque del surriscaldamento del Pianeta. Nell'ordine: centrale termoelettrica Enel di Brindisi sud 15.340.000 tonnellate l'anno di CO2; Ilva di Taranto 11.070.000; centrali termoelettriche Edison di Taranto 10.000.000.
Io, che per storia personale la Puglia conosco ad amo, poco ho da aggiungere al tanto sbraitare, se non qualche sbiadito romantico ricordo d'infanzia in banco e nero, sperando sempre che non succeda, magari proprio con in carica un governo di sinistra, che il Protocollo di Kyoto venga disatteso legalmente da tutti perchè dichiarato inapplicabile per decreto.


PHOTO DAVIDE GAZZOTTI

UPDATE 12 Aprile 2007 - Su Repubblica.it del 3 marzo 2007, nell'articolo Bancarotta e Fatalismo - Così muore Taranto leggo di Taranto parole accorate e disperate:
Taranto fu una nobile capitale della Magna Grecia incastonata fra le acque, una città di laguna, una Venezia delle Puglie, con lo splendido borgo antico dietro il castello aragonese e il quartiere ottocentesco stretti fra Mare Piccolo e Mare Grande, che nell'ultimo secolo ha subito colossali invasioni barbariche. Prima l'Arsenale del Regno, poi la Base Navale, la prima nel Mediterraneo, quindi la Fabbrica. Ora la città non è più né bella né brutta. E' una tavolozza impazzita, un impasto violento di luce, acqua, cemento, fuoco e acciaio, con angoli d' incanto e squarci spaventosi.

Da ogni punto incombe l'ultimo grande paesaggio industriale d' Italia, la riserva indiana del fordismo. L'Ilva, ex Italsider, ora gruppo Riva, sovrasta la città, la domina con le sue ciminiere e si mangia ancora due terzi del gigantesco porto. E' il primo impianto siderurgico d' Europa, un dinosauro più grande di Mirafiori, tre Volte più esteso di Taranto città, dieci milioni di tonnellate d' acciaio all'anno, duecentocinquanta chilometri di ferrovia interna, altiforni imponenti come dolmen, distese di tubi a perdita d' occhio. Da quarant' anni i tarantini la chiamano il Mostro. Da quarant' anni distribuisce vita e morte, e non è un modo di dire. Oggi ci lavorano quindicimila operai ed erano trentamila ai tempi dell'industria di Stato.

Nella sua storia si contano centottanta caduti sul lavoro, ottomila invalidi, dieci o forse ventimila morti di cancro e leucemie, dipende dalle stime. Il gioco dei bambini del rione Tamburi, a ridosso del Mostro, è svegliarsi e indovinare di quale colore è il cielo del mattino. Di rado è blu, a Volte arancione o viola, più spesso di un rosso mattone, uguale a quello ormai incrostato ai tetti delle case e sulla strada del cimitero.

Da sola l'Ilva sputa nell'aria di Taranto il 10,2 per cento di tutto l'ossido di carbonio prodotto in Europa. Ma fino a dodici anni fa, in cambio di tanto dolore, la Fabbrica garantiva almeno il mito del "posto sicuro" nella cuccia calda dell'impresa di Stato. Nel '95 l'Ilva è stata privatizzata dal governo Dini, peraltro a un prezzo un po' troppo basso (1.700 miliardi di lire) ed è arrivato un padrone bresciano, Emilio Riva, ben deciso a imporre nella città-stato tarantina la legge del mercato, con le buone o con le cattive. Ma quasi sempre con le cattive.

In un decennio Riva ha mandato via la metà degli operai, spezzato le reni al sindacato, quadruplicato gli utili e collezionato una serie di processi e condanne, l'ultima di tre anni per mancate misure di sicurezza e inquinamento. E' rinviato a giudizio per una pessima storia di mobbing divenuta celebre, quella della "palazzina Laf", una specie di baracca dov' era rimasto confinato per mesi un pugno di sindacalisti ostinati, senza lavoro e senza una sedia o un tavolo. La privatizzazione dell'Ilva ha segnato lo spartiacque nella vita cittadina. Gli operai licenziati si sono messi a fare gli artigiani e a "coltivare il mare" da vecchi contadini mai diventati marinai. Ogni palo di cozze a Mare Piccolo è un ex operaio dell'Ilva. Le imprese dell'indotto siderurgico prima si sono riVolte fuori, verso il boom di Bari e del Salento, poi si sono spente, una dopo l'altra. Gli operai tarantini avevano costruito la piattaforma del ponte fra Danimarca e Svezia, ma anche la Belleli ha chiuso i battenti due anni fa.

"Senza più posto fisso, la città ha finito per attaccarsi alle ultime mammelle di Stato, la sanità e il Comune, fino a succhiare l'ultimo euro". E' l'analisi del presidente della Provincia, Giovanni Florido, ex sindacalista dell'Ilva e più probabile candidato del centrosinistra alla poltrona di futuro sindaco, nelle elezioni di primavera. Si è trattato di scegliere fra il fallimento della pubblica amministrazione e la bancarotta delle famiglie ed è andata com'era facile immaginare.

Ora la città aspetta che qualcuno faccia "il Miracolo". Ma come nel bellissimo film di Edoardo Winspeare girato nella città vecchia, è un miracolo che soltanto la volontà dei tarantini può compiere.
 

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